Vogliono separare la salute dalla sicurezza sul lavoro


Un altro buon motivo per votare NO al prossimo referendum costituzionale
di
Aldo Fedi, medico del lavoro

Il nuovo articolo 117 della Costituzione ai sensi dell'art.31-comma 1 della legge costituzionale C.2613-D votato il 18 aprile 2016 in via definitva dalla Camera dei Deputati ridefinisce la potestà legislativa esercitata dallo Stato e dalle Regioni e stabilisce che lo Stato ha legislazione esclusiva, tra le varie materie, anche, al punto
o), su “tutela e sicurezza del lavoro”, mentre, al punto m), stabilisce la medesima potestà esclusiva di legislazione da parte dello Stato su “disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare”; al secondo comma stabilisce, poi, che spetta alle Regioni la potestà legislativa, tra le altre, in materia di “programmazione e gestione dei servizi sanitari e socialisenza citare la sicurezza sul lavoro. Si tenga conto che nel precedente testo dell'art.117 la “tutela e la sicurezza del lavoroera materia di legislazione concorrente tra Stato e Regioni, legislazione concorrente che ora viene del tutto abolita.

Mi pare che, in questo modo, subisca una forte accelerazione il percorso iniziato da tempo dai governi di centro-destra, con precise responsabilità del Ministro del Lavoro Sacconi che ha sempre auspicato che fosse ricondotta sotto la piena ed esclusiva competenza dello Stato e, quindi, del suo ministero, la materia della sicurezza del lavoro separandola dalla salute in genere e, quindi, anche dalla salute sui luoghi di lavoro.

Si tratta di una scelta aberrante dal punto di vista culturale, scientifico, storico, istituzionale e politico.

Dal punto di vista culturale, innanzitutto, in quanto prefigura una scissione della persona del lavoratore in due momenti distinti e separati, come se le problematiche della sua salute si potessero in qualche modo, impossibile peraltro, affrontare disgiuntamente dalle problematiche della sua integrità psico-fisica: una sorta di lavoratore dimezzato che soltando dopo aver subito un danno di natura infortunistica a causa del lavoro passerebbe, per le cure e la riabilitazione, sotto le competenze del Servizio Sanitario Nazionale. Fatto, questo, incomprensibile anche perchè se il danno alla sua integrità psico-fisica è derivato da altre situazioni, una delle molteplici possibili nella vita, che non siano riconducibili al lavoro (es. un infortunio domestico), in tali casi il Servizio Sanitario Nazionale se ne dovrebbe far carico anche per gli aspetti prevenzionistici. Sempre sotto questo profilo si ritorna ad una separazione artificiosa dell'ambiente di vita dall'ambiente di lavoro, che viene ricondotto, quest'ultimo, sotto ben precisi recinti delimitati da alti steccati, quando, invece, si registrano continui e costanti scambi, nonché sempre più frequenti interconnessioni ed influenze reciproche tra le diverse condizioni di vita e di lavoro. Il tempo di lavoro è grande parte del tempo di vita e le condizioni nelle quali si svolge possono determinare riflessi fondamentali sotto il profilo prevenzionistico con molteplici pericoli e rischi che devono essere attentamente valutati ai fini dell'adozione di idonee misure di prevenzione e protezione suscettibili di utili indicazioni per tante dimensioni del vivere quotidiano.

Dal punto di vista scientifico disponiamo di una vasta bibliografia fatta di miriadi di studi, ricerche, indicazioni, linee guida e buone prassi tecnico-operative che vanno in direzione esattamente opposta a quella indicata da questa scelta aberrante. Tanto vasta che è addirittura imbarazzante portare degli esempi e dei casi a sostegno di questa convinzione, con la probabilità di applicare criteri selettivi del tutto discutibili.

