Fiscal compact e Manganello
Riceviamo e pubblichiamo dagli insegnanti di Geografia (Giga)
L'articolo di Bersani rispecchia in pieno il nostro pensiero sulla questione del debito che viene utilizzato dai poteri forti come strumento di oppressione dei popoli e di ricatto contro i tentativi di adozione di politiche economiche e di bilancio diverse da quelle di austerità e restrittive, entrambe nel solco del paradigma neoliberista.
Occorre quindi contenere lo strapotere della finanza partendo dall'affrontare seriamente la questione del dibito con l'istituzione di una audit. La questione dell'uscita dall'euro è a nostro avviso secondaria rispetto a quella del debito.
Nell'articolo in basso invece si denunciano le inquietanti modifiche legislative relative al settore bancario che renderanno di nuovo libere le banche Usa di agire in modo spregiudicato sui mercati finanziari con operazioni speculative azzardate. La crisi dei mutui sub-prime scoppiata nel 2007 che ha mandato in recessione le economie dei paesi sviluppati lasciando sil campo milioni di disoccupati e un sensibile aumento della povertà, evidentemente non ha insegnato niente.Prepariamoci per una nuova bolla speculativa..
Fiscal compact e manganello
Nuova finanza pubblica. Le
speculazioni finanziarie fatte in questi giorni dai mercati, che si
alimentano dell’instabilità, vengono narrate come preoccupazione dei
mercati, i quali vorrebbero tanto il bene collettivo, se solo noi lo
capissimo
Il risultato finale con cui si è conclusa la crisi politica e istituzionale del nostro Paese rappresenta con piena evidenza l’utilizzo del debito come arma di disciplinamento sociale.
Un’arma
interamente giocata sul terreno simbolico, in quanto nessuno degli
attori principali ne ha mai messo in discussione i fondamenti, aldilà di
dichiarazioni di rito buone per tutte le stagioni.
Viene
da pensare che il fuoco e le fiamme (fatue), prodotte ed alimentate
nell’arco di 48 ore da entrambe le parti, non fossero rivolte agli
attori in campo, ma avessero una funzione di alfabetizzazione di massa
per tutti quelli che vi assistevano attoniti.
Da
una parte, i sostenitori dell’establishment, interni ed esterni, ci
hanno detto mai così chiaramente come nell’economia del debito la
libertà è solo un contesto apparente: i popoli indebitati rimangono
formalmente liberi, ma la loro libertà si può esercitare solo dentro il
vincolo del debito contratto, e attraverso stili di vita che non ne
pregiudichino il rimborso.
La
precarizzazione del lavoro, la privatizzazione dei servizi pubblici, la
mercificazione dei beni comuni non sono estrazioni di valore dettate da
brutali atti di forza e di potere, ma la “naturale” conseguenza di quel
vincolo “liberamente” contratto.
E’
così che le speculazioni finanziarie fatte in questi giorni dai
mercati, che si alimentano dell’instabilità, vengono narrate come
preoccupazione dei mercati, i quali vorrebbero tanto il bene collettivo,
se solo noi lo capissimo.
Dall’altra,
i sostenitori del sovranismo ci hanno detto mai così chiaramente come
non sia assolutamente in discussione la trappola del debito, bensì solo i
luoghi di potere da cui essa dev’essere narrata: “prima gli italiani”,
intendendo con questo una gerarchia che vedrà i ricchi sempre più ricchi
grazie alla flat tax, e il resto della popolazione con in tasca le
briciole di un sussidio di disoccupazione spacciato per diritto al
reddito e fra le mani possibilmente un’arma per difendersi dagli
stranieri.
Ciò
che in realtà i contendenti hanno voluto comunicare al popolo è
l’impossibilità di un’altra via fuori dalle due predefinite: il sostegno
all’establishment in quanto tale, fiscal compact e pareggio di bilancio
compresi, e il sovranismo reazionario, flat tax e razzismo compresi.
Dentro il terreno di gioco, più che condiviso, delle politiche liberiste
e d’austerità, che non possono in nessun modo essere ridiscusse e che
hanno bisogno dello shock del debito per disciplinare la società e
quanti dentro la stessa non rinunciano a voler cambiare il mondo.
