Alfredo resta al 41 bis

I cinque giudici della Cassazione hanno deciso che Alfredo Cospito resterà al 41 bis respingendo il parere del procuratore generale Piero Gaeta che aveva chiesto il riesame del Tribunale di Sorveglianza e hanno perfino condannato Alfredo al pagamento delle spese processuali.



Una condanna a morte per il detenuto anarchico che aveva annunciato la volontà di continuare lo sciopero della fame nel caso in cui, come è avvenuto, la Corte di Cassazione avesse deciso di confermare il regime detentivo al 41 bis.

A seguire la nota del legale di Cospito pubblicata ieri dall'Osservatorio Repressione 

Comunicato dell’Avvocato Flavio Rossi Albertini, legale di Alfredo Cospito, sulla decisione che la corte di Cassazione dovrà prendere domani (24  febbraio) a riguardo la richiesta di revoca del regime di 41bis per il suo assistito

Nella giornata di domani la Corte di legittimità dovrà pronunciarsi sul ricorso proposto per Cospito avverso il rigetto del reclamo del Tribunale di Sorveglianza.

La vicenda giudiziaria ritorna finalmente nell’alveo della materia giuridica da cui era stata sottratta dalla formulazione degli argomenti proposti dall’Autorità Politica per rigettare la richiesta di revoca anticipata del regime differenziato de quo il 9 febbraio scorso.

Eppure in attesa del pronunciamento della Corte e per dissipare le nebbie motivazionali diffuse dal Ministro è necessario spiegare su quali pareri è stata fondata la decisione politica.

La difesa è infatti finalmente giunta in possesso dei quattro pareri richiesti dal Ministero e precisamente della nota del Capo dell’Amministrazione Penitenziaria, del Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, della DDA e della Procura generale di Torino.

Dalla lettura sinottica dei quattro atti istruttori emerge che solo la Procura Generale ha espresso con forza la necessità del mantenimento del 41 bis al detenuto, mentre gli ulteriori tre pareri hanno concluso contemplando la possibilità di contenere il giudizio di pericolosità del Cospito anche con il circuito penitenziario AS2, ovvero quello a cui Alfredo è stato sottoposto per oltre 10 anni prima dell’applicazione del 41 bis nel maggio scorso, seppur con le eventuali ulteriori “opportune forme di controllo proprie dell’ordinamento penitenziario” ovvero la censura.

Una ulteriore evidenza emergente dalla lettura dei quattro pareri è relativa al fatto che per rispondere all’istanza difensiva, volta ad affermare l’insussistenza dell’attualità dell’associazione Fai Fri, soltanto la Procura Generale di Torino non possedeva i requisiti funzionali per esprimersi in ordine al thema decidendum in quanto la medesima è organo giudiziario non deputato all’effettuazione di indagini. 

È infatti lo stesso Procuratore Generale a precisare che il proprio ruolo nella vicenda Cospito è di “pubblico ministero per l’esecuzione” della pena, avendo lo stesso emesso ordine di esecuzione, e di “pubblico ministero presso il giudice procedente” ovvero di Procuratore generale presso la Corte di Appello nel giudizio di rinvio. Pertanto, è il medesimo PG a riconoscere candidamente di non aver alcuna cognizione funzionale in ordine all’oggetto del quesito sottoposto dalla difesa al Ministro.

Che tale consapevolezza appartenesse al PG emerge dall’ulteriore circostanza che, a differenza degli altri tre pareri, l’estensore della nota si prodiga in una excusatio non petita affermando che “Verificata la titolarità e legittimazione dello scrivente (ammessa e consentita dal sig. Ministro e dal sig. Capo di Gabinetto) ad esprimere una valutazione in ordine alla questione di cui all’oggetto, da sottoporre al sig. Ministro della Giustizia, espongo quanto segue…” riconoscendo all’evidenza che l’assenza di competenza allo svolgimento di indagini determina che le uniche conoscenze dallo stesso veicolabili in virtù del proprio ufficio sono riferibili al passato, addirittura ad un processo le cui indagini si erano concluse nei primi mesi del 2017, mentre le questioni sottoposte dalla difesa al Ministro erano principalmente riferibili a due procedimenti penali celebrati negli anni 2021/2022.

