“Tra il pilatesco e il padronale”: a proposito di una nota Aran sugli enti locali....


“Tra il pilatesco e il padronale”

 A proposito della Nota Aran su applicazione Istituti contrattuali nell' emergenza Covid 19

 

Recitava un vecchio adagio “ se non porta chiarezza a che serve?” E quello che dovremo dire a proposito dell' Aran investita, nell'emergenza sanitaria, dagli Enti Locali, dalle problematiche relative al lavoro agile nonché all' applicazione di Istituti contrattuali .L'Aran, ancora una volta, si cela dietro a formalismi scaricando sui singoli Enti locali la interpretazione di norme e così facendo alimenta confusione e disuguaglianze di trattamento, aiutata da contratti spesso scritti in modo e maniera da favorire la discrezionalità datoriale.

 

Troppo semplice affermare di limitarsi ai cosiddetti orientamenti sull' applicazione dei contratti collettivi nazionali, negandone poi nei fatti la collocazione e attualizzazione nel contesto dell' emergenza sanitaria. E' del tutto evidente la correlazione tra la necessità di interpretare disposizioni normative nate nella fretta dell' urgenza e la definizione di chiare indicazioni operative gestionali che spetterebbero al potere organizzativo.

Ricordiamo del resto che il rapporto di lavoro pubblico proprio da quei contratti collettivi è regolato, sopratutto in carenza di una disciplina “ordinaria” contrattuale legata agli istituti che tutelano i diritti giuridici ed economici nel cosiddetto lavoro agile.

 

Questa modalità di esecuzione del rapporto di lavoro non nasce con l' emergenza sanitaria in quanto già disciplinata dalla legge 22 maggio 2017, n. 81 contenente "Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro", anche se non aveva trovato mai adeguata considerazione nei contratti collettivi, forse perché ritenuta marginale e conseguente ad un accordo individuale fra le parti e “ con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore”.

Nei fatti, questa disposizione normativa era rivolta a “ incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro,” promuovendo il lavoro agile quale “ modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa” .

 

Circostanza, come risulta evidente, che applicata in forma obbligatoria e pressochè generalizzata al momento dell' emergenza sanitaria e in assenza di un preventivo  accordo fra le parti, per esplicita disposizione normativa ( art. 87 del D.L. n. 18/2020 come convertito con legge n. 27/2020), avrebbe dovuto far riflettere sull' assoluta necessità di ricondurne la disciplina ad un accordo di natura collettiva, anche in corso d' opera, per evitare disparità di trattamento e interpretazioni a dir poco discrezionali.

 

Come ricordato, infatti, nella circolare n. 1 del 2020 del Ministro per la P.A., già l’articolo 14 della legge 7 agosto 2015, n. 124  era disposto l’obbligo per le amministrazioni pubbliche di adottare nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa che permettessero, entro tre anni, ad almeno il 10 per cento dei dipendenti, a richiesta, di avvalersi di modalità riconducibili al lavoro agile, garantendo ai dipendenti in smart di non subire penalizzazioni anche ai fini del riconoscimento delle professionalità e della progressione di carriera. Ma tutto cio' presupponeva, per logica e buon senso, un passaggio obbligato e una procedura urgente per riportare la definizione dello smart nella contrattazione collettiva nazionale e di secondo livello.

 

Tale carenza è divenuta oltremodo evidente in quanto, come richiamato nella Direttiva n. 02/2020 del Ministro per P.A. conseguenti al D.L. 18/2020,  non si prevede più una soglia massima per il ricorso allo smart determinandone, nell’attuale situazione emergenziale, un ricorso e utilizzo come strumento ordinario di espletamento della prestazione lavorativa del dipendente pubblico.

 

Ecco perché l' Aran non avrebbe dovuto “lavarsi le mani” delle problematiche conseguenti ad una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro pressoché dimenticata nella disciplina del CCNL dei comparti pubblici, scaricandone ogni conseguenza sugli Enti o sulla contrattazione decentrata integrativa peraltro attivabile sulle materie ad essa attribuite da quella nazionale di cui la stessa Aran, per l' inconsistenza dei convenuti sindacali al tavolo, è parte dirimente .

