L'equivoco della memoria condivisa
L’EQUIVOCO DELLA MEMORIA CONDIVISA
Va innanzitutto detto che è necessario distinguere tra storia e memoria: la storia è una materia scientifica, una raccolta di fatti inequivocabili: le interpretazioni e le valutazioni possono poi essere diverse (e sono queste che creano “memoria), ma è un dato di fatto, ad esempio, che il 28 ottobre si compì la Marcia su Roma, evento che per i fascisti rappresenta una giornata di festa, mentre per gli antifascisti significa la fine della democrazia; così come il 25 aprile, giorno in cui si celebra la Liberazione dal nazifascismo, è per i nazifascisti giornata di lutto.
Premesso questo, possiamo considerare che è ormai da più di trent’anni (dal cosiddetto “crollo del comunismo”) che stiamo assistendo alla progressiva distruzione della memoria storica di tutto quanto di positivo avevano fatto i paesi socialisti, soprattutto nella lotta contro il nazifascismo (va ribadito che in termini di perdite umane l’URSS e la Jugoslavia furono i Paesi che percentualmente ebbero più morti durante la Seconda guerra mondiale).
Di conseguenza abbiamo visto anche di anno in anno aumentare la criminalizzazione della Resistenza comunista, la ricostruzione delle vendette (vere o presunte) del dopoguerra, patrimonio all’inizio dei nostalgici del fascismo, che dopo avere messo a ferro e fuoco la propria Patria, massacrando i propri concittadini non omologati al regime golpista di Salò in una guerra fratricida, non avevano accettato di avere perso la guerra e di conseguenza avere anche subito regolamenti di conti ed esecuzioni capitali. In questo contesto, volendo parlare (ad esempio) del “triangolo rosso” dell’Emilia Romagna, dell’eccidio di Schio e dell’eccidio di Codevigo del Veneto, e molti altri casi simili, i testi che fino all’inizio degli anni ’90 erano stati patrimonio esclusivo della destra neofascista nostalgica hanno iniziato ad essere mutuati anche da insospettabili esponenti di “sinistra”, come i libri di Pansa che minimizzano i crimini fascisti per stigmatizzare la ferocia dei comunisti antifascisti.
Ma la cosa peggiore è avvenuta relativamente alla propaganda sulle “foibe” al confine orientale, con l’istituzione a partire dal 2005 del Giorno del ricordo, fissato il 10 febbraio, a ridosso della Giornata della memoria, in modo da collegare i due eventi in un tutt’uno, portando a termine quello che ancora negli anni ’70 lo storico triestino Giovanni Miccoli aveva definito “accostamento aberrante”, cioè il paragonare le “foibe” alla Risiera.
Il 27 gennaio si commemorano i milioni di morti causati dalla politica nazifascista che per raggiungere il proprio fine di “nuovo ordine europeo” aveva programmato a tavolino il genocidio di interi popoli, l’eliminazione totale degli oppositori politici e di quelle che venivano considerate “esistenze zavorra”, cioè pesi per la società, disabili, omosessuali, non autosufficienti. Il 10 febbraio, due settimane dopo, vengono commemorati allo stesso livello anche i morti genericamente attribuiti “all’espansionismo jugoslavo”, senza considerare che furono per la maggior parte militari morti nei campi di prigionia o fascisti e collaborazionisti condannati a morte dai tribunali jugoslavi (che avevano lo stesso diritto delle altre corti alleate di processare i criminali di guerra) o vittime di quella giustizia sommaria che fu comune a tutta l’Europa e che anzi nelle zone controllate dagli Jugoslavi fu di gran lunga inferiore a quella del resto d’Europa.
E, lo diciamo per inciso, noi che riportiamo dati storici a conferma delle nostre analisi che smentiscono la propaganda che parla di “migliaia” di “infoibati”, siamo noi ad essere criminalizzati come “negazionisti” ai quali dovrebbe essere vietato di parlare (cosa che spesso purtroppo avviene, in quanto le istituzioni ci negano le sale pubbliche, accogliendo le proteste della canea neofascista che ci vuole silenziati), mentre i diffusori di menzogne, bufale, quelle che oggi va di moda definire fake news, sulle foibe vengono invitati a parlare a convegni istituzionali, con un’esibizione di simbologia fascista che non sembra fare scandalo.
Questo “accorpamento” delle due ricorrenze ha portato ad un’interessante evoluzione del concetto di “memoria condivisa” perché le stesse autorità che il 27 gennaio nella Risiera di San Sabba a Trieste commemorano le vittime del nazifascismo, il 10 febbraio si recano invece alla foiba di Basovizza a ricordare coloro che causarono quelle vittime, se risultano in qualche modo “infoibati”, cioè arrestati dalle autorità jugoslave e scomparsi.
Così il 27 gennaio commemoriamo nella Risiera di San Sabba i caduti della missione alleata del capitano Valentino Molina (Gino Pelagalli, Sante de Fortis e la loro basista Clementina Tosi vedova Pagani), mentre il 10 febbraio, come “infoibati”, commemoriamo (in quanto furono arrestati dall’Ozna nel maggio 1945) i componenti del Gruppo Baldo agli ordini delle SS (Giovanni Burzachechi, già carabiniere entrato nelle SS da prima dello scioglimento dell’Arma, Ermanno Callegaris, Alfredo Germani e Remo Lombroni), che causarono l’arresto e la morte di Molina e dei suoi collaboratori.
