Piattaforme e Fca....alcuni appunti



Prima di incensare Marchionne  bisognerebbe avere l'accortezza, o la memoria, per leggere il vecchio piano industriale della Fca con tanti progetti industriali non rispettati, primo tra tutti il rilancio di Mirafiori. Pensiamo all'anno 2014 quando venne annunciato il rinnovamento della gamma macchine con ben 17 modelli, ad oggi i prodotti Fiat sono stati solo 9 (per lo più in Brasile) mentre dei 9 nuovi modelli con il marchio Alfa ne sono arrivati solo due. 

Grande manager o abile uomo della finanza?

Alla nascita della Fca con applicazione di un contratto diverso da quello storicamente applicato, il metalmeccanico, il 2018 veniva annunciato come anno di svolta, l'anno della piena occupazione, della rinuncia agli ammortizzatori sociali, di un listino con prodotti nuovi appetibili sul mercato e  innovazioni tecnologiche sufficienti a recuperare competitività. I numeri attuali, parliamo di vetture prodotte e vendute, parlano di un gruppo molto piu' attento alla riduzione del debito e alle quotazioni in borsa che alla produzione di vetture. La sorte degli stabilimenti italiani è avvolta nel mistero e con loro il futuro degli operai.

Di questo e di altro dovrà parlare il nuovo piano industriale di Fca e tra i temi centrali ci sono anche la riorganizzazione produttiva e l'avvento delle piattaforme a sostituire le vecchie linee di montaggio che poi tanto vecchie non sono anche se fa comodo presentarle tali.
Ma le piattaforme in Fca ci sono già, una per esempio altamente innovativa impiegata per la produzione dell' Alfa Romeo Giulia e del suv Stelvio, piattaforma che sarà esportata negli Usa 
L'innovazione dei prodotti parte da modelli produtivi e organizzativi diversi dal passato, una piattaforma puo' durare un certo numero di anni e produrre piu' vetture ma quando da anni non riesci a creare una macchina innovativa vuol dire che ci sono innumerevoli problemi.

La strategia Fca guarda sempre piu' al continente Americano, le piattaforme se consentono la produzione di modelli diversi (magari anche di piu' marche), permettono risparmi di costi, il problema è che dopo diversi anni le piattaforme vanno cambiate e sostituite , occorre una strategia definita per i prossimi anni, strategia che riguardi l'intero gruppo Fca. Sta qui il problema, da una parte l'ex Eiat non puo' abbandonare definitivamente la produzione in Italia, dall'altra la sta impoverendo con scarsi investimenti tecnologici, pochi prodotti e costante ricorso agli ammortizzatori sociali con gli operai in cassa integrazione da un anno all'altro.
 
 Per alcuni il modello da seguire è quello tedesco, Volkswagen, con una piattaforma unificata  per tutti i modelli, costruita dopo anni di investimenti e di studio, pensata per creare piu' prodotti e parliamo anche di vetture elettriche o ibride .
Ma la Fca cosa intende fare dell'elettrico e dell'ibrido? Altra domanda dirimente perchè in Germania sono giò capaci di produrre vetture  elettriche con  ampia autonomia che raggiunge i 600 km
 
Fca non ha raggiunto i risultati preventivati, è in ritardo con la ricerca e la innovazione tecnologica, in ritardo nell'ambito della elettrificazione e tecnologia digitale. In questi anni nessun Governo ha mai presentato il conto a Marchionne, una sudditanza vergognosa considerato che lo Stato paga un conto salato per la cassa integrazione di operai costretti a lavorare a singhiozzo e per pochi giorni all'anno.

Qualunque sia la strategia industriale, il punto di partenza è il processo di innovazione tecnologica e la sorte degli stabilimenti Italiani.

Sarebbe il caso di aprire un ragionamento serio su come costruire dentro e soprattutto fuori le fabbriche Fca una mobilitazione. Sono in gioco le sorti della industria di vetture italiana, industria alla quale negli anni delle privatizzazioni si è regalato un marchio pubblico come l'Alfa con la promessa di un rilancio che non c'è stato.

Anche per questo, prima di incensare Marchionne, bisognerebbe analizzare i dati, dalle vetture prodotte a quelle vendute, dal numero degli operai in cassa integrazione alle delocalizzazioni in paesi dove magari si pagano meno tasse e si applicano legislazioni in materia di lavoro concepite a uso padronale.  
 
 E solo a quel punto sarà possibile formulare un giudizio oggettivo, ben lontano dai corsivi di certi giornalisti tanto di moda.

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