La
pretestuosità del conflitto diventa evidente nel risultato finale, così
velocemente conseguito: abbiamo ora un governo che nei ruoli chiave ha
di nuovo inserito i “tecnici” (Presidenza del Consiglio, Ministero
dell’Economia e Finanze e Ministero degli Esteri) dichiarando nei fatti
la totale compatibilità con i vincoli monetaristi, con l’aggiunta
dell’odore del manganello che promana dal nuovo Minsitero dell’Interno.
Più che “la Cina è vicina”, come si diceva una volta, siamo
“all’Ungheria è dietro l’angolo”con la benedizione di Francoforte.
Dentro
questo quadro, c’è un’altra possibilità, a patto che si decida di
prendere davvero parola collettiva sul tema del debito, ponendo alcune
questioni reali: a) è accettabile aver pagato, dal 1980 ad oggi, 3.400
mld di interessi su un debito che, nonostante questo, continua ad essere
di 2300 mld? b) è accettabile, per chi paga le tasse, aver dato allo
Stato, dal 1990 ad oggi, 750 mld in più di quello che lo Stato ha
restituito sotto forma di servizi? E’ accettabile aver ridotto i Comuni
sul lastrico, nonostante il loro contributo al debito pubblico nazionale
non superi l’1,8%? Solo la risposta a queste domande può aprire la
discussione su quale modello di società vogliamo.
Con una certezza: il loro potere dura finchè dura la nostra rassegnazione.
Banche Usa ora più libere di speculare
American Psycho. Nuovo intervento della Fed per deregolamentare il trading e di demolizione della legge Dodd-Frank di Obama
A
10 anni dalla crisi dei mutui subprime, le regole volute da Obama
tornano ad allentarsi per volontà dell’amministrazione Trump. L’ex
presidente Usa aveva chiesto norme restrittive da imporre alle grandi
banche statunitensi, studiate per limitare le manovre rischiose di Wall
Street, ma le autorità di controllo bancario hanno svelato un piano
volto a depotenziare la Volcker Rule, normativa che prende il nome
dall’ex segretario della Fed, la banca centrale americana, Paul Volcker.
In questo modo si apre la strada alla ripresa delle attività di trading
da parte delle banche, prima limitate dalla legge Dodd-Frank del 2010,
inclusi gli investimenti negli hedge fund o il trading con capitale
proprio.
A
riferirlo è stato il New York Times, precisando che le grandi banche
avranno maggior libertà di condurre queste operazioni più complicate e
rischiose lasciando il compito di determinare quale trading sarà lecito e
quale no alle compagnie quotate in borsa. La prima istituzione
finanziaria Usa a presentare questa revisione voluta da Trump è stata la
Federal reserve e nei prossimi 60 giorni saranno chiamate a
pronunciarsi anche authority di sorveglianza come la Securities and
exchange commission e la Federal deposit insurance.
Il
nuovo corso è già stato ribattezzato come Volcker 2.0, ma siamo anni
luce lontani proprio dallo spirito alla base della Volcker originale,
vale a dire la consapevolezza della necessità di imporre delle regole
per proteggere i cittadini ed evitare che le banche possano utilizzare i
depositi dei risparmiatori per operazioni finanziarie troppo rischiose.
Ora
Trump ha firmato un disegno di legge, colpevolmente bipartisan, che
libererà migliaia di banche di piccole e medie dimensioni dagli obblighi
stringenti previsti dalla Dodd-Frank; tutto ciò è in completa linea con
il quadro di deregolamentazione generale voluto dalla Casa Bianca, che
coinvolge clima, sanità, trivellazioni, Wall Street, sempre frutto di
un’ideologia antica che si ispira agli anni ‘80 e che non è andata oltre
un approccio semplicistico all’economia, così come al resto. È lo
specchio che riflette in ogni sua manifestazione il pensiero di un
gruppo di ricchi maschi bianchi e conservatori in là con gli anni, che
non credono in certe diavolerie moderne come il riscaldamento globale o
l’imporre regole necessarie affinché le Borsa non fagociti i
risparmiatori.
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