Il 27 gennaio commemoriamo anche gli agenti di custodia deportati nei lager dove persero la vita, tra i quali Francesco Tafuro e commemoriamo gli ebrei triestini scomparsi nei campi di sterminio; ma il 10 febbraio si rende omaggio tra gli altri al capo degli agenti di custodia Ernesto Mari, che si trovò per alcuni mesi anche a tenere il registro degli ingressi al Carcere triestino del Coroneo, e che firmò il registro d’entrata di molti ebrei, tra cui i tre fratellini Simeone, Michele ed Isacco Gruben, rispettivamente di 11, 8 e 3 anni, imprigionati senza i genitori, l’ottantunenne avvocato Oscar Pick ed il settantottenne Adolfo Deutsch. Mari firmò anche la scarcerazione di questi, consegnandoli alle SS, che provvederanno ad inviarli tutti ad Auschwitz, dove trovarono la morte; Mari fu anche il responsabile dell’internamento in Germania di Tafuro (e di altri agenti di custodia che fortunatamente rientrarono dalla prigionia e testimoniarono contro di lui), ma, essendo stato arrestato in seguito alle accuse mossegli dai suoi ex sottoposti, fu ucciso e gettato nell’abisso Plutone da un gruppo di criminali comuni infiltratisi nella Guardia del popolo: perciò viene considerato “infoibato” e quindi commemorato in sede ufficiale degno (gli è stato persino intitolato il carcere triestino).
Il 10 febbraio vengono inoltre commemorati i 67 agenti dell’Ispettorato Speciale di PS che furono arrestati dalle autorità jugoslave a Trieste alla fine del conflitto, in quanto si erano resi responsabili di rastrellamenti, arresti arbitrari, esecuzioni sommarie, torture e violenze varie (come Alessio Mignacca e Domenico Sica, che picchiarono una donna facendola abortire); e citiamo anche l’agente Mario Suppani, responsabile dell’arresto (e della successiva esecuzione capitale) dell’anziano militante del Partito d’Azione Mario Maovaz, fucilato il 28 aprile 1945 e degli arresti di altri esponenti del CLN giuliano, tra i quali il democristiano Paolo Reti, poi ucciso in Risiera (commemorato il 27 gennaio, un paio di settimane prima di chi lo fece arrestare).
Il caso però più eclatante è quello dell’ultimo prefetto di Zara italiana, Vincenzo Serrentino (fondatore del Fascio in Dalmazia, squadrista, ufficiale della Milizia e nel Direttorio del PFR) che aveva anche svolto il ruolo di giudice a latere (assieme a Pietro Caruso, che fu poi fucilato a Roma alla fine della guerra) del Tribunale Straordinario per la Dalmazia (presieduto dal generale Gherardo Magaldi), che si spostava in volo da Roma per emanare condanne a morte ad antifascisti. Denunciato come criminale di guerra alle Nazioni unite, si era rifugiato a Trieste, dove fu arrestato l’8/5/45; sottoposto a processo, fu condannato e fucilato a Sebenico un paio di anni dopo. I familiari di Serrentino hanno ricevuto l’onorificenza prevista dalla legge sul Giorno del ricordo. Come sarebbe considerata un’eventuale onorificenza attribuita oggi ai familiari di Pietro Caruso, che con le stesse accuse fu fucilato dalle autorità italiane?
La storia è unica, si diceva, ma la memoria è diversa. E se pure è difficile creare una memoria condivisa tra i parenti di Maovaz e quelli di Suppani, il parlamento italiano ci è riuscito perfettamente istituendo due giornate diverse per ricordare in ciascuna di esse l’una e l’altra categoria di morti.
Non mettiamo in dubbio che anche i partigiani che lottarono per il comunismo e la libertà commisero degli errori, “ebbero dei difetti”, come scrisse Pinko Tomažič, fucilato dai fascisti nel 1941: ma se li confrontiamo con i fascisti va considerato che erano diversi gli ideali di partenza, ideali di amore e non di morte, ideali di giustizia e non di prevaricazione.
A tutto coloro che oggi pretendono di assimilare il comunismo al fascismo, agli amministratori che accettano labari di formazioni fasciste e collaborazioniste alle manifestazioni ufficiali, ai magistrati che minimizzano i saluti romani in quanto non rappresenterebbero apologia di fascismo, agli eurodeputati che hanno votato l’immonda mozione di cui sopra, dedichiamo queste frasi di Italo Calvino (che di fascismo e antifascismo ne sapeva qualcosa).
… dietro il milite delle brigate nere più onesto, più in buona fede, più idealista, c’erano i rastrellamenti le operazioni di sterminio le camere di tortura le deportazioni l’olocausto…
… mentre dietro il partigiano più ladro, più spietato c’era la lotta per una società più pacifica più democratica e ragionevolmente più giusta.
Claudia Cernigoi, gennaio 2021.
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