A chi mancano i soldi? Riflessioni attuali sul modello cinese
Anche
il sistema economico cinese viaggia verso la massimizzazione del profitto e
mette assieme ciò che ha. Un’economia che lega aspetti primitivi con aspetti
tecnologicamente avanzatissimi.
di Tiziano Tussi
In mancanza di alternative economiche praticabili
pare che l’unico problema che resta da risolvere, ora e sempre, sia: dove
trovare i soldi. I soldi che mancano, mancano sempre, ma a chi?
Leggiamo (sito del Corriere della
Sera, sezione economia, 2 gennaio 2021) che nel 2020 grandi capitalisti
hanno aggiunto denaro a denaro. E che alcuni hanno fatto grandi balzi in
avanti (ma non si tratta di una citazione da Mao Zedong).
“Le 500 persone più ricche del mondo - scrive Bloomberg - hanno
aggiunto 1,8 trilioni di dollari al loro patrimonio netto combinato quest’anno
e ora valgono 7,6 trilioni, secondo il Bloomberg Billionaires Index.”
Normale
per chi continua a cercare soldi. Li trova, evidentemente.
Quindi
la questione se togliere denaro ai ricchi o togliere e indirizzare dei
correntisti delle banche, indirizzandoli ai consumi, si fa più cogente. Ma anche
l’orrore verso qualsiasi versione di patrimoniale verso ogni pur pio
borghese o generoso capitalista sta facendosi largo nelle menti degli uomini,
sempre più. Perché rovinare tanta capacità di arricchirsi con inopinate azioni
fiscali?
Notare
che i grandi lupi del capitale sono anche tutti impegnati nella beneficenza. Cosa
si può volere di più?
Forse ci sarà un nesso, per carità, virtuoso, per i due assets (un po’ d’inglese, perbacco). Il nesso c’è. E basterebbe impegnarsi un pochino a leggere le informazioni attorno a questi cuori sanguinanti per il prossimo, povero e derelitto, da loro evidentemente reso tale, per capire che il cerchio tende a chiudersi.
Capitale, profitto, denari, beneficenza, altro profitto finanziario,
e si ricomincia. Il cerchio che si chiude lascia poche speranze ai più. Pochissimi
granellini rimbalzanti sono lì in mezzo alle ruote del cerchio: poveri,
precari, sognatori, minoranze etniche, disperati della vita, emarginati ad ogni
titolo, non affidabili, gentaglia, anche criminali, impediscono al capitale la
chiusura del cerchio. Incoscientemente e/o con coscienza, granellini di sabbia
sociale impediscono che le magnifiche sorti del profitto capitalistico si
chiudano definitivamente su tutti noi.
Non
apparirà strana, tra i granellini, la presenza dei criminali. A tal fine
occorrerebbe rifarsi ai classici. Karl Marx, nel cosiddetto quarto libro de Il
Capitale, che poi è giunto a noi come Teorie sul plusvalore, ci chiarisce
che anche il crimine svolge la sua opera economica nella società, così come il
benefattore svolge la sua, evidentemente traendone profitto, il secondo come il
primo, proprio come un criminale.[1]
Nell’articolo che stiamo seguendo del Corriere della Sera veniamo a sapere che vi sono anche capitalisti cinesi a fare bella mostra nell’elenco degli uomini più ricchi al mondo.
Anche se qualcuno deve fare i conti con il potere del governo
cinese, come Jack Ma. Ma vai a capire perché, dato che altri ricchi, cinesi
come lui, sono entrati a vele spiegate sempre più in alto nel paradiso capitalistico:
“Jack Ma ha iniziato l’anno come l’individuo più ricco della
Cina, una posizione che era pronto a consolidare con l’aumento delle vendite
presso il suo gigante dell’e-commerce Alibaba e l’imminente quotazione di Ant.