Ulteriore evidenza apprezzabile nel parere della Procura Generale di Torino è relativa al fatto che per enfatizzare il giudizio di pericolosità del detenuto, prodromico alle conclusioni ivi espresse, l’estensore dell’atto si dilunga in un operazione agiografica, un panegirico sulla figura del Cospito, una evidente operazione di enfatizzazione del detenuto giungendo ad affermare che quest’ultimo “si pone come riferimento e “catalizzatore” di tutta una serie di aggregazioni del mondo anarco-insurrezionalista che a lui guarda come modello ed esempio”; e ancora “che le sue “chiamate” alle armi non solo non vengono ignorate ma si trasformano in una onda d’urto che si dipana non solo nel territorio nazionale ma anche in Paesi esteri, caratterizzati da un crescendo di intensità e di gravità”; ed ancora “se vi fosse bisogno di una dimostrazione rafforzata della sua posizione … basterebbe scorrere l’elenco degli eventi che ho sintetizzato in seguito, per ricavarne la dimostrazione plastica di un “mondo” che si muove su “imput” di Cospito ed a suo sostegno”. Insomma, Cospito come Che Guevara degli anni 60 e 70 del Novecento.

Eppure l’antitetico e ridimensionato giudizio sulla figura del Cospito, desunto dalle informative del Ros dei Carabinieri e dalla Direzione Nazionale della Polizia di Prevenzione, era ciò che aveva condotto gli estensori dei tre ulteriori pareri, tutti funzionalmente deputati a conoscere l’attualità delle vicende criminali (il Dap attraverso l’attività dei NIC), a valutare il circuito penitenziario AS2 idoneo a contenere la pericolosità di Cospito.

E’ ancora la Procura Generale ad enfatizzare l’espressione “il mio corpo è la mia arma” che compare significativamente anche nel rigetto ministeriale.

Dalla lettura del medesimo parere emerge inoltre che il reale scopo del 41 bis non è impedire il collegamento del detenuto con una associazione criminale terroristica, ma bensì contenerne il presunto ruolo di “ideologo, di istigatore ed apologeta”.

Se quindi il rigetto “politico” dell’istanza difensiva risulta fondato sull’unico parere emesso da un organo giudiziario privo dei requisiti per esprimerlo, mentre degli ulteriori tre non viene neppure fatta menzione nel provvedimento ministeriale, nella giornata di domani la questione tornerà a rivestire uno squisito valore giuridico. Consapevole del ragionamento proposto nella requisitoria del Procuratore Generale Dott. Gaeta e delle conclusioni dallo stesso prospettate alla Corte, ovvero di accogliere alcune censure difensive e rinviare al Tribunale di Sorveglianza di Roma per un nuovo esame, la difesa non può che sottolineare come l’annullamento con rinvio non potrebbe mai condurre a sanare e colmare il vuoto motivazionale individuato dal P.G. in quanto sia gli atti menzionati nel decreto applicativo che nell’ordinanza del TDS dimostrano plasticamente la violazione del principio di proporzionalità della risposta preventiva statale (ovvero invece di adottare lo strumento della censura per inibire al Cospito la possibilità di divulgare il proprio “estremismo ideologico” il Ministro ha deciso direttamente di sottoporlo al 41 bis con la conseguente sospensione di tutte le regole trattamentali e quindi la compressione ingiustificata di diritti soggettivi estranei alla finalità perseguita). E’ d’altronde lo stesso P.G. a scrivere che nel periodo in cui Cospito ha inviato articoli e contributi all’esterno dell’istituto penitenziario il medesimo non era sottoposto a censura.

Così come difettano fatti e circostanze per affermare che Cospito con la diffusione degli scritti all’esterno comunicasse con presunti associati, e non semplicemente con i suoi compagni anarchici, presupposto sul quale sia il decreto che l’ordinanza sorvolano, limitandosi ad affermazioni tautologiche e assertive, non sussistendo alcuna evidenza in proposito e al contrario essendo dimostrato che i redattori delle riviste e gli interlocutori del Cospito non solo non sono partecipi alla Fai, ma neppure associati ad altra consorteria anarchica.

Cosicché difetta il presupposto stesso del regime differenziato fondato sulla pericolosità sociale del detenuto, intesa nella sua forma specifica della capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale di appartenenza.

Lacune non colmabili con un giudizio di rinvio, non essendo presente nella vicenda de qua alcun fatto idoneo a dimostrare la sussistenza di un legame e/o interlocuzione del detenuto con soggetti diversi da meri militanti politici anarchici, non partecipi ad alcuna realtà associativa per come valutato e stabilito dall’Autorità Giudiziaria. Mentre la dilatazione dei tempi della decisione renderebbe incompatibile la stessa con le condizioni di salute del detenuto.

Avv. Flavio Rossi Albertini –  Patrocinante in Cassazione


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