Cuba: l’abolizione della doppia moneta e gli interrogativi sul futuro del socialismo
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Cuba: l’abolizione della doppia moneta e gli interrogativi sul futuro del socialismo
di Nello Gradirà
Da questo mese a Cuba è partito il processo che porterà all’abolizione del sistema della doppia moneta che esisteva dal 1994. In base a questo sistema circolavano i pesos nazionali (CUP) e i pesos convertibili (CUC). I salari e i beni considerati essenziali erano pagati in CUP, mentre i CUC servivano per i beni non essenziali e per l’acquisto di beni o servizi nell’ambito del settore turistico.
Questo sistema venne ideato dopo il cosiddetto “periodo speciale”, la fase economica conseguente al crollo del blocco sovietico quando Cuba entrò in una crisi economica molto profonda. Per superarla fu necessaria un’apertura al turismo di massa dalle cui entrate Cuba ricavava e ricava tuttora gran parte delle sue riserve di valuta pregiata. Ma l’apertura al turismo provocò anche forti disuguaglianze tra gli impiegati pubblici come medici, infermieri o insegnanti e tutti coloro che, tramite lavori formali o informali, avevano a che fare con il turismo o coloro che ricevevano rimesse da familiari emigrati all’estero e quindi avevano accesso alle valute straniere.
Il CUC fu ideato proprio per limitare queste disuguaglianze e porre un freno alle speculazioni. Infatti chi aveva dollari o altre valute pregiate doveva obbligatoriamente cambiarli in CUC pagando delle imposte piuttosto pesanti. Contemporaneamente funzionava il sistema della “libreta” cioè della fornitura gratuita di un paniere di beni essenziali che assicurava a tutta la popolazione quel minimo necessario alla sopravvivenza. Si può dire che in pratica il peso nazionale si poteva considerare una specie di “moneta sociale”.
Con l’andare del tempo il tenore di vita dei cubani è migliorato e le esigenze di gran parte della popolazione non si sono più limitate alla pura sopravvivenza. Inoltre ad ogni momento di difficoltà economica il governo ha risposto allargando il settore privato e autorizzando sempre nuove professioni autonome fino a permettere anche l’assunzione di personale dipendente. In pratica il CUC, da moneta riservata ad un ambito limitato e controllato, è diventata la valuta principale del Paese lasciando ai pesos nazionali solo il ruolo del pagamento dei salari del pubblico impiego. Mentre il CUC è scambiato alla pari con il dollaro, la quotazione del peso nazionale rispetto al dollaro è stata ed è intorno ai 3-4 centesimi.
Per l’acquisto di beni per ristrutturare una casa o di prodotti necessari ad esempio per gestire un’attività di parrucchiere o di estetista erano necessari i CUC. Coloro che affittavano camere ai turisti, o i proprietari di paladar (i ristoranti familiari) guadagnavano in CUC e così via. Naturalmente tutti coloro che si sono trovati a riscuotere in pesos nazionali e spendere in CUC erano estremamente insoddisfatti e il sistema della doppia moneta già da più di dieci anni era oggetto di un dibattito politico molto acceso. Nel 2009 gli studenti dell’Università di informatica chiesero al presidente del parlamento Alarcón come mai un flacone di shampoo a Cuba costava tre giorni di salario medio.
L’aspirazione dei cubani sarebbe stata quella di riscuotere in CUC, ma è ovvio che i salari devono essere agganciati alla produttività complessiva del Paese e quindi il problema era estremamente complesso e comportava una serie di considerazioni sul sistema socialista nel suo insieme.
All’epoca su Senzasoste pubblicammo la traduzione di un’intervista all’economista Cristina Xalma (che invitiamo a rileggere), dove venivano spiegati con molta chiarezza tutti questi aspetti.
Xalma parlando del momento in cui fu decisa l’introduzione della doppia moneta ricordava: “Non stiamo parlando solo di una doppia moneta. Il dualismo non è solo monetario. In pratica ogni moneta si associa a strumenti, parametri e obbiettivi diversi: il dollaro al mercato, ai criteri monetario-finanziari e alla massimizzazione degli utili; il peso cubano, invece, alla pianificazione, ai criteri materiali e alle conquiste sociali della Rivoluzione. Mantenere il peso implicava mantenere determinate forme di funzionamento, preservare il socialismo e soprattutto il suo modello sociale -il sistema salariale, i sussidi e le gratuità, la tessera per la fornitura di beni, l’ammasso della produzione…-. Anche con le sue contraddizioni, eliminare il peso cubano avrebbe implicato di eliminare una parte dell’ economia che non si poteva eliminare senza aver smantellato allo stesso tempo tutto il sistema sociale. E questo a Cuba non si poteva fare”.
E parlando dell’eventualità di abolire la doppia valuta l’economista sosteneva: “l’eliminazione della doppia moneta ha come presupposto la restituzione di tutto il suo significato e del suo potere d’acquisto al peso cubano: cioè la sua rivalutazione. E si raggiungerà soltanto se si recupera l’efficienza dell’economia e si cresce di più. Orbene, per quanto si diceva prima, un peso cubano che sia nuovamente forte porta con sé una riforma del funzionamento del sistema socialista: c’è da vedere come verranno modificati i prezzi, i salari, le sovvenzioni, la produzione, chi produrrà e come… Per questo è stato già messo in evidenza che la riforma dovrà essere integrale e che implicherà discussioni di fondo: ci sarà da discutere sulla proprietà, sulle assegnazioni e sugli incentivi (per dirla diversamente, sull’essenza del socialismo) perché tutti i passi che si faranno non mettano a rischio ma servano per consolidare le conquiste sociali della Rivoluzione. Questa è la posta in gioco”.
