Burkina Faso tra interessi imperialisti e protagonismo popolare

 

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Burkina Faso tra interessi imperialisti e protagonismo popolare

 

Tra il 30 settembre e il 2 ottobre 2022 si è consumato un nuovo colpo di stato in Burkina Faso, guidato dal capitano Ibrahim Traoré e sostenuto dal corpo militare di élite ‘Cobra’, dopo solo otto mesi da quello precedente.

Ci sono voluti tre giorni di manifestazioni popolari e scontri e la mediazione dei leader delle comunità tradizionali e religiose per costringere alle dimissioni il tenente-colonnello Paul Henry Damiba, presidente in carica, autoproclamatosi a seguito del suo colpo di stato avvenuto nel gennaio scorso, e capo del Movimento Patriottico per la Salvaguardia e la Restaurazione (MPSR).

Le condizioni poste per le sue dimissioni da Damiba, rifugiatosi a Lomé in Togo, sono state quelle di aver garantita l’amnistia per lui, la sua famiglia e i militari che gli erano rimasti fedeli, ma soprattutto l’impegno dei nuovi militari al potere di proseguire il processo di riconciliazione nazionale e il rispetto delle scadenze previste per il ritorno all’ordine costituzionale entro luglio 2024.

La motivazione principale avanzata da Traoré per il colpo di stato consiste nella totale incapacità del suo predecessore a far fronte efficacemente al terrorismo dei gruppi della Jihad Islamica che ha portato alla perdita del controllo su circa il 40% del territorio nazionale e la continua degradazione della sicurezza, che pure erano state le priorità dichiarate da Damiba.

Il nuovo colpo di stato è stato accompagnato da grandi manifestazioni popolari di giubilo nella capitale Ouagadougou e in altre città e da un tentativo di assalto all’ambasciata francese, con l’accusa ai militari di quel paese, che ha smentito, di aver dato rifugio a Damiba nella propria base militare di Kamboinsin. Si calcola che siano scese in piazza più di un milione di persone, cifra enorme se si considera che il Burkina Faso conta un totale di circa 19 milioni di abitanti.

L’appoggio popolare al nuovo colpo di stato si spiega con lo stato di esasperazione generalizzato dovuto al rapido deterioramento delle condizioni di vita delle masse popolari: l’inflazione è arrivata a superare il 18% nei mesi scorsi, ma con i prezzi dei generi alimentari aumentati di oltre il 30%, a cui si aggiunge la drammatica situazione nell’est e nel nord del paese. In queste zone del Burkina, come in Mali e in Niger, imperversano le bande di jihadisti islamici che, quando non si lanciano in uccisioni di massa (si calcola che siano state massacrate almeno 10.000 persone), pretendono il pizzo dalle popolazioni locali; tutto questo ha provocato lo spostamento di oltre 1,5 milioni di abitanti dalle loro abitazioni e attività, rendendo la vita normale, in quelle zone, praticamente impossibile.

Nei giorni successivi, Traoré, oltre ad assumere la carica di Presidente della Repubblica, ha preso anche le redini del MPSR dichiarando l’intenzione di rispettare gli impegni già presi dal suo predecessore e in particolare l’agenda dettata dalla Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS, Economic Community of West African States). Intenzione confermata negli incontri con il corpo diplomatico accreditato nel paese e le organizzazioni internazionali (ONU, Unione Europea, Banca Mondiale, ecc.) e con la delegazione della stessa ECOWAS, accolta tuttavia da manifestazioni popolari che ne contestavano il ruolo e l’agenda, nelle quali si potevano vedere sventolare alcune bandiere russe e ascoltare slogan contro la Francia e a favore della cooperazione Russia-Burkina.

Forse non a caso, lo stesso giorno Evgenij Prigozhin, fondatore dell’organizzazione militare mercenaria russa Wagner, ha dichiarato il suo sostegno a Traoré e ha dato disponibilità a mettere a disposizione l’esperienza degli istruttori russi, presenti nella Repubblica Centrafricana, per l’addestramento dell’esercito del Burkina, qualora le autorità lo avessero richiesto. Immediata la reazione degli Stati Uniti che hanno messo in guardia i nuovi militari al potere dal rischio di un’alleanza con i mercenari di Wagner.

Non è un mistero che il Burkina Faso sia nel mirino delle potenze imperialiste, non solo della Francia di cui era colonia e che ha imposto proprie basi militari in loco, ma anche degli Stati Uniti, della Russia e perfino dell’Italia che nel luglio del 2019 ha stipulato con lo Stato africano l’Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo del Burkina Faso relativo alla cooperazione nel settore della difesa. Il Burkina, infatti, è ricco di importanti risorse minerarie ed è tra i cinque paesi maggiori produttori di oro del continente africano.

Fin dall’indipendenza dalla Francia ottenuta nel 1960 (allora con il nome Alto Volta), il paese è stato oggetto delle mire dell’imperialismo, a partire da quello francese. L’ingerenza imperialista fu interrotta per il breve periodo rivoluzionario della presidenza di Thomas Sankara, dal 1983 al 1987, nel quale fu promossa l’autosufficienza alimentare, fu creata una rete di presìdi sanitari pubblici, furono bloccati gli affitti, fu combattuta la corruzione, fu attuata una politica contro la desertificazione delle terre, fu avviata una campagna contro l’analfabetismo, contro i matrimoni forzati e contro la pratica della mutilazione dei genitali femminili, nonché altri provvedimenti che elevarono significativamente il livello di vita degli strati più poveri della popolazione.

Una politica che scontentò molti settori della borghesia e della piccola borghesia del Burkina ma contribuì a creare coscienza tra le masse popolari che ancora oggi sono tra le più politicizzate del continente africano.

