Donne tra discriminazione e pari opportunità. La questione dell’uguaglianza

 

Donne tra discriminazione e pari opportunità. 

La questione dell’uguaglianza 

di Laura Tussi



Il principio moderno di uguaglianza, nato per eliminare le differenze tra gli uomini e fondare una società di diritti universali, non ha in realtà mai incluso pienamente le donne nel suo immaginario politico. Le donne sono rimaste a lungo escluse dalla sfera pubblica, quella stessa sfera politica e sociale che l’ideale egualitario rivendicava come luogo di libertà, perché relegate alla dimensione domestica, ritenuta la loro “naturale” collocazione.

Non si trattava di una semplice rimozione contingente, né di un ritardo storico che il progresso avrebbe poi colmato: era un’esclusione originaria, radicata nel paradigma maschile che ha definito il concetto stesso di uguaglianza.

Il principio di uguaglianza moderno, infatti, finisce per rafforzare la dicotomia sessuale tra un ambito pubblico maschile e una sfera privata femminile, riducendo l’identità femminile a qualcosa di impensabile, non riconosciuto come soggetto politico. Da qui deriva l’attuale permanenza di un immaginario patriarcale che continua ad assegnare alle donne ruoli subordinati, anche all’interno delle istituzioni democratiche. L’esclusione delle donne dal potere reale, e la loro costante subordinazione alle decisioni maschili, rappresentavano dunque, e in parte rappresentano ancora, il fallimento strutturale del modello egualitario, fondato su un ordine simbolico ancora patriarcale.

In questo contesto si manifesta il paradosso della modernità: conciliare esclusione e omologazione. Le costituzioni contemporanee dichiarano l’uguaglianza senza distinzione di sesso, ma includono le donne “come se fossero uomini”, ignorando la differenza sessuale e omologandole a un paradigma maschile presentato come universale. La conseguenza è un processo di apparente inclusione che cancella l’identità femminile e la sua specificità simbolica: le donne sono prima escluse e poi incluse solo in quanto assimilate.

L’uguaglianza formale, così delineata, non corrisponde a una parità sostanziale. Il modello egualitario si contraddice nel momento in cui, eliminando la differenza sessuale, riproduce il patriarcato in forme nuove e più sottili. Al sessismo tradizionale si affianca infatti un razzismo implicito, che non riconosce le differenze e le schiaccia in una pretesa uniformità. Nelle società multietniche – come gli Stati Uniti o alcuni Paesi del Nord Europa – emerge chiaramente la contraddizione tra un modello politico che dichiara di valorizzare le differenze e un paradigma teorico che tende invece a cancellarle.

L’esempio del chador

Il chador rappresenta una differenza culturale, religiosa ed etnica che, secondo il modello multiculturalista, dovrebbe essere riconosciuta e tutelata. Ma dalla prospettiva egualitaria occidentale, il velo è problematico perché nasconde il volto, cioè l’identità, e viene interpretato come simbolo di subordinazione femminile, incompatibile con la logica antidiscriminatoria delle democrazie liberali.

Ne risulta un nodo irrisolvibile per il pensiero occidentale: il modello egualitario, che rifiuta esplicitamente la discriminazione, finisce per negare la differenza.
Come osserva un passaggio emblematico:
“Se la ragazza musulmana si toglie il chador e si comporta come una ragazza europea, il problema sparisce.
Se la gente di colore si conforma al paradigma dei bianchi, la pelle scura rimane, ma diventa più accettabile.
Se le donne stanno a casa e fanno le buone mogli, la società funziona al suo meglio.

Se invece prendono sul serio il principio di uguaglianza e vogliono lavorare o far politica, adottino almeno il paradigma maschile di comportamento.”

L’uguaglianza, così intesa, produce un appiattimento delle differenze culturali e sessuali, trasformando la pluralità in omologazione.

Uguaglianza, scuola e stereotipi

La storia del pensiero, della filosofia, della psicoanalisi e della cultura occidentale è costruita su modelli maschili e paradigmi patriarcali. L’uguaglianza ha certamente permesso l’ingresso delle donne nelle istituzioni della conoscenza e ha reso evidente la discriminazione, ma non ha intaccato alla radice l’ordine simbolico androcentrico.

La scuola europea continua a trasmettere stereotipi maschili e femminili, spesso rafforzati dall’immaginario televisivo e mediatico, veicolo di un pensiero unico ed estetizzante che riduce la donna a oggetto di consumo.
La scuola, pur dichiarando la neutralità, perpetua una cultura che considera “universale” il punto di vista maschile, relegando quello femminile alla marginalità.

L’editoria scolastica è quindi chiamata a un compito complesso: utilizzare il principio di uguaglianza non per omologare, ma per mettere in discussione gli assunti discriminatori del passato, adottando un’analisi critica del patriarcato implicito nei paradigmi culturali.

La teoria femminista

La teoria femminista ha messo radicalmente in discussione il patriarcato contenuto nel principio di uguaglianza e l’androcentrismo della tradizione.

Mary Wollstonecraft, in pieno Illuminismo, fu la prima a denunciare l’ingiustizia della discriminazione sessista e a reclamare l’estensione dell’uguaglianza alle donne. Con Olympe de Gouges, si definisce la linea emancipazionista che chiede l’attuazione reale del modello egualitario.
Luce Irigaray, tra le maggiori teoriche contemporanee, introduce la categoria rivoluzionaria di “differenza sessuale”, che fonda una nuova prospettiva critica.
Dagli studi angloamericani proviene invece la distinzione tra sex (biologia) e gender (costruzione sociale), centrale per comprendere gli stereotipi che modellano le identità maschili e femminili.

In Italia, tuttavia, la ricezione istituzionale del pensiero femminista è stata scarsa, producendo una carenza significativa nei manuali scolastici e nei percorsi formativi. Negli Stati Uniti e in altri Paesi, al contrario, i Women’s Studies e i Gender Studies hanno favorito la diffusione di testi, antologie e ricerche che hanno rivoluzionato l’interpretazione della storia culturale.

Il nostro ritardo è ancora rilevante anche se, fin dal 1997, cioè ormai da 28 anni, la direttiva del Consiglio dei Ministri dedicata alle pari opportunità, riconosce la necessità di aggiornare i libri di testo e integrare i saperi femminili nei percorsi di riforma della scuola e dell’università, promuovendo il rispetto delle differenze di genere.

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