Una strategia per l’Italia?

CESPI/Note Marzo 2019
Una strategia per l’Italia.
Tre giorni di discussione col marchio di “Limes” a
Genova
di Tiziano Tussi* filosofo e giornalista

Dall’8 al 10 marzo si è svolta a Genova, a Palazzo Ducale, una tre giorni di discussioni organizzata da “Limes”, rivista di geopolitica che è attiva dal 1993, in versione cartacea, ed ha pure in uso un sito web. Il programma, quanto mai vario degli incontri, mostra tutte le capacità operative dal punto di vista analitico teorico della rivista, guidata da Lucio Caracciolo, un sessantacinquenne che ha salde conoscenze riguardo agli aspetti geopolitici a livello mondiale.
Ho seguito due incontri, sabato 9 marzo. Cercherò di legarli assieme usando come chiave di lettura proprio il titolo dell’incontro: Una strategia per l’Italia.

Il primo incontro aveva come tema i rapporti fra USA, Cina e Russia; il secondo la relazione tra l’euro e l’Italia. Si può tentare di intrecciare le due problematiche per arrivare a capire come il nostro Paese, in seno all’Europa, soffra delle debolezze europee, cui si aggiungono quelle più
specificatamente italiane, e come la bassa statura politica internazionale dei nostri politici possa aggiungere problemi a problemi.
Il primo incontro, Il contesto mondiale: sfida Usa-Cina-Russia, vedeva la partecipazione di Jacob L. Shapiro, capo analista di “Geopolitical Futures”, del prof. You Ji, Direttore del Dipartimento Governo e Amministrazione pubblica - Università di Macao, e di Dmitrij Suslov, Vicedirettore del Centro di studi europei e internazionali, National Research University Higher School of Economics, Mosca. A tenere le fila dell’incontro Dario Fabbri, membro del Comitato scientifico della rivista“Limes” e coordinatore per l’America. L’incontro è stato molto utile per capire ancora una volta cosa si agita
nel mondo “che conta”. Alle spalle dei 2 partecipanti erano riprodotte alcune illuminanti cartine che rimandavano alle zone di influenza delle tre grandi potenze. Ma è proprio sul numero cardinale che si sono attorcigliate le relazioni. In soldoni: gli Usa pensano che tutti gli stati del mondo, senza
eccezione, debbano indirizzarsi verso valori che platealmente e/o dichiaratamente definiscono come
libertà e democrazia. Nello specifico, la loro azione storica si è ammantata anche di altri comportamenti che non hanno portato proprio verso la libertà e la democrazia: ricordiamo solo i casi del Vietnam e dell’Afghanistan. Ma questi non sono stati temi dell’incontro, che si è aggirato, comunque, avendo tali azioni storiche di sottofondo. La Russia e la Cina, per bocca dei due
interlocutori di questi Paesi, si sono affrettate a dichiarare allo statunitense che nel mondo esistono
anche loro con le proprie diverse culture e diverse sfere di influenza. È stata anche ricordata la teoria del multipolarismo di novecentesca memoria. Teoria sempre in affanno, dato che gliStati Uniti non hanno mai accettato un’analisi geopolitica diversa dalla versione liberale e liberista che ha trionfato nel mondo, specialmente dopo la fine dell’URSS. Ma è proprio la presenza sullo scenario internazionale di una Cina diversissima da quella maoista del secolo scorso e di una Russia che ha
evidentemente spoglie del passato nella sua vita sociale e culturale attuale, ma che mette assieme anche altre di assoluta novità, condite in salsa agrodolce, un ponte tra un passato lontano, la Grande madre Russia, e un futuro da costruire, quello della nuova Russia di Putin.