Forse, una delle questioni più eclatanti è quella del lavoro notturno. Si tratta di una questione eminentemente organizzativa: ormai molti lavoratori sono distribuiti su più turni di lavoro, anche notturni, sia nei comparti servizi, sia nella logistica, sia nel manifatturiero, sia nel commercio. Tuttavia questa fattispecie, pur essendo attinente all'organizzazione del lavoro, ha grande importanza per la salute delle persone. La IARC, Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro dell'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha classificato il lavoro notturno, nella monografia n.98 del 2010, come probabile cancerogeno per l'uomo (gruppo 2 A) per le alterazioni dei ritmi biologici e degli equilibri ormonali che provoca con conseguenze documentate in numerosi lavori scientifici sull'insorgenza di tumori (polmone, vescica ed altre sedi). Le medesime scelte organizzative delle aziende non possono influire anche sulla possibilità che si verifichino infortuni sul lavoro? Gli aspetti relativi alla tutela del lavoro e della sicurezza si intrecciano strettamente con quelli della salute dei lavoratori: separarli è una operazione assurda dal punto di vista tecnico-scientifico.

Ma lo è anche dal punto di vista storico. Prima del 1978, anno della riforma sanitaria sancita dalla legge n.833 istitutiva del Servizio Sanitario, nella legislazione dei primi anni del dopoguerra, gli anni della ricostruzione, era in vigore un sistema di competenze rigidamente ripartite per settori diversi dell'organizzazione statuale pubblica: l'Ispettorato del Lavoro, articolazione del Ministero del Lavoro, era incaricato di sorvegliare le aziende per il rispetto della normativa antinfortunistica mentre altre strutture molteplici si occupavano della salute, della cura e della riabilitazione. Furono proprio gli anni della crescita economica dell'Italia e il passaggio della nostra nazione da paese prevalentemente agricolo a potenza industriale a mettere in drammatica evidenza la limitatezza di un tale assetto separato e non coordinato delle competenze. Grande è stato il contributo in termini di infortuni sul lavoro, molti gravi e mortali, e di malattie professionali pagato in questo passaggio epocale, al punto che grandi lotte operaie determinarono la crescita di una coscienza diffusa della necessità di cambiamenti che riconducessero a unità tutti gli interventi auspicati e possibili. Reintrodurre la separatezza proposta nell'art.117 della legge costituzionale votata in via definitiva dalla Camera dei Deputati nell'aprile scorso vorrebbe dire riportare la materia della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro al secolo passato.

Oltretutto vorrebbe dire anche rinnegare i grandi progressi realizzati in Italia dalla prevenzione nei luoghi di lavoro: perchè e vero che ogni infortunio mortale, ovvero ogni malattia professionale è una sconfitta che richiede ulteriori sforzi e miglioramenti nell'azione da svolgere, ma non ci dobbiamo dimenticare che mentre oggi si registrano, ogni anno, circa 1000-1200 infortuni sul lavoro mortali, negli anni 60 i numeri erano ben altri, nell'ordine di 3-4 volte superiori. La stessa normativa comunitaria nel frattempo intervenuta grande impulso ha ricevuto dall'esperienza italiana della prevenzione nei luoghi di lavoro.

Ma due grandi questioni, infine, si pongono di assoluto rilievo.

La prima è che, nell'ipotesi malaugurata che questa norma venisse confermata nel prossimo referendum di ottobre, si creerebbe un vulnus con la prima parte della stessa nostra Costituzione che all'articolo 32 recita “
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività” e all'art.41 – non casualmente - “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Il messaggio lasciato dai padri costituenti è chiaro e non deve essere stravolto non solo nei singoli contenuti, ma anche nell'ordine preciso e illuminante con il quale ci viene trasmesso.

La seconda è che, probabilmente, il vero significato politico dello stravolgimento proposto è un altro: si vogliono respingere ai margini certi diritti sociali e battere definitivamente le forze che si battono per la loro difesa e il loro sviluppo. Si vogliono recuperare margini ulteriori di manovra sul piano dell'iniziativa economica secondo rigide logiche di profitto in un mondo ormai condizionato da politiche liberiste che non ammettono vincoli o regole alle quali sottostare che siano ispirate al rispetto della dignità delle persone

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