A 30 anni dalla Guerra nel Golfo...
da Il Manifesto 12 Gennaio 2021 di Manlio Dinucci
Trent’anni fa, nelle prime ore del 17 gennaio 1991, iniziava nel Golfo Persico l’operazione «Tempesta del deserto», la guerra contro l’Iraq che apriva la sequenza delle guerre del dopo guerra fredda. Essa viene lanciata dagli Usa e dai loro alleati nel momento in cui, dopo il crollo del Muro di Berlino, stanno per dissolversi il Patto di Varsavia e la stessa Unione Sovietica. Ciò crea una situazione geopolitica interamente nuova, e gli Usa tracciano una nuova strategia per trarne il massimo vantaggio. Negli anni Ottanta gli Usa hanno sostenuto l’Iraq di Saddam Hussein nella guerra contro l’Iran di Khomeini. Ma quando nel 1988 termina questa guerra, gli Usa temono che l’Iraq acquisti un ruolo preminente nella regione. Attuano quindi di nuovo la politica del «divide et impera».
Spingono il Kuwait a esigere l’immediato rimborso del credito concesso all’Iraq e a danneggiarlo sfruttando oltremisura il giacimento petrolifero che si estende sotto ambedue i territori. Washington fa credere a Baghdad di voler restare neutrale nel conflitto tra i due paesi ma, quando nel luglio 1990 truppe irachene invadono il Kuwait, forma una coalizione internazionale contro l’Iraq. Viene inviata nel Golfo una forza di 750 mila uomini, di cui il 70 per cento statunitensi, agli ordini del generale Usa Schwarzkopf. Per 43 giorni, dal 17 gennaio 1991, l’aviazione Usa e alleata effettua, con 2800 aerei, oltre 110 mila sortite, sganciando 250 mila bombe, comprese quelle a grappolo che rilasciano oltre 10 milioni di submunizioni. Partecipano ai bombardamenti, insieme a quelle statunitensi, forze aeree e navali britanniche, francesi, italiane, greche, spagnole, portoghesi, belghe, olandesi, danesi, norvegesi e canadesi. Il 23 febbraio le truppe della coalizione, comprendenti oltre mezzo milione di soldati, lanciano l’offensiva terrestre.
Essa termina il 28 febbraio con un «cessate-il-fuoco temporaneo» proclamato dal presidente Bush. Subito dopo la guerra del Golfo, Washington lancia ad avversari e alleati un inequivocabile messaggio: «Gli Stati uniti rimangono il solo Stato con una forza, una portata e un’influenza in ogni dimensione – politica, economica e militare – realmente globali. Non esiste alcun sostituto alla leadership americana» (Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, agosto 1991). La guerra del Golfo è la prima guerra a cui partecipa sotto comando Usa la Repubblica italiana, violando l’articolo 11 della Costituzione. La Nato, pur non partecipandovi ufficialmente in quanto tale, mette a disposizione sue forze e basi. Pochi mesi dopo, nel novembre 1991, il Consiglio Atlantico vara, sulla scia della nuova strategia Usa, il «nuovo concetto strategico dell’Alleanza».
Nello stesso anno in Italia viene varato il «nuovo modello di difesa» che, stravolgendo la Costituzione, indica quale missione delle forze armate «la tutela degli interessi nazionali ovunque sia necessario». Nasce così con la guerra del Golfo la strategia che guida le successive guerre sotto comando Usa – Jugoslavia 1999, Afghanistan 2001, Iraq 2003, Libia 2011, Siria 2011, e altre – presentate come «operazioni umanitarie per l’esportazione della democrazia». Quanto ciò corrisponda a verità lo testimoniano i milioni di morti, invalidi, orfani, rifugiati provocati dalla guerra del Golfo, quella che nell’agosto 1991 il presidente Bush definisce «il crogiolo del nuovo ordine mondiale». A questi si aggiungono un milione e mezzo di morti, tra cui mezzo milione di bambini, provocati in Iraq dai successivi 12 anni di embargo, più molti altri dovuti agli effetti a lungo termine dei proiettili a uranio impoverito usati massicciamente nella guerra. Dopo quella dell’embargo, la nuova strage provocata dalla seconda guerra all’Iraq lanciata nel 2003.
Nello stesso «crogiolo» vengono bruciati migliaia di miliardi di dollari spesi per la guerra: solo per la seconda all’Iraq, l’Ufficio congressuale del bilancio stima la spesa statunitense a lungo termine in circa 2000 miliardi di dollari. Tutto questo va tenuto presente quando, tra poco, qualcuno ci ricorderà sui grandi media il trentesimo anniversario della Guerra del Golfo, «il crogiolo del nuovo ordine mondiale».
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