 

Ecco perché alcune considerazioni su tematiche specifiche trattate nel pronunciamento dell' Agenzia rendono ancor più evidente il comportamento “pilatesco e di alterigia padronale” che ormai caratterizza l' agire degli Enti pubblici e di chi li rappresenta ai tavoli negoziali, comportamento emerso in tutta la drammatica improvvisazione in questa fase emergenziale.  E le note Aran, i mancati passaggi nella contrattazione nazionale potrebbero determinare perdite salariali e di diritti non solo per chi opera in smart working, ma anche per altri lavoratori le cui attività sono state sospese a causa del contagio.

 

Analizzando puntualmente e criticamente quanto contenuto nel documento Aran per singoli temi si rileva:

Permessi orari (artt 32, 33bis e 35 del CCNL del21 maggio 2018)

Nella nota Aran si afferma :”Con riferimento alle tre fattispecie di permessi su base oraria, si deve rilevare altresì che nel lavoro svolto in modalità agile deve di norma intendersi sussistente, in base alle indicazioni recate alle pagine 6, punto ii), 10 e 18 della Direttiva A110612017, n. 3 del Ministro per la Pubblica Amministrazione, uno specifico obbligo del lavoratore di rendersi contattabile all' interno di fasce orarie predeterminate.

Inoltre sempre nella stessa nota l' Aran sostiene: “Pertanto, tenendo conto dell' insieme delle citate indicazioni formulate alla pagina 4 della richiamata Circ. n. 2/2020, anche nella modalità lavorativa agile potrebbe risultare possibile la fruizione dei permessi su base oraria previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di lavoro vigente. Essi, nella fattispecie in esame, si concretizzerebbero nella possibilità per il dipendente, in relazione ad un intervallo temporale determinato, di essere sollevato dal predetto obbligo di contattabilità laddove la sua esigenza per natura e caratteristiche, non risulti compatibile con tale obbligo e non possa essere soddisfatta al di fuori del periodo di durata del medesimo, ferme restando le ordinarie disposizioni contrattuali sulle causali, e sulla motivazione e sulla documentazione dei permessi stessi.

 

 L' Agenzia dimentica  che l' obbligo per il lavoratore è di rendersi contattabile nelle fasce non pare sussistere, derivando ai fini “ della prova, e disciplina l'esecuzione della prestazione lavorativa svolta all'esterno dei locali aziendali” ( art. 19 comma 1 legge 22 maggio 2017, n. 81) dall' accordo scritto fra le parti circa le modalità di esecuzione del lavoro agile, atto però dal quale, nell' emergenza sanitaria, si prescinde per espressa scelta del legislatore ( art. 87 comma 1 del D.L. n. 18/2020 come convertito con legge n. 27/2020), che aldilà dei servizi essenziali, ha imposto lo “smart working” a tutto il restante personale.

 

Prestazione eccedenti l'orario ordinario che diano luogo ai compensi straordinari o ai riposi compensativi

Nella nota Aran si afferma: “Risulta quindi evidente che l'applicabilità degli istituti contrattuali relativi alle prestazioni di lavoro straordinario ed ai riposi compensativi richiede, quali condizioni necessarie e legittimanti, di norma non riscontrabili nel lavoro agile, come affermato anche dalla ricordata circolare 212020 alla pagina 4;

-l'assolvimento dell'obbligo lavorativo nell'ambito di un tempo di lavoro predefinito, puntualmente rilevato e controllato;

-lo svolgimento delle prestazioni straordinarie nell'ambito di un tempo aggiuntivo, anch'esso puntualmente rilevato e controllato, con sistemi conformi a quanto prescrive la normativa in materia.

Laddove l'amministrazione ritenga di avere necessità di chiarimenti relativamente ad aspetti della richiamata disciplina legislativa. anche emergenziale, in materia di organizzazione del lavoro agile, si rammenta che tale attività ermeneutica esula dalla competenza della scrivente Agenzia come sopra definita.”

…. ”In materia, pertanto, non può che farsi rinvio alle indicazioni del Dipartimento della Funzione Pubblica.”