Undici anni dopo il governo ha dunque deciso di abolire la doppia valuta: resteranno solo i pesos nazionali, ma agganciati al dollaro con una quotazione di 0,037. Questa quotazione non è fissa e quindi risentirà di tutte le fluttuazioni della finanza internazionale. Nel novembre scorso sono stati fortemente aumentati i salari e le pensioni (fino a cinque volte) e stabilito un tetto ad alcuni prezzi. Ma tutti quei passaggi di cui parlava Cristina Xalma non ci sono stati. È quindi logico pensare che questi benefici con il tempo saranno annullati da meccanismi quali inflazione e svalutazione.
L’impressione è che questa misura –come altre prese negli anni successivi al 2008- porterà ad un’ulteriore avvicinamento di Cuba alle economie di mercato.
Cuba alle prese con la coda avvelenata del trumpismo
La sfida delle riforme economico-monetarie e le sanzioni Usa. L'Amministrazione Usa uscente stringe il cappio e i gruppi anticastristi provano a cavalcare il malcontento generato dalle difficoltà materiali e dall'aumento dei prezzi dovuto all'inflazione
Il veleno del «peggior presidente degli Usa» sta nella coda. E Trump lo inietta a pochi giorni dalla fine del suo mandato. Dopo aver minacciato di inserire di nuovo Cuba nella lista delle nazioni che favoriscono il terrorismo – in compagnia di Iran, Siria e Corea del Nord -, il presidente ha sanzionato il Banco Financiero Internacional, il canale degli investimenti esteri a Cuba.
Naturalmente nessuno politicamente sano di mente crede che il governo cubano – che da decenni subisce una politica aggressiva di organizzazioni finanziate da Washington – abbia interesse a fomentare azioni terroristiche. Ma con queste misure dell’ultima ora che si aggiungono a quasi duecento altre precedenti Trump intende apertamente mettere i bastoni tra le ruote di una probabile politica di appeasement del presidente Biden verso L’Avana.
SONO MISURE VIGLIACCHE, ma pericolosissime. Dal primo gennaio il governo cubano implementa la Tarea Ordinamiento, una serie di riforme economico-monetarie che hanno lo scopo di rilanciare l’economia del paese dopo la batosta dell’accoppiata Trump-Covid (-11% del Pil). E di creare la base materiale per lo Stato socialista di diritto previsto – seppur con contraddizioni – dalla Costituzione approvata nell’aprile 2019.
Dimostrare che socialismo e democrazia non sono in contraddizione dopo il palese fallimento – messo in risalto anche dalla pandemia – del turbocapitalismo neoliberista nell’assicurare equità e giustizia sociale, è una sfida difficilissima. Come indica la storia della seconda metà del Novecento.
OGGI NELL’ISOLA CARAIBICA questa sfida necessaria per la sopravvivenza del governo socialista è resa ancor più difficile da fattori esterni – la crisi economico-sociale-ambientale internazionale – e interni: un’economia gia da qualche anno, secondo l’ex presidente Raúl Castro. «sul bordo dell’abisso», una struttura produttiva statalizzata burocratica e inefficente e un processo di transizione generazionale del vertice politico che si dovrebbe concludere col prossimo Congresso (l’ottavo) del Pcc in aprile e con un malcontento palese di buona parte della popolazione.
Dal primo gennaio a Cuba circola una sola moneta, il peso cubano (al cambio di 24 pesos per un dollaro Usa).
La Tarea Ordinamiento prevede però che l’uso di una sola moneta e di un cambio fisso siano la base monetaria di riforme che comportano la progressiva eliminazione di sussidi generalizzati (la libreta che permette a tutti i cubani di acquistare una serie di prodotti di prima necessità – compresi gas, acqua e luce – a prezzi simbolici o comunque sottocosto) a favore di un’assistenza agli strati di popolazione più bisognosi; l’aumento di salari e pensioni (fino a cinque volte) per affontare l’inflazione generata dal nuovo cambio del peso; una nuova legge sugli investimenti esteri, una maggiore autonomia delle imprese dal controllo dello Stato e infine una legge che autorizzi le Piccole e medie industrie private.
L’OBIETTIVO DI TALI MISURE è rilanciare la produzione nazionale in modo che il lavoro diventi la fonte principale di sostentamento dei cubani e che il salario consenta di vivere con dignità, oltre che aprire prospettive capaci di frenare la pericolosa diaspora dei giovani.
Le previsioni di economisti indipendenti sono caute: se vi saranno i risultati sperati sarà solo con sacrifici e lacrime. La contra attiva soprattutto in rete e basata negli Usa e in Spagna, spara a zero con i grossi calibri: annuncia lacrime e miseria. E chiede sangue. Trump e il suo falco più fedele, Mike Pompeo, guidano l’orchestra. Senza una politica che riprenda la linea dell’ex presidente Obama di progressiva normalizzazione dei rapporti tra Usa e Cuba – che comporti la ripresa del turismo e delle rimesse e un allargamento dei rapporti commerciali- o comunque senza frenare il garrote economico, finanziario e commerciale stretto implacabilmente da Trump, le riforme cubane hanno una chance minima di farcela.
NELLE ULTIME SETTIMANE si è inoltre intensificata la campagna dei gruppi anticastristi per approfittare delle difficoltà materiali dei cubani e del malcontento ormai palese generato dalla crisi per tentare di soffiare sul fuoco di un’esplosione sociale.
Malcontento e ansietà che sono evidenti in questi primi giorni dell’anno a causa dell’aumento dei prezzi dei generi di prima necessità. Il progetto evidente è arrivare a una «rivoluzione colorata» caraibica per cambiare il governo socialista. O per provocare una risposta repressiva da parte del potere che comunque servirebbe al gioco di impedire una politica di apertura dell’Amministrazione Biden.
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