L’autunno palestinese

 riceviamo e pubblichiamo


L’autunno palestinese

 

Se l’autunno da queste parti, in Europa, rischia d’essere molto freddo, in Palestina l’autunno rischia d’essere caldissimo.

 

Cisgiordania, pentola a pressione

 

Ha ragione il governo sionista a temere la Jihad Islamica, unire i fronti di lotta sta diventando sempre più una realtà ed una minaccia per la stessa esistenza dello Stato di israele.

Fino a pochi mesi fa è stato il campo profughi di Jenin a destare l’attenzione dei servizi di sicurezza, essendo l’unico posto in tutta la Cisgiordania dove non era possibile addentrarsi tranquillamente e senza incorrere in una feroce sparatoria. Quest’anno invece, ovunque si recano i coloni soldati incontrano una feroce resistenza, armi da fuoco dappertutto e questi si vedono costretti ad ingaggiare uno scontro armato con pallottole che piovono da tutte le parti.

I mass media israeliani denunciano il fatto che operare persino un arresto, che fino a qualche mese fa era una cosa banale e semplice, ora non lo è più. Prima Jenin, ora Nablus, Tulkarem, Hebron, Salfit e Ramallah, Tubas e Qabatieh, Yaàbad ed altri ancora, ovunque in Cisgiordania avvengono scontri armati.

L’allarme viene lanciato per i seguenti motivi:

1- è oscura la provenienza di tutte queste armi;

2- non si sa ancora quale tipo d’arma, oltre a quelle leggere d’assalto, circoli in Cisgiordania;

3- questo pericolo continuo è considerato un fallimento clamoroso di tutti i servizi di sicurezza sionisti;

4- la circolazione per i coloni è diventata estremamente pericolosa (diverse volte sono state presi di mira e ci sono state delle vittime);

5- qual è il passo successivo, la Cisgiordania come Gaza?

Non siamo nuovi alle polemiche che si susseguono sempre di più all’interno dell’entità sionista. Ricordiamoci quelle contro i servizi di sicurezza quando i Fedayn palestinesi bucavano con troppa facilità le misure di controllo e sicurezza, tanto ammantate, sia nelle città che nelle colonie.

Polemiche che in alcuni casi si trasformavano in grida d’allarme rosso.

Alcuni commentatori israeliani si sono spinti alle affermazioni del tipo: “il nostro sbaglio è quello di non avere accettato l’Argentina, il Kenya, il Sudan, l’Ucraina dove stabilire e fondare lo Stato sionista.

E ancora: “i palestinesi sono un popolo indomabile che non si arrenderà mai e saranno la tomba dei nostri sogni” etc. Sorprende il fatto che questa gente continui a chiedersi il perché di tutto questo astio, perché i palestinesi non si lasciano sottomettere, (si chiedono) dove abbiamo sbagliato in tutti questi 73 anni?

 

Intifada di nuovo tipo

 

Si continua a discutere sui giornali e canali televisivi sionisti su come affrontare questa nuova situazione e i toni assumono aspetti pieni di preoccupazioni e tensioni.

L’opinione più diffusa, volendo riassumere tutte queste discussioni, e che in Cisgiordania ci troviamo di fronte ad una Intifada di tipo nuovo: una combinazione quasi perfetta tra quella popolare (scontri fisici e con il lancio di pietre, disobbedienza e boicottaggio, presidi e manifestazioni e tanta attività di informazione) che cerca di impedire alle forze di occupazione nazisionista di entrare nei centri abitati oppure semplicemente ostacolare il loro movimento) e, quella armata che prende di mira sia i soldati che i coloni.

Secondo le statistiche del governo israeliano gli attacchi armati contro le forze di occupazione in Cisgiordania quest’anno registrano un aumento esponenziale. Secondo queste fonti in tutto il 2021 ci sono stati 91 attacchi di cui 75 contro i soldati sionisti mentre finora nel 2022 ci sono stati 152 attacchi armati, compreso quello di poche settimane fa, di cui 132 contro i soldati.

Trapela, inoltre, da queste discussioni pubbliche, la grande confusione e incertezza sul da farsi. Essi affermano di trovarsi di fronte ad un dilemma:

1- fare un passo indietro tenendo i soldati lontano da ogni possibilità di contatto con la popolazione palestinese;

2- intensificare la repressione.

Siccome ormai è diventato quasi impossibile non essere a contatto con la popolazione palestinese, colonie e coloni si trovano un po' dappertutto in Cisgiordania e qualsiasi loro movimento provoca contatto e, oltre al fatto che questi spesso provocano questi contatti intenzionalmente cercando da una parte una maggior visibilità per se stessi e dall’altra perseguono un’escalation della situazione in generale. È scontato che la scelta è l’aumento della repressione. Un circolo vizioso che non farà altro che buttare benzina sul fuoco con il rischio della deflagrazione in tutta la Palestina storica (israele).