 

Dalla circolare n. 2/2020 del Ministro per la P.A. invece: “Si sottolinea che - fermo restando il divieto di discriminazione – istituti quali prestazioni eccedenti l’orario settimanale che diano luogo a riposi compensativi, prestazioni di lavoro straordinario, prestazioni di lavoro in turno notturno, festivo o feriale non lavorativo che determinino maggiorazioni retributive, brevi permessi o altri istituti che comportino la riduzione dell’orario giornaliero di lavoro appaiono difficilmente compatibili con la strutturazione del lavoro agile quale ordinaria modalità delle prestazione lavorativa. Si ritiene pertanto conforme a normativa che una PA non riconosca a chi si trova in modalità agile, ad esempio, prestazioni di lavoro straordinario.”

 

Nel presupposto della sussistenza delle condizioni/situazioni di carattere eccezionale e straordinario, che giustificano la richiesta al dipendente di eseguire prestazioni di lavoro ulteriori ed aggiuntive rispetto al consueto orario di lavoro ordinario, si rileva dai sopracitati pareri/provvedimenti che il divieto a “riconoscerle” a chi si trova collocato in lavoro agile, ha solo fondamento nell' impossibilità di rilevarlo e controllarlo, con sistemi conformi a quanto prescrive la normativa in materia.  Anche in questo caso, sia l' Aran che il Dipartimento della Funzione Pubblica stranamente dimenticano che le forme di controllo e rilevazione del datore di lavoro sulla prestazione resa dal lavoratore all'esterno dei locali aziendali all' interno del lavoro agile, nel rispetto di quanto disposto dall'articolo 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300, erano previste dalla normativa di riferimento ( art. 21 comma 1 legge 22 maggio 2017, n. 81). L' impossibilità formale e sostanziale di svolgere tali controlli e rilevazioni, su prestazioni straordinarie e aggiuntive pur autorizzate dal datore di lavoro, sta anche questa volta nell' assenza di un accordo scritto fra le parti, coerente con le norme dei Contratti Collettivi se adeguate al lavoro agile, perché da tale atto di prescindere, nell' emergenza sanitaria, per espressa scelta del legislatore ( art. 87 comma 1 del D.L. n. 18/2020 come convertito con legge n. 27/2020).

Anche in questo caso emerge e prevale l' urgenza di tener fuori dai luoghi di lavoro il personale, facendo passare in secondo piano la continuità e l' utilità della prestazione svolta, non essendo riconducibile alle attività essenziali, determinando così un trattamento normativo più penalizzante rispetto al personale che svolge le medesime mansioni esclusivamente all'interno dell'azienda. Ciò è sorprendente perché di fatto contrasta palesemente con quanto previsto dalla normativa istitutiva del lavoro agile ( art. 20 legge 22 maggio 2017, n. 81), producendo di fatto disparità fra il personale ,ulteriormente aggravate dove non si è proceduto alle rotazioni, che le direttive in qualche modo suggerivano, nell' utilizzo di uno smart working “emergenziale per cui coattivo”.

Inoltre ad evidenziare la poca chiarezza se non ulteriori contraddizioni della nota Aran, è l' ammissione nella stessa, allorché affronta l' applicabilità della reperibilità, ( che non parrebbe vietata in lavoro agile in virtù dell' equiparazione normativa con coloro che svolgono attività in sede di lavoro esclusivamente all'interno dell'Ente) che “in caso di chiamata le ore siano retribuite con il compenso previsto per lavoro straordinario (art.38, comma7 ed art.38-bis, del CCNL del 14.9.2000) o con equivalente riposo orario compensativo...”.

 

Indennità condizioni di lavoro art.70 bis del CCNL del 21.5.2018

In questo caso l' Aran sostiene: “La soluzione, dipende dalle scelte che l'ente opera in sede di contrattazione integrativa ove viene individuata la misura dell'indennità entro i valori minimi e massimi e nel rispetto dei criteri ivi previsti; ogni valutazione o decisione in ordine all'erogazione o meno dell'indennità per condizioni di lavoro, quindi, non può che spettare all'ente nella sua veste di datore di lavoro e che ha sottoscritto il contratto integrativo.