Poi l’IPO di Ant è crollata poco dopo gli attacchi a Ma da parte dei regolatori
cinesi.” Lasciamo perdere le sigle, quello che ci interessa sono i
comportamenti e le risultanze in campo capitalistico-personale. Per inciso Jack
Ma è sparito dalla scena pubblica da qualche tempo.
All’opposto:
“I membri cinesi dell’indice hanno aggiunto 569 miliardi di dollari alle loro
fortune, più di qualsiasi altro paese a parte gli Stati Uniti. Zhong
Shanshan, un magnate di bottiglie d’acqua di basso profilo soprannominato il
«Lupo Solitario», è diventato la persona più ricca dell’Asia dopo che le offerte
iniziali di due delle sue società hanno contribuito ad aumentare il suo
patrimonio netto di $ 70,9 miliardi. “
Quindi
pare proprio che non sia una questione politica, di superiorità etica di un
potere di stato sopra altri. Non siamo in presenza di uno stato comunista che
controlla i grandi capitalisti – ma come fanno ad esistere in questo presento
stato proletario?
Sin qui
il Corriere della Sera.
Alcuni
articoli da il Manifesto, messi assieme, ci dicono questo. Anche il sistema
economico cinese viaggia verso la massimizzazione del profitto e mette assieme
ciò che ha. Un’economia che lega aspetti primitivi con aspetti tecnologicamente
avanzatissimi.
Un aspetto
della prima frontiera, quella primitiva, riguarda lo sfruttamento radicale della
mano d’opera: Business del cotone, lo sfruttamento cinese della minoranza
uigura (Serena Console, 16 dicembre 2020) Nel pezzo si fa riferimento alle
modalità di impiego di questa minoranza per la lavorazione del cotone. Basta
scorrere quanto affermato e non possiamo che immaginarci il lavoro da coolies
di questa etnia. Ma del resto, lavori svolti con modalità di sfruttamento
pesante vi sono in tanti altri momenti del sistema economico cinese. La
letteratura al riguardo è ampia. Differenze di livello di vita tra le popolazioni
della costa e dell’interno, spostamento stagionale di popolazione per lavori
stagionali. Ce n’è per tutti i gusti. In Cina ogni movimento di popolazioni
impegna quantità di uomini e donne impressionanti, stando al numero in assoluto
della popolazione di quel Paese. E le cose non vanno meglio all’estero.[2]
Un altro
articolo invece ci illustra le modalità di controllo dei pagamenti in valute
virtuali: Alibaba e i 40 renminbi (digitali) (Simone Pieranni, 3 gennaio
2021). Il succo del racconto è questo: il governo cinese è attento ai pagamenti
virtuali delle piattaforme private. Siccome non è possibile per uno stato che
voglia controllare questa sempre più importante modalità di trasferimento di
denaro per acquisti vari lasciare in mani private il settore, ecco che l’intervento
del centro del potere è necessario, anche perché è molto ingente l’ammontare di
denaro che non passa ancora per le banche e che andrebbe invece colà instradato.
Occorre fare rientrare tali somme nel sistema bancario e poi controllarlo attraverso
la tecnologia, rendere virtuale ogni fisicità per poterla tracciare, tracciare
centralmente. Qui si spiegano i problemi di Alibaba di cui sopra, e di Jack Ma,
il padrone-presidente di tale piattaforma.
Non si fa fatica a rendersi conto di questo scontro tra il governo cinese e il settore privato per il controllo dei prodotti finanziari dalle piattaforme digitali: Esclusi i prodotti finanziari dalle piattaforme dei giganti cinesi dell’online (Rita Fatiguso, Il sole 24 ore, 23 dicembre 2020): “I giganti cinesi dell’hi-tech stanno cancellando in massa i prodotti finanziari dalle loro piattaforme. Una legge entrata in vigore il 2 dicembre dà loro un anno di tempo per eliminare la vendita di prodotti finanziari da piattaforme di pagamento online collegate a banche regionali. Attività di vendita online e attività bancaria non possono più coesistere in Cina.”
