Sindacato, militarismo e guerra


Il sindacalismo di base ha organizzato lo sciopero generale dello scorso 2 dicembre mettendo al centro delle rivendicazioni il rifiuto della guerra e della partecipazione del nostro paese al rifornimento delle armi all'Ucraina con aumento delle spese militari a discapito dei salari e delle spese sociali. Perchè il rapporto tra guerra e abbassamento dei salari è evidente, aumentano i costi energetici e dei generi di prima necessità e nello stesso tempo le politiche di austerità si abbattono implacabili sulle condizioni di vita delle classi subalterne.
In questi mesi la guerra è continuata e giorno dopo giorno perdiamo potere di acquisto  anche se il governatore della Banca d'Italia invoca misure contro l'inflazione tenendo al palo i salari.E il ministro Crosetto in Parlamento chiede all'Italia di escludere le spese militari dal patto di stabilità per raggiungere in fretta il 2 per cento del Pil per le spese militari nel rispetto degli impegni assunti dai paesi Nato fin dal 2014.


 
Il prossimo 25 Febbraio ci sarà una manifestazione nazionale a Genova e nella occasione Usb ha proclamato lo sciopero nei porti e negli aeroporti, una scelta che in tutta franchezza tutto il sindacalismo di base avrebbe dovuto sostenere senza primogeniture perchè la guerra in corso ha ripercussioni negative sulle dinamiche salariali e rappresenta una minaccia per gli stessi spazi di agibilità democratica come dimostra il ricorso alla repressione contro i movimenti sociali e la stessa canea mediatica attorno al 41 bis.
 
Alla manifestazione di Genova parteciperanno anche realtà sociali e politiche, realtà giovanili non identificabili con Usb, noi crediamo  questa scelta giusta  e condivisibile fermo restando che ci saranno anche altre iniziative sparse sul territorio da sostenere al di là delle parole d'ordine che le caratterizzeranno (ovviamente escludiamo quelle del Pd, partito schierato a favore della guerra con l'attivo sostegno accordato all'invio di armi).
 
Una militarizzazione strisciante va attraversando la società italiana, negli atenei le industrie di armi si presentano come mecenati che finanziano corsi di laurea e post laurea, organizzando stages nelle industrie di armi.
 
Mancano le risorse per tenere aperte le aule studio e per finanziare corsi di laurea, sono inadeguati i fondi per il diritto allo studio ma i soldi per la guerra si trovano sempre.
 
Nelle scuole di ogni ordine e grado troviamo militari nel ruolo di insegnanti a impartire lezioni di storia e di diritto costituzionale quando la nostra Carta, da decenni disattesa, prevede in teoria il rifiuto della guerra. E in queste lezioni si palesa anche il revisionismo storico, la lettura giustificazionista delle avventure coloniale e militariste dei regimi fascisti come dimostrano le celebrazioni di battaglie come El Alamein.
 
E sempre nelle scuole tra alzabandiera e esaltazioni militariste sta avvenendo da tempo una strisciante opera di "educazione " alla normalità della guerra.
 
Ma la realtà è ben altra, l'Italia dal 1999 ad oggi ha partecipato a innumerevoli conflitti sotto l'egida Nato e dell'Onu oltre a innumerevoli missioni umanitarie (si fa per dire) che hanno distrutto interi paesi colonizzati e piegati al servizio e ai voleri delle multinazionali occidentali.
 
Il no etico e morale alla guerra per quanto legittimo sia risulta del tutto insufficiente, interi settori del mondo produttivo sono piegati alle ragioni della guerra e crediamo che in questi settori si debba misurare la risposta operaia per sottrarsi alla militarizzazione e alle sue dinamiche distruttive dei diritti sociali e del potere di acquisto dei salari.
 
Il rifiuto alla guerra si materializzi a partire dalle scuole , dagli atenei , dalla società e dai luoghi di lavoro, si inizi a rivendicare diritti sociali e aumenti salariali come prime risposte alle politiche dei sacrifici imposti per pagare le spese militari
 
E queste siano le parole d'ordine da portare nelle piazze del 25 Febbraio!

 

Sindacato di base cub Pisa

Commenti