25 aprile? Fuori dalla retorica e dalla autoreferenzialità




Da  anni, nella maggioranza delle città italiane,  le celebrazioni del 25 Aprile sono demandate alle istituzioni e solitamente si tengono concerti e cerimonie ufficiali alla presenza di militari, sindaci e assessori e di esponenti dell'Anpi. La deposizione della corona di fiori, un discorsetto retorico e senza contenuti per recarsi poi a qualche pranzo in un circolo, magari lo stesso che ha distrutto la biblioteca per sostituirla con una sala adibita al gioco delle slot o a pagamento per compleanni e feste.

Diciamocelo fuori dai denti: il 25 aprile è diventato un giorno festivo come tanti altri e a seconda del calendario l'occasione per un ponte in stagione primaverile. E a sinistra il contributo per lo smantellamento di una memoria attiva è stato determinante.

La politica dei giorni della memoria, delle scadenze decise spesso da maggioranze parlamentari bipartisan, ha prodotto quello che desiderava, ossia la manipolazione della storia e delle menti.

In Italia si celebra la unità d'Italia non nel giorno della breccia di Porta Pia che conquisto' Roma ma una unità monca alle quali manca parte del Veneto e la stessa Roma, quindi una manipolazione che rischia di trasmettere alle future generazioni un autentico falso storico.

La giornata delle foibe è senza dubbio la grande operazione che ha rilanciato il mito della "Brava Gente Italica" ovviamente nascondendo le occupazioni militari fasciste dei Balcani, le stragi di civili, le richieste di estradizione pervenute -e mai accolte- da Grecia, Albania ed ex Jugoslavia di criminali di guerra italiani che nel frattempo, nella Repubblica post resistenziale democratica ed antifascista , erano rimasti a capo di Questure, Prefetture, con ruoli di comando nell'esercito e nei Ministeri, riverniciati e riciclati per usare due termini gretti ma facili da comprendere.

Anni fa, un illustre studioso di diritto, Salvatore D'Albergo, entrò nel merito delle celebrazioni con lo stile caustico ma intellettualmente onesto (una virtu' rara di questi tempi ) che contraddistingueva tanti suoi interventi.

Piu' di 20 anni fa D'Albergo scrisse che il centro sinistra aveva rotto ogni continuità tra la prima e la seconda parte della Costituzione  come se avesse dimenticato che la Repubblica italiana nasceva proprio dalla rottura con quel modello monarchico/liberale dello Statuto Albertino su cui si era innestato lo stesso regime fascista.

Citiamo testualmente parte di uno scritto di Salvatore D'Albergo  la cui attualità traspare anche nelle poche righe riportate

Orbene, per ottenere che il popolo ritorni sovrano respingendo nel segno della “Repubblica fondata sul lavoro” un progetto di revisione della Seconda Parte che è inaccettabile (non tanto perché, come dicono con un neologismo mistificatorio i “giuristi democratici” corrivi alla strategia dell’”Ulivo”, contrastante con la Costituzione tramite la c.d. “democrazia costituzionale”, ma ben più provocatoriamente perché in antitesi con l’ideologia stessa della Costituzione e quindi anzitutto con i suoi Principi Fondamentali), è indispensabile che si avvii un tipo di discussione che è stato rimosso sin da quando una parte dello stesso Pci negli anni ’80 (soprattutto dopo la morte di Enrico Berlinguer) ha convenuto sulla necessità – in cui le stesse forze della destra sociale e politica (“golpiste”, e sinanco annidate nei partiti, specialmente socialisti) si sono trovate – di aprirsi un varco per il rivolgimento antidemocratico oggi squadernato dalla maggioranza “berlusconiana”, interrompendo capziosamente il nesso tra Prima e Seconda Parte della Costituzione, nella chiara consapevolezza che, in carenza di uno scontro frontale, una forma di governo di tipo “autoritario” è la condizione operativa di una strategia di consolidamento del capitalismo e della classe dominante. Una strategia idonea a portare alle estreme conseguenze antidemocratiche quella concezione di “modernizzazione” che a suo tempo ha concorso all’instaurazione dello stesso regime fascista come regime del “capo del governo” e del carattere nazionale dell’iniziativa economica privata.
Tale rimozione ha avuto come precondizione di un disorientamento di massa difficilmente recuperabile e tuttavia assolutamente indispensabile – per evitare che i partiti dell’”Ulivo”, tornando maggioranza, riprendano quel discorso avviato con la Commissione De Mita-Jotti (1993) e con la Commissione D’Alema (1997) ora estremizzato dalla “casa delle libertà” – l’abbandono dei due pilastri della “democrazia politica, economica e sociale” assunta nel modello del 1948:
a)sul terreno sociale, il dispiegarsi pieno dell’autonomia sociale dei lavoratori, con un sindacato di classe rivendicativo di un nuovo assetto dell’organizzazione della produzione e delle istituzioni centrali e decentrate (regioni, province, comuni);
b)sul terreno politico, un’autonomia del parlamento dal governo, come portato di un pluralismo imperniato sul sistema elettorale proporzionale (che fino al 1993 risultava applicato a tutti i tipi di elezione, escluse quelle riguardanti i piccoli comuni), dato che la estensione dell’uso del proporzionale come principio generale dell’ordinamento si innestava sull’ordine del giorno votato all’Assemblea Costituente, per ovviare al fatto che il sistema proporzionale è stato formalmente assunto solo nell’art. 39 concernente il pluralismo sindacale.