In politica estera, quel periodo si caratterizzò per la strategia antimperialista, per la promozione dell’unità panafricana, il sostegno ai movimenti di liberazione del continente, la condanna aperta del Franco CFA, moneta di retaggio coloniale attraverso cui la Francia riesce a controllare le finanze delle sue ex-colonie, il rifiuto di pagare il debito estero che implica politiche di austerità imposte da Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale e che provocano una forte riduzione dei livelli di vita delle masse popolari e favoriscono la penetrazione delle multinazionali occidentali.

Questa politica di indipendenza dalle potenze occidentali e dalle loro istituzioni economiche e finanziarie e che metteva al centro i bisogni dei lavoratori e delle masse popolari era intollerabile per l’imperialismo, in particolare per quello francese, che oltretutto temeva un ‘contagio’ rivoluzionario nei paesi confinanti: nell’ottobre del 1987 un commando di uomini armati assassinò Sankara e 12 suoi stretti collaboratori. Il mandante era Blaise Campaoré, per conto degli imperialisti francesi e statunitensi.

Campaoré, che pure era stato a fianco di Sankara nelle prime fasi rivoluzionarie, si fece portatore degli interessi di alcune frazioni della borghesia, della piccola borghesia e di una parte dei vertici militari, allarmati dalla portata e dalla velocità dei cambiamenti sociali; governò in modo dittatoriale per 27 anni, reprimendo in modo sistematico qualsiasi tentativo di opposizione organizzata, senza lesinare la pratica degli omicidi politici e alimentando in modo clientelare il riemergere della corruzione diffusa; in politica estera divenne, negli anni, il punto di riferimento degli interessi di Francia e Stati Uniti assumendo il ruolo di mediatore nella gestione delle numerose crisi politiche che si produssero nell’Africa occidentale.

Campaoré fu destituito a furor di popolo nell’ottobre del 2014 da una sollevazione che vide scendere nelle piazze e assalire il parlamento masse popolari, lavoratori, giovani - oltre 1,5 milioni di persone - a seguito del suo tentativo di modificare la Costituzione, promulgata nel 1991, per garantirsi il proseguimento del proprio mandato oltre il 2015; fu salvato dall’intervento delle forze speciali francesi che lo trasferirono in elicottero in Costa D’Avorio, paese che gli concesse la cittadinanza ivoriana per impedirne l’estradizione, eseguendo gli ordini dettati dalla Francia.

Proprio in aprile di quest’anno è terminato a Ouagadougou il processo - il primo in Africa a carico di un ex-dittatore - che ha condannato in contumacia Campaoré all’ergastolo per “minaccia alla sicurezza dello Stato” e “complicità nell’omicidio” di Thomas Sankara e dei suoi collaboratori; resta invece aperto il filone del processo sulle responsabilità internazionali: i governanti, in carica all’epoca, di Francia, Stati Uniti, Costa D’Avorio, Libia, Togo e Liberia sono accusati di “complotto internazionale” per eliminare Sankara.

Nel 2015 si svolsero regolari elezioni vinte dal Movimento del Popolo per il Progresso (MPP) che portarono Roch Kaboré, suo principale esponente, alla presidenza del Burkina.

Kaboré non riuscì a sanare le rivalità all’interno della borghesia, governando senza lasciare alcuno spazio alle opposizioni e alle istanze popolari: tra gli altri provvedimenti liberticidi, decretò lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale, mise in atto gravi restrizioni al diritto di manifestare e al diritto di libera circolazione.

Il suo MPP rappresentava gli interessi della frazione di borghesia che si opponeva a quelli rappresentati dal Congresso per la Democrazia e il Progresso (CDP) fondato da Campaoré nel 1996 e che sopravvisse alla sua caduta.

Kaboré, inoltre, si dimostrò del tutto incapace a contenere le bande di jihadisti che imperversavano nell’est e nel nord del paese, affidandosi completamente all’intervento della Francia e dei suoi corpi militari speciali; la potenza ex coloniale, tuttavia, non aveva interesse a risolvere la questione alla radice ritenendo che la destabilizzazione strisciante dell’Africa occidentale avrebbe meglio garantito la possibilità di mettere le mani sulle enormi e preziose risorse minerarie presenti nella Regione.

Furono questi i motivi alla base del colpo di Stato di gennaio di quest’anno di Damiba e del suo MPSR, visto di buon occhio dal CDP che, nella politica di riconciliazione nazionale del MPSR, intravedevano la possibilità di ritagliarsi una fetta di potere: significative le voci circolate a luglio di quest’anno di un ritorno in Burkina di Campaoré, malgrado la sua condanna all’ergastolo di pochi mesi prima.

Damiba, proprio con la promessa - non mantenuta - di combattere efficacemente la presenza delle bande jihadiste, inizialmente riuscì a ottenere un certo consenso anche da ampi settori delle masse popolari, esasperati dalle tragiche conseguenze delle incursioni della Jihad Islamica.

La situazione attuale nel Burkina Faso, dopo il nuovo colpo di Stato di Traoré dei giorni scorsi, comunque non è ancora stabilizzata: a fronte di voci che parlano di una volontà degli alti gradi militari di riprendersi il potere, continuano le manifestazioni a sostegno del capitano Traoré, soprattutto da parte dei giovani che in Burkina sono la maggioranza (l’età media della popolazione è 17 anni).

Si tratterà di capire se Traoré agirà in continuità con il MPSR, come dichiarato, o se sarà costretto a prestare ascolto alle istanze delle masse in fermento.

In ogni caso le masse popolari, i lavoratori e i giovani del Burkina Faso hanno dimostrato a più riprese una grande consapevolezza e volontà di lottare per la propria dignità ed emancipazione, sulla scia degli insegnamenti del rivoluzionario Thomas Sankara.

 

ULPC 9 ottobre 2022

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