Sull’ampliamento della RWM, “fabbrica delle bombe insanguinate”, la Regione Sardegna non si allinea al governo guerrafondaio
Sull’ampliamento della RWM, “fabbrica delle bombe insanguinate”, la Regione Sardegna non si allinea al governo guerrafondaio. E rischia il commissariamento
di Laura Tussi e Salvatore Izzo
“La mancata assunzione di una decisione della Giunta regionale, che era tra l’altro una presa d’atto su una rigorosa procedura di valutazione durata oltre 30 mesi, costituisce un fatto gravissimo sotto il profilo istituzionale e amministrativo – afferma Confindustria in una nota – Non rispettare un procedimento amministrativo, con un termine imposto anche dal Tar, significa esporre deliberatamente la Regione al commissariamento e scaricare sulle imprese, sui lavoratori e sui territori il prezzo di una paralisi decisionale che non è più tollerabile”.
Di fronte a una pressione politica senza precedenti, la Regione Sardegna ha dunque preferito non assumersi la responsabilità di aumentare il numero degli ordigni che compiono orride stragi. E lo ha fatto nel punto in cui quel no pesa di più: sull’ampliamento della RWM di Domusnovas-Iglesias, la fabbrica di bombe che da anni macchia l’Iglesiente di un ruolo che non ha mai scelto, quello di retrovia industriale delle guerre globali. Il mancato via libera regionale all’ampliamento dello stabilimento – oggi controllato dal gruppo tedesco Rheinmetall – segna uno spartiacque politico e simbolico, tanto più significativo perché arriva contro le insistenze del governo Meloni e, in particolare, del ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, che ora intende procedere al commissariamento della Todde riguardo a questa partita.
Secondo quanto ricostruito da diverse fonti giornalistiche nazionali e locali nelle ultime settimane, infatti l’esecutivo ha esercitato forti pressioni sulla presidente della Regione Alessandra Todde, esponente del Movimento 5 Stelle, affinché la Giunta autorizzasse l’estensione dell’impianto produttivo. Un ampliamento che avrebbe consentito alla RWM di triplicare la capacità produttiva, aumentando la fabbricazione di ordigni della serie MK e aprendo ulteriormente alla produzione di sistemi d’arma avanzati, compresi droni di derivazione israeliana. Todde, contrariamente alle previsioni e alle aspettative del governo e dei vertici industriali, non ha ceduto.
Il contesto non è neutro. La fabbrica RWM è da anni al centro di controversie giudiziarie e politiche. Nel 2021 il Consiglio di Stato ha stabilito che parte degli ampliamenti erano stati realizzati in modo irregolare, senza una corretta Valutazione di impatto ambientale. Da allora, una lunga istruttoria ha fatto emergere criticità pesantissime: violazioni amministrative, rischi ambientali, problemi di sicurezza in un’area classificata ad alto rischio di incidente rilevante e collocata in prossimità di un corso d’acqua soggetto a esondazioni. Non dettagli tecnici, ma nodi strutturali.
Eppure, per anni, la Regione Sardegna – sotto giunte di diverso colore politico – si è spesso schierata a favore dell’azienda, anche nei contenziosi giudiziari. La presa di posizione attuale rompe questa continuità e recepisce, almeno in parte, le ragioni avanzate da un fronte ampio e trasversale di associazioni ambientaliste, sindacali e pacifiste: Italia Nostra Sardegna, USB, Comitato Riconversione RWM, WarFree – Lìberu dae sa gherra, COBAS, Cagliari Social Forum, PCI Sardegna, Su Entu Nostu, Le Radici del Sindacato CGIL Sardegna, Rete Iside.
Al centro del loro no non ci sono solo gli aspetti procedurali o ambientali, ma una questione politica ed etica che oggi appare impossibile eludere. Ampliare RWM significa legare ancora di più la Sardegna alle filiere della guerra. Significa contribuire, direttamente o indirettamente, ai massacri in corso: ai bambini di Gaza uccisi sotto le bombe, alle vittime civili dello Yemen colpito per anni da ordigni prodotti anche a Domusnovas, ai giovani ucraini armati e mandati a morire in una guerra di logoramento che arricchisce l’industria bellica e svuota l’Europa di risorse sociali.
È qui che la scelta della Giunta Todde assume un valore che va oltre i confini regionali. Mentre il governo italiano rivendica un ruolo sempre più centrale nell’economia di guerra europea, aumentando le spese militari e rilanciando la produzione di armamenti come leva industriale, la Sardegna si sottrae – almeno per ora – a questa logica. Non per ideologia astratta, ma per una lettura concreta della realtà: nessun posto di lavoro immediato sarebbe stato messo a rischio da un diniego all’ampliamento, mentre i costi ambientali, sociali e morali sarebbero ricaduti interamente sulle comunità locali.
La retorica del ricatto occupazionale, ancora una volta, non regge. Regge invece la domanda che attraversa da anni l’isola: vogliamo essere una terra militarizzata, utilizzata per addestrare eserciti, testare armi e produrre bombe per le guerre altrui, o una terra capace di avviare una riconversione produttiva fondata su lavoro, ambiente, beni comuni e pace? La decisione sulla RWM non risponde a tutto, ma indica una direzione possibile.
Per questo appare una vergogna che lo Stato italiano abbia tentato di costringere la Sardegna a “sporcarsi le mani”, trasformando un territorio già segnato da servitù militari e spoliazioni industriali in un ingranaggio ancora più profondo del complesso militare-industriale globale. La pressione esercitata dal ministro Urso – in nome della competitività e dell’industria nazionale – rivela una concezione dello sviluppo che ignora deliberatamente le conseguenze umane delle armi prodotte.
Il no della Regione non chiude la partita. L’azienda potrà ricorrere ai tribunali, il governo continuerà a spingere, e il conflitto istituzionale è tutt’altro che risolto. Ma intanto un dato è acquisito: per una volta, la Sardegna non si è allineata. E ha dimostrato che anche dentro le istituzioni è possibile opporsi all’economia di guerra, assumendosi fino in fondo la responsabilità politica di una scelta che riguarda non solo il territorio, ma la dignità umana e il diritto dei popoli a non essere uccisi con bombe “made in Italy”.
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