Il manifesto del lavoro. Considerazioni

Democratizing Work. Questo importante appello di oltre 3.000 ricercatori di tutto il mondo esce oggi in simultanea su 41 giornali, tra cui El Comercio, Boston Globe, Guardian, Gazeta Wyborcza, La Folha de São Paulo, The Wire, Cumhuriyet, Le Soir, Le Monde, Die Zeit, Publico, El Diario, Le Temps. In Italia gli autori hanno scelto il manifesto
Questo appello, Democratizing Work, esce oggi in simultanea in 25 lingue su 41 testate internazionali, tra cui El Comercio, Boston Globe, Guardian, Gazeta Wyborcza, La Folha de São Paulo, The Wire, Cumhuriyet, Le Soir, Le Monde, Die Zeit, Publico, El Diario, Le Temps, South China Morning Post. In Italia gli autori hanno scelto il manifesto.
L’appello è stato firmato da oltre 3.000 accademici e ricercatori di più di 650 università del mondo. Tra questi, Elisabeth Anderson, Thomas Piketty, Dani Rodrik, Jan Werner Mueller, Chantal Mouffe, Claus Offe, Julie Battilana, Joshua Cohen, Nancy Fraser, James K. Galbraith, Axel Honneth, Jan-Werner Müller, Benjamin Sachs, Debra Satz, Nadia Urbinati, Sarah Song, Lea Ypi, Isabelle Ferreras, Dominique Méda, Saskia Sassen, Lawrence Lessig.

Questo si legge, in italiano, per l’appello di numerosi docenti universitari del mondo intero.
Il testo è veramente condivisibile ed è stato fatto un gran lavoro, di traduzione, di pubblicità, a livello organizzativo. Ma servirà? Spiace dire di no! L’analisi punta a definire il lavoro pratica sociale e non solo economica. Un po’ poco ed un po’ scontato, almeno per chi si è aggirato nella lettura e condivisione dei testi di Marx ed Engels, per dire solo di questi due.

Ma imprescindibilmente di questi due.
A chi si rivolge il testo che si divide in settori che tendono appunto a definire in quel modo il lavoro? Lo si trova in rete facilmente.
Ai capitalisti in genere? Anche a chi specula in borsa? Ai lavoratori salariati? (questi, sfruttati, lo sanno già) Ai politici? (se lo sanno non ne tengono conto) Ai partiti comunisti? (quelli che sopravvivono senza potere incidere gran ché nei loro Paesi, tranne pochissimi casi) Ai borghesi illuminati? (e dove sono?)

Insomma, una bella operazione che non trova interlocutori che possano poi fare camminare le analisi proposte.
E poi, non potrebbero tutti questi intellettuali e studiosi di talento tornare, almeno, a Platone? Un governo di filosofi, nel senso più ampio e decente del termine, che sappiano cosa significhi una vita con contorni di larga umanità, che torni alla radice umana della persona, potrebbe essere almeno tentato dalla classe intellettuale.

Visto che la classe politica, nella sua maggiore espressione ha fallito, fallisce miseramente, ogni volta vi sia una reale necessità di intervento straordinario nella società, come questo che stiamo attraversando, non sarebbe il caso, per chi ha un poco di chiarezza umana in testa, uscire dalle università e cercare di lavorare per drizzare un poco le situazioni?
 
La questione se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una questione teorica, ma pratica. È nell'attività pratica che l'uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere terreno del suo pensiero.
La disputa sulla realtà o non-realtà di un pensiero che si isoli dalla pratica è una questione puramente scolastica. Questa è la seconda tesi su Feuerbach, di Marx, 1845.   

  A cura di Tiziano Tussi

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