La stessa giornalista, stessa sede, il 4 gennaio 2021, ci dice che: “Jack Ma fu convocato dalle massime autorità finanziarie che gli rimproverarono di non aver vigilato abbastanza sulla commistione tra attività commerciali e finanziarie.”
Quisquiglie che sfuggono a chi vuole continuamente proporre la Cina come uno stato socialista che sta faticosamente, in mezzo ai perigli del capitalismo mondiale, cercando di proseguire sulla via che fu di Mao Zedong.
Prendo un esempio a caso di questa disinvoltura, Pasquale Cicalese, Contropiano, 29 dicembre 2020: “Ormai, apertamente, gli economisti cinesi pongono la questione del salario sociale e dell’equa distribuzione del reddito come assi centrali di una futura crescita di “alta qualità“, anche al fine di ridurre il “risparmio precauzionale” (che è intorno al 41% del Pil) e indirizzarlo verso i consumi.” Parrebbe un comportamento etico e politicamente di sinistra.
Ma abbiamo visto che forse lo sforzo nasconde ben altro. Sempre la
stessa sede, stesso giorno, Francesco Piccioni ci dice all’opposto che:”
Contrordine, liberisti! Il debito pubblico non è più un problema, anzi è
l’unica cosa che ci può salvare… [] A sostenerlo, invece, sono due dei massimi
campioni del neoliberismo statunitense: il meno noto Jason Furnam e la star Lawrence Summers. [] Summers
è insomma un autentico criminale del neoliberismo, insomma, non un’anima
candida preoccupata dei poveri. [] Summers, da “pragmatico” americano qual è,
dice ora “non funziona più” - il tentativo
di tenere sotto controllo il debito pubblico, n.d.r. -, va cambiato tutto. “Conclusivamente,
il sostegno pubblico alle pensioni, alla tutele della salute, all’istruzione
superiore e alle altre grandi, disgraziate e talora incerte necessità, riduce
la necessità del risparmio collegato al ciclo della vita o di tipo precauzionale,
aumentando così la domanda per i consumi”.
Basti
così. Questo tentativo di spostare i denari dal risparmio al consumo qui viene
vito come l’ennesima fregatura capitalistico-finanziaria.
Il tutto
pare veramente un po’ confuso, a meno di non ricorrere a quanto detto nella
prime righe di questo scritto. Poca o nessuna alternativa in campo economico a livello
mondiale, se non si tengono presenti le poche piccole eccezioni a livello di
stati: azzardo, Cuba! Ma a parte le eccezioni, che fanno piacere, ma che ci
servono a poco, il panorama è desolante. Un deserto capitalistico colorato
diversamente ma tutto impegnato ad una guerra capitalistica intestina per il
controllo di tutto il campo di sfruttamento.
Studiando
di più, snocciolando meglio, si possono capire alcuni tratti internazionali
senza però scendere a fianco di questo o quello: questa o quella per me pari
sono.[3]
Questa
affermazione non chiude il discorso ma, paradossalmente, lo apre su altri
scenari: politica internazionale, concorrenza economico-politica e conseguenze
sociali di alto significato, rapporti tra stati, zone di influenza mondiali,
interessi nazionali, rapporti culturali, e certo, molto altro ancora.
[1] Si può trovare agilmente questo passaggio di Marx in un librettino della casa editrice nottetempo che vi aggiunge anche una nota di Andrea Camilleri. Il tutto in pochissime pagine: Karl Marx, Elogio del Crimine, nottetempo, Roma, 2007, p. 19, €3,00.
[2] Solo due riferimenti per una prima elementare conoscenza: C. Brighi, I. Panozzo, I.M. Sala, Safari cinese. Petrolio, risorse mercati. La Cina conquista l’Africa, ObarraO edizioni, Milano, 2007 (con la prefazione di Angelo Del Boca); Serge Michel, Michel Beuret, Cinafrica. Pechino alla conquista del continente nero, il Saggiatore, Milano, 2009.
[3] Dal Rigoletto, Giuseppe Verdi, prima rappresentazione 1851.
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