Ma la spesa previdenziale per i dipendenti pubblici è forse in aumento?
Ma la spesa previdenziale per i dipendenti pubblici risulta in aumento?
Ragionando sulle ultime rilevazioni Inps
scopriamo che la preoccupazione sulla tenuta dell’Inps è del tutto infondata
Le risposte sono molteplici perché si dimentica l’età anagrafica
del personale nato ai tempi del boom economico e trattenuto in servizio dalla
Legge Fornero. Se l’età media del dipendente pubblico è tra le più avanzate in
assoluto nei paesi europei, possiamo anche ipotizzare che da qui a pochi anni
molti avranno raggiunto i requisiti per la pensione e il costo complessivo
della spesa aumenterà.
Stando ai dati Inps, a inizio 2024, la spesa pensionistica per
il personale della PA era attorno ai 90 miliardi di euro, in crescita di circa
l’8,% rispetto al 2023. Ma per arrivare a questa cifra bisogna anche
considerare la indicizzazione dei trattamenti all’inflazione che per altro non
adeguano l’assegno previdenziale al reale costo della vita. Chi oggi va in
pensione ha ancora alcuni anni calcolati con il sistema retributivo in virtù
dei quali otterrà un assegno decisamente maggiore di quanti andranno in
pensione tra una quindicina di anni con il solo calcolo contributivo. Se poi
guardiamo alle statistiche relative al 2023, nel pubblico impiego, al pari del
privato, i pensionati sono calati di quasi il 10 per cento.
Per queste ragioni scatenare il panico attorno ai conti
previdenziali ci pare una mossa elettorale o tipicamente neo liberista
nell’ottica di innalzare ulteriormente l’età pensionistica o di prevedere
sistemi di calcolo ancora più iniqui e svantaggiosi di quelli attuali,
l’aumento dei pensionati è quindi causato non solo dal raggiungimento dei
requisiti massimi ma anche delle varie quote o dalla Opzione donna che
determinano in ogni caso un assegno inferiore. Chi è uscito dal lavoro con le
varie quote aveva molti anni calcolati con il retributivo e quindi era nelle
condizioni di beneficiare di questo anticipo senza subire grossi contraccolpi
economici, una opzione impossibile invece per le generazioni future che, con il
massimo dei contributi, andranno in pensione con assegni inferiori al 70 per
cento, nel migliore dei casi, dell’ultima busta paga.
Se guardiamo ai numeri, nel 2023 i dipendenti pubblici in
pensione sono superiori rispetto al 2022 ma la differenza è di solo 20 mila
assegni. Se guardiamo invece alla tipologia delle pensioni erogate, quelle di
vecchiaia rappresentano il 15 per cento del totale e il 20 per cento da assegni
ai superstiti.
E’ bene, infine, confutare due luoghi comuni, la maggioranza dei
pensionati pubblici abitano nel centro nord e negli ultimi anni le pensioni di
vecchiaia, per sopraggiunti limiti di età, risultano in aumento.
Alla luce di queste scarne considerazioni è lecito dedurre che
la tenuta del sistema previdenziale è assicurata mentre l’auspicato turn over
incontra crescenti difficoltà e a pagarne lo scotto sono solo i servizi
pubblici
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