Nella fattispecie sottoposta, pertanto, l'ente dovrà valutare, tenuto conto di quanto previsto nel contratto integrativo, se il personale chiamato a svolgere la prestazione lavorativa presso la sede di lavoro, durante lo stato di emergenza o che sia utilizzato, nel medesimo stato di emergenza in modalità di "lavoro agile", possa o meno avere diritto alla richiamata indennità, ove concretamente sussistano i suindicati presupposti fattuali per la sua erogazione.”

 

La problematica viene completamente scaricata sui contenuti della contrattazione integrativa dimenticando che in assenza di una norma contrattuale nazionale di riferimento difficilmente tali fattispecie, riconducibili ad una situazione emergenziale, potevano essere state adeguatamente previste a livello decentrato ricorrendo un carattere di novità/eccezionalità.

L' Agenzia negoziale neppure ha fatto lo sforzo di indicare e consigliare agli Enti l' opportunità di un adeguamento alla nuova realtà, coerente con l' improvvisa situazione emergenziale come si è temporalmente e convulsamente evoluta, degli istituti contrattuali della contrattazione decentrata in termini di aderenza al nuovo contenuto, per luogo e modalità di esecuzione, delle prestazioni lavorative svolte in forma agile, attivando in parallelo o appena passata la prima fase, le dovute forme di relazioni sindacali per renderle quantomeno applicabili per l' anno 2020.

 

Servizio di reperibilità ed erogazione della relativa indennità (art. 24 del CCNL del 21.5.2018)

Anche in questo caso l' Agenzia negoziale rispedisce al mittente la questione indicando:”Nei confronti del dipendente che, inserito in un servizio di reperibilità, sia chiamato a rendere effettivamente la prestazione lavorativa, trova applicazione esclusivamente la disciplina prevista dal comma 6, con esclusione di qualunque altra forma di compenso o trattamento accessorio.

La concreta applicazione dei suindicati orientamenti interpretativi della disciplina contrattuale in materia costituisce una attività di carattere gestionale esulante dalla competenza della scrivente Agenzia come sopra ricostruita e prerogativa esclusiva dell'Ente quale datore di lavoro.”

 

Anche in questo caso era sufficiente poter indicare che gli obblighi, ma anche i diritti economico normativi previsti dalla contrattazione collettiva, erano riconosciuti a prescindere dalla sede di operatività del personale ( interna o esterna all' Ente) purché lo stesso fosse adibito a servizi e attività inseriti nei programmi di reperibilità. Questo avrebbe consentito in tutti gli Enti un'applicazione uniforme dell' istituto, e ove necessario a seguito di un confronto negoziale.

 

Indennità art. 31, c. 7 del CCNL del 14.9.2000 e art. 37, e. 2 del CCNL del 6.1.1995

Nella nota Aran si afferma:”...Ordinariamente, tale compenso, quindi, non può non essere erogato che al solo personale in possesso del profilo di educatore di asilo nido (ai sensi dell'Allegato A al CCNL del 31.3.1999), che, in via permanente ed esclusiva svolga attività educative.

In sostanza, come emerge dalla disciplina contrattuale, si tratta di indennità che si collegano alla specifica professionalità posseduta dal dipendente e che sono erogate solo nel caso dell'effettivo ed esclusivo svolgimento delle attività e delle specifiche mansioni proprie dei profili professionali dell'educatore e dell'insegnante.

Pertanto, esse non possono essere riconosciute ove manchino le condizioni legittimanti previste dalla disciplina contrattuale.

Nella fattispecie sottoposta, tuttavia, ove indicazioni sugli effetti dell'impossibilità di svolgere regolarmente l'attività educativa e di insegnamento da parte del personale delle scuole materne e degli asili nido nel particolare stato di emergenza epidemiologica da Covid-I9, necessitino da parte dell'Ente di chiarimenti interpretativi della predetta disciplina speciale, non può che farsi rinvio alle indicazioni del Dipartimento della Funzione Pubblica.”