Al momento il modello delle due province del nord della Cisgiordania, Jenin e Nablus, si sta estendendo sempre di più alle altre province con un cerchio di fuoco sempre più ampio. Ciò significa che tutta la Cisgiordania è in procinto di esplodere. Nel mese di settembre due attacchi armati: il primo contro un autobus di soldati nella valle del giordano, provincia di Tubas, e il secondo a Il Nabi Saleh, provincia di Ramallah. Il risultato: 10 soldati feriti solo per miracolo, gli poteva andare molto peggio.

 

I palestinesi degli interni '48

 

Il timore di una esplosione si fa più concreto provocando un fortissimo mal di testa ai sionisti. Ciò nasce dal fatto che è molto più difficile, anzi quasi impossibile, riuscire a controllare questo territorio e prevenire gli attacchi. L’estensione del territorio su tutta la Palestina del ‘48 e la presenza di città miste implica l’utilizzo di un numero molto maggiore sia di soldati che di polizia.

L’impiego di tale forza sia in Cisgiordania che nel ‘48 rischia di lasciare i fronti esterni, sia a nord con il Libano sia a sud con Gaza, scoperti o sguarniti. Il governo israeliano si troverebbe costretto a richiamare le riserve. Una protrazione di questa situazione significa una guerra di logoramento dell’esercito dei coloni e dell’economia (il ciclo produttivo verrà interrotto o comunque molto rallentato sia per mancanza di manodopera sia per il clima di insicurezza che mina gli investimenti interni ed esteri).

 

L’ANP tra due fuochi

 

Quelle israeliane contro l’Anp sono accuse dirette ed esplicite di “omissione di servizio” ovvero, l’Anp, secondo i sionisti, non fa nulla per sedare e reprimere le rivolte palestinesi (sic). In realtà sono le politiche israeliane in Cisgiordania ad essere l’unica causa di ciò che accade in Palestina con la continua colonizzazione, quindi, esproprio di terra, e l’abuso nella repressione con arresti indiscriminati (anche di bambini molto piccoli), con ferimenti o uccisioni, anche questi indiscriminati e ingiustificati.

Essi, i sionisti hanno svuotato l’Anp relegandola al ruolo di poliziotti al servizio dell’entità sionista e dei coloni. L’assedio economico sionista contro l’Anp minaccia persino la sopravvivenza della stessa e con i risultati raggiunti dalle forze della resistenza palestinesi a Gaza, oggi l’ANP conta un bel niente, persino la base di AlFatah, la fazione politica che appoggiava e sosteneva Abu Mazen e i suoi scagnozzi, oggi si schiera contro esplicitamente.

Qualsiasi mossa faccia l’Anp, rischia di provocare una risposta popolare in grado di porre fine a questo lungo processo di tradimenti.

Usa, Europei e donatori internazionali, tutti chiedono all’Anp di intervenire con maggiore forza e contenere, per lo meno, questa situazione. Nessuno chiede mai niente ai sionisti di moderarsi e allentare la pressione sulla popolazione palestinese. Anzi, gli yankee, ricordiamolo, hanno dato luce verde ai sionisti di intensificare la colonizzazione in Cisgiordania quale premio per il loro silenzio o almeno la moderazione del tono delle critiche sull’eventuale accordo con l’Iran sul nucleare.

Detto questo e vista la situazione penosa nella quale versa l’Anp bisognerebbe vedere fino a che punto le forze di “sicurezza” della Sulta (ANP) asseconderebbero una politica di repressione su larga scala anche contro le proprie famiglie, già, perché ogni agente rischia di vedere i propri familiari repressi duramente dai propri colleghi. Una situazione molto ingarbugliata che sarà difficile risolvere nella direzione tracciata dalle forze di occupazione sionista e loro sostenitori internazionali.

Fatta questa premessa va detto che la situazione in Cisgiordania è più che bollente. Gli scontri hanno raggiunto un punto di non ritorno. Attualmente non c’è un posto in Cisgiordania, piccolo o grande che sia, che non sia coinvolto in scontri armati. Allo scopo di fermare questa ondata di ribellione gli israeliani hanno gettato nella mischia altri 20.000 soldati super armati e sostenuti da una flotta di droni con duplici funzioni (anche droni kamikaze). Le preoccupazioni dell’entourage politico e militare sono:

·        l’avvicinarsi delle feste ebraiche (la settimana prossima)

·        - le elezioni politiche che si terranno il 3 novembre.

A Gerusalemme più di 5000 poliziotti sono stati aggiunti al corpo di polizia municipale per garantire la sicurezza dei coloni nazional-religiosi che durante le feste ebraiche sono soliti invadere Gerusalemme e la spianata delle moschee.

 

 


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