Insomma, il dialogo si è svolto seguendo queste due prospettive numeriche: una sola potenza o più di
una? Il discussant americano ha ricordato la lotta del mondo libero all’ISIS, che per lui aveva alla base proprio quel binomio di principi – libertà e democrazia – da cui era partito il suo intervento. USA e Russia, hanno agito assieme, ha detto. Il russo ha risposto che proprio così non è stato. Non era per una condivisione valoriale, non era per una condivisione dei valori occidentali che Russia e USA hanno combattuto l’ISIS, ma ognuno dei due Paesi lo ha fatto per proprio conto, con strategie
utili e diversificate, anche se l’obiettivo finale era naturalmente uno: la sconfitta dello Stato Islamico.
Aggiungo che l’esempio americano è stato un po’ difficile da portare, un esempio complicato data
l’indeterminatezza sulla precisa conoscenza, che abbiamo ancora oggi, della nascita dello Stato
Islamico e del suo rapporto con aiuti sospetti che a quell’impresa sono arrivati. La questione rimanda purtroppo a quell’altra simile, sviluppatasi in altri anni, e precisamente alle relazioni degli USA con Osama Bin Laden, prima supportato e poi distrutto dagli USA.
Ma questa è un’altra storia. In ogni caso lo scontro internazionale tra i tre paesi è quanto meno acuto: Fabbri ha ricordato, nella sua introduzione, tra l’altro, due questioni spinose: la nuova via della seta cinese, che interessa in questi tempi direttamente anche l’Italia ed il rapporto-scontro con la Corea del Nord da parte degli USA. Nel quadro della reductio ad absurdum di uno scontro internazionale, come abbiamo cercato di delineare, che si basa, soprattutto, sull’accettazione dell’esistenza, per quanto riguarda l’individuazione delle potenze mondiali, del solo numero uno – solo gli Stati Uniti con addentellati vari – oppure di un numero più alto – due o cinque, i cosiddetti Paesi BRICS –anche il riavvicinamento USA-Corea del Nord fa gioco nel tentativo di delimitare la potenza cinese in ascesa. In tutto questo la lontana, povera, a livello di gioco politico internazionale, Europa Unita fa veramente una brutta figura ed in essa l’Italia viaggia in terza classe.Viene un po’ di sconforto pensare che a livello geopolitico mondiale si debba ragionare solo in termini di
zone di influenza di potenze più o meno grandi. Ma adottando questa lente di lettura appare ancora più disperante il ruolo che l’Italia può sostenere a livello internazionale.

Ma possiamo cercare di delineare il nostro rapporto con l’euro e le sotto potenze che in Europa ancora vivono e/o credono di vivere. È di questi mesi la brutta commedia che si recita al Parlamento inglese, preso nella sconclusionata morsa della Brexit; arriviamo alla Germania, grande
piccola potenza in Europa ed alla  Francia, con pretese egemoniche in Africa ed in altri rimasugli di sovranità in piccoli angoli del mondo, ma che in definitiva dovrebbe badare di più ai suoi problemi interni – leggi gilet jaunes. L’Italia ben poco potrebbe fare, anche se avesse politici di grande levatura internazionale.
Tale impossibilità è stata particolarmente evidenziata nel corso della discussione all’incontro sui
rapporti tra l’euro ed il nostro Paese. I relatori sono stati Lars Feld, direttore del Walter Eucken Institut, professore di politica economica presso l’Università di Friburgo e membro del Consiglio tedesco degli esperti economici, Pierre-Emmanuel Thoman, analista e presidente di Eurocontinent - centro di analisi internazionale tra Francia e Germania, e Andrea Boltho, economista e professore emerito dell’Università di Oxford. Ha moderato Fabrizio Maronta, responsabile delle relazioni
internazionali di “Limes”. Al di là delle questioni di grande conoscenza, che i primi due relatori
citati hanno riportato, la cosa più simpatica è stata la chiusura dell’intervento dell’economista Boltho.
La terza ed ultima possibilità che l’Italia si poteva dare, secondo lui, nei rapporti con l’euro è stato il
suggerimento di …pregare. Questo la dice lunga sullo stato di salute della moneta unica europea, con 19 paesi dell‘EU a farne parte. Dice Boltho che le nostre diversità, tra Paesi europei, si sono acuite nel corso del tempo e che di fronte allo scenario di indeterminatezza politica, culturale e militare con una valuta unica e Paesi che vogliono andare ognuno per proprio conto, rimanendo all’interno di
un’unica moneta, si crea un continu oturbinio di problematiche irresolubili.
È come se sotto una camicia di una certa misura le membra di ogni paese volessero muoversi in modo diverso. Questo esempio, che non è di Boltho, mi è venuto in mente ascoltando le sue analisi macro-politiche. Il risultato che resta è che le differenze culturali, in senso lato, sono la fossa dell’euro e dell’Europa Unita, ed evidentemente lo sono pure le differenze strutturali, militari,
finanziarie, di decoro della classe politica dei vari paesi. Alla fine, non c’è molta speranza con l’euro, ma non c’è speranza più forte, anzi sarebbe appunto più bassa per Boltho, senza l’euro. Ecco perché lo stesso ha concluso il suo intervento con …pregate! Interessante il finale mistico. Ma sul piano dei rapporti geopolitici ed economici internazionali con il misticismo, un po’ english, si può veramente sperare, ma forse non è utilizzabile nella prassi. In ogni caso…oremus!

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