La supremazia dell'impresa ha prodotto danni nefasti anche in seno alla cultura resistenziale perché il richiamo alla Costituzione avviene svuotando la stessa di ogni significato, per esempio nessuno parla piu' di controllo e direzione a fini sociali dell'economia, del resto il fiscal compact in costituzione ha minato nelle fondamenta la Carta stessa e oggi possono, impunemente, riprendere la strada delle privatizzazioni, estendere il pareggio di bilancio negli enti locali, applicare tagli lineari alla spesa pubblica che poi inficiano lo stesso welfare e il diritto ad una esistenza dignitosa che veniva previsto dalla Costituzione.

La vittoria al referendum del 4 Dicembre non induca a pensare che i poteri forti, economici e politici, non torneranno ad attaccare la Costituzione svuotandola degli ultimi suoi elementi fondanti.

Detto cio' esiste un altro aspetto importante da riaffermare in questo 25 aprile che vede crescere in tutta Europa movimenti razzisti e xenofobi e allo stesso tempo assiste in silenzio alla detenzione di centinaia di giornalisti e prigionieri politici in paesi definiti liberi come Turchia ed Israele. Alcune realtà sociali, sindacali e politiche a Pisa hanno riportato dentro un circolo Arci (uno di quelli che come atto ri-fondativo ha voluto aprire una biblioteca) una discussione alla vigilia del 25 aprile invitando Davide Conti, autore de "Gli uomini di Mussolini".

Abbiamo parlato con alcuni degli organizzatori che riassumono il significato della loro iniziativa


Il 25 aprile 2017 arriva con nuove e reiterate aggressioni militari da parte Usa e Nato,  mentre in Italia viene preceduto dall'approvazione dei decreti Minniti-Orlando che, oltre a criminalizzare la marginalità sociale, restringono le libertà collettive perseverando con quelle legislazioni emergenziali che nel nostro paese hanno creato solo danni alle agibilità democratiche e alle libertà. Non a caso l'Italia è uno dei pochi Paesi in cui non esiste il reato di tortura ed è tabù perfino il codice identificativo per riconoscere uomini e donne in divisa colpevoli di abusi.
In Italia esiste ancora il codice Rocco dal nome del ministro di giustizia fascista tra il 1925 e il 1932, anzi questo codice è rimasto in piedi e rafforzato con la legislazione cosiddetta antiterrorismo.
Non è un caso che oggi in Italia si continui a costruire legislazioni di emergenza che riprendono e sviluppano quel codice Rocco nato in pieno ventennio fascista e utilizzato contro gli oppositori comunisti e democratici, oggi ancora vigente e perfino rafforzato dal decreto Minniti,  costruito come risposta repressiva al disagio sociale.
La memoria della resistenza antifascista non può essere, dunque, solo un ricordo da coltivare con agiografica retorica, ma una pratica capace di attualizzare i valori della lotta partigiana. Perché la memoria storica non si trasformi in farsa o in un falsato ritratto del passato, è necessario che sia messa in connessione con l’innegabile diffusione, in tutta Europa, di movimenti e partiti xenofobi e razzisti che fanno riferimento al fascismo e arrivano a negare la storia o movimenti che senza richiamarsi al fascismo ne ripresentano connotati e contenuti.

Davide Conti è storico serio e rigoroso, lo abbiamo inviato il 24 aprile per una conferenza, la nostra è forse la sola iniziativa nell'intera provincia che non si traduca in un pranzo o in un concerto.
il   libro di Conti parla di prefetti, criminali di guerra, questori, funzionari dello stato che hanno attraversato decenni per approdare a importanti ruoli nello stato democratico. In Italia non si è fatto i conti con la epurazione, anzi come accaduto in Germania   epurazione non c'è stata  se non di mera facciata, già nel 1947 venivano cacciati partigiani e sostituiti con i fascisti.
Niente abbiamo saputo delle richieste di estradizione da parte di paesi come Jugoslavia, Grecia e Albania di criminali di guerra che poi ritroviamo come funzionari di stato o ufficiali dell'esercito, basti ricordare la storia dell'armadio della vergogna.

Ci sono uomini per tutte le stagioni che abbiamo ritrovato, coinvolti nelle stragi di braccianti e sindacalistici (in Sicilia ) o nei servizi segreti deviati durante gli anni della strategia della tensione.

Fare i conti con la storia reale degli ultimi 70 anni significa per noi non solo recuperare la memoria ma attualizzarla, l'esatto contrario di quanto fanno i retorici adulatori della Resistenza che mentre tacciono sulla presenza di gruppi fascisti e xenofobi nelle scuole e nei quarieri leggono, con una lente sbagliata, solo la cacciata del fascismo senza entrare nel merito della fascistizzazione, di come i fascisti ripuliti sono tornati utili allo stato democratico e ai partiti che lo hanno governato per 40 anni, di una Resistenza che all'indomani del 25 aprile era stata già imbrigliata e depotenziata da quanti poi, nei decenni successivi, hanno fatto carriera politica nel mito della lotta partigiana.




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