 

Anche in questa fattispecie si rimettono dall' Aran ad altri le problematiche interpretative, non cogliendo neppure il tentativo fatto con la Circolare n. 2/2020 del Ministro per la P.A. attraverso la quale si indicava agli Enti che “ È altresì possibile - anzi è auspicabile che le amministrazioni si attivino in tal senso – a promuovere percorsi informativi e formativi in modalità agile che non escludano i lavoratori dal contesto lavorativo e dai processi di gestione dell’emergenza, soprattutto con riferimento a figure professionali la cui attività potrebbe essere difficilmente esercitata in modalità agile e per le quali l’attuale situazione potrebbe costituire un momento utile di qualificazione e aggiornamento professionale.”.

Sostenere un siffatto percorso sarebbe stato perfettamente in linea con lo svolgimento delle attività e mansioni proprie dei profili professionali quale continuità dell' attività educativa

 

Indennità di ordine pubblico - stato di emergenza derivante dal Covid-19

Nella nota Aran si afferma: ”Con riferimento, infine al quesito in oggetto, si deve evidenziare che le indicazioni applicative sul riconoscimento della indennità di ordine pubblico al personale di polizia locale coinvolto, su tutto il territorio nazionale, nell'attività di monitoraggio e di attuazione delle disposizioni per il contrasto della diffusione della epidemia Covid-19 in conseguenza della relativa normazione di emergenza, sono contenute nella Circolare del Capo della Polizia del 16 marzo 2020 e nella Circolare del 13 marzo in essa richiamata.

Ogni aspetto collegato al riconoscimento della richiamata indennità, ivi compresa la questione della eventuale cumulabilità con l'indennità di servizio esterno di cui all'art. 56 quinquies del CCNL del 21 maggio 2018, nel particolare stato di emergenza derivante dal Covid-19 attiene, quindi, esclusivamente alle richiamate indicazioni applicative.

Anche per questo aspetto, non può che farsi rinvio alle indicazioni che potranno essere fornite dal Dipartimento della Funzione Pubblica o dal Ministero dell'Intemo.”

 

La problematica viene completamente scaricata su altri soggetti, pur in presenza della necessità di dare un' organica e uniforme applicazione ad una problematica, che potrebbe riguardare l' intero territorio nazionale. I riferimenti contenuti nella circolare del Direttore della P.S. del 16/03/2020 non devono essere interpretati in senso letterale ( incompatibilità dell' indennità di ordine pubblico con l' indennità per i servizi esterni) ovvero calati allo stesso modo in diverse realtà nella quali si applica una disciplina normativa ed economica diversa, e con diverse realtà operative e assetti organizzativi. Non è infatti secondario che nel panorama frammentato del comparto delle funzioni locali caratterizzato da molti servizi di polizia locale con una limitata dotazione organica, sussista una difficoltà palese anche nell' individuare in via esclusiva l' espletamento dei soli servizi esterni operativi su strada per il controllo del territorio ai fini di contenere il contagio, considerato invece il presupposto per l' attribuzione/erogazione dell' indennità di ordine pubblico. A tal fine era necessaria una disciplina di indirizzo a livello nazionale al fine di evitare difficoltà, incertezze ovvero incoerenze e diversità applicative e di erogazione.

 

Purtroppo si deve constatare come a livello nazionale, con ripercussioni a livello locale decentrato, l' Agenzia negoziale non abbia saputo cogliere i richiami contenuti, ad esempio, nella Circolare del Ministro per P.A. nella quale si evidenziava che “le amministrazioni sono chiamate, nel rispetto della disciplina normativa e contrattuale vigente, a definire gli aspetti di tipo organizzativo e i profili attinenti al rapporto di lavoro... previo confronto sotto tale aspetto con le organizzazioni sindacali.”

Questo in particolare in ordine al personale in smart working, in relazione al quale ciascuna Pubblica Amministrazione avrebbe dovuto assumere le determinazioni di competenza in tale materia, previo confronto negoziale con le rappresentanze sindacali.


Delegati\e  Rsu  pubblico impiego eletti nel Sindacato generale di base Toscana

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