La lezione di Labriola sulla concezione materialistica della storia


 

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La lezione di Labriola sulla concezione materialistica della storia


Tiziano Tussi

01/02/2022

In occasione dell'anniversario (21 febbraio 1848) della pubblicazione della prima edizione del Manifesto del Partito Comunista e dell'arricchimento della Biblioteca digitale Mels con il libro di Antonio Labriola, La concezione materialistica della storia, il seguente saggio di Tiziano Tussi per una "serietà della critica supportata dallo studio, anch'esso critico".

* * *

"Che Gramsci fin nella sua prima formazione risentisse di una lettura di Labriola, ha più volte affermato Togliatti…La cosa è probabile, vista l'influenza che Croce e la cultura idealistica ebbero su Gramsci … anche se veramente importante è il punto in cui quei giovani cominciarono a reagire alla «riduzione» crociana e gentiliana, e riportandosi a Marx, e poi a Lenin, e ai classici del marxismo vennero riscoprendo questo «classico» italiano. O, meglio, si proposero il problema Labriola, che era per più aspetti il problema stesso della storia e della cultura italiana."[1]

Partiamo da qui, una citazione riportata da Eugenio Garin, nella sua introduzione del 1973 al testo di Antonio Labriola, La concezione materialistica della storia, in una edizione che mette assieme alcune pagine che non vi erano nell'edizione del Labriola del 1902 e ne aggiunge altre che risalgono a quegli anni, gli ultimi prima della morte del filosofo cassinese il 12 febbraio 1904. Tale citazione corrobora un giudizio che può sollevare rilievi soprattutto da parte di chi ritiene Gramsci mondo da qualsiasi influenza idealistica. Ma non è questo il punto.

In Italia, tra la fine del 1800 e l'inizio del 1900 era vivo un intreccio di rapporti tra idealisti, hegeliani italiani, primi pensatori marxisti e prime forme di organizzazione politica socialista, che possono vantare numerosi esempi di contaminazione difficilmente districabili, a volte, con chiarezza.

Basterebbe ricordare anche il caso di Vittorio Imbriani, della ben nota famiglia Degli Imbriani, che vedeva al suo interno diversificate posizioni politiche sullo sfondo della fine del Risorgimento ottocentesco. Insomma, contrasti culturali in senso alto, di diversa ed opposta collocazione ideologica. Vittorio morì pochi anni prima che nascesse Gramsci che ebbe comunque contatti con l'opera di Imbriani, reazionario puro e grande scrittore, che trattò con sufficienza Benedetto Croce, altro napoletano, ma liberale, che è stato tra i primi a raccogliere le lettere di Imbriani e pubblicarne alcuni suoi testi. Nel ritratto che Croce traccia di lui ha l'aria di dover giustificare la sua nomea di bizzarro. Lo presenta come autore dispettoso, orso controcorrente, che sarebbe giusto, però, tenere in considerazione: "Correvano i tempi del manzonismo, dell'ideale unitario della lingua, e della lingua popolare e fiorentina. L'Imbriani introdusse nella sua lingua gli elementi meno popolari e meno fiorentini: latinismi, parole di uso raro e coniate da lui per derivazioni etimologiche, napoletanismi, contorsioni sintattiche..." (Letteratura della nuova Italia).[2]

Questo per dire quanto di strettamente intricato si possa pensare di quel periodo. Labriola è proprio esempio di tale "pulimento de la historia"[3] in questo caso del pensiero filosofico e politico verso sé stesso. In questo scritto voglio commentare una parte dell'opera di Labriola, appunto La concezione materialistica della storia, presentandola seguendo l'Introduzione di Eugenio Garin e poi analizzando il primo saggio, In memoria del manifesto dei comunisti (in effetti Il manifesto del partito comunista di Karl Marx ed Friedrich Engels), del 1948. Facendomi anche aiutare dall'Introduzione di Bruno Widmar ad una precedente edizione della stessa opera (Biblioteca socialista, edizioni Avanti! Milano, 1960.)

Il percorso verso il socialismo di Labriola è stato lungo e costante. In una lettera a Bertrando Spaventa del 1876, del 10 febbraio, scrive: «Avrete letto nei giornali che io sto per diventare socialista. Faccio lezione agli operai di diritti e doveri. Spero di riuscire meglio che all'Università, perché il senso schietto della moltitudine è oramai preferibile a tutto questo mondo fittizio di scienza burocratica… studenti da un lato, e operai che studiano e prendono coscienza di sé dall'altro. Non ci fu mai [incontro reale] con i colleghi, né coi dotti italiani, né coi gruppi che reggevano il paese." [4]

Come si vede il rapporto con Bertrando Spaventa, la punta dell'hegelismo in Italia, è saldo e l'amicizia stretta. Tanto che Labriola, avviato verso il socialismo lo mette a conoscenza delle sue intenzioni "politiche" in ordine culturale. Nell'Introduzione di Garin si insiste molto sulla temporalità dell'evoluzione filosofico-politica di Labriola nella parte finale dell'800. Certo un punto di raccordo tra i due, Spaventa e Labriola, da maestro ad allievo, consiste "nell'aiutare l'ingegno italiano a svecchiarsi sempre più".[5] La citazione riguarda invero, nell'Introduzione che stiamo seguendo, un gruppo di neohegeliani, ma torna utile anche per Labriola. E possiamo proseguire, chiudendo questo punto con: "…Spaventa si era assunto il compito di rompere l'isolamento culturale dell'Italia portandola al livello raggiunto dalle posizioni più avanzate d'Europa, ossia di quelle hegeliane e posthegeliane."[6]Labriola cerca di assolvere lo stesso compito nei confronti del comunismo marxista.

Occorre respingere "… la filosofia come un sistema da scegliere e in cui chiudersi, il lavoro del filosofo… consiste nell'integrare e «superare» secondo un rigoroso metodo razionale le posizioni a cui l'indagine del passato è pervenuta nel suo lavoro critico… Questa immagine della filosofia come «scienza», come elaborazione di concetti, come coscienza critica, che Labriola riprendeva da Spaventa, contrapponendola alla «filosofia scientifica» dei positivisti, vedeva in Hegel un punto fermo, ma non un sistema definitivo… Vedrà analogamente in Marx, una conquista in campi determinati, non un'onniscienza, un'enciclopedia da ripetere per sempre."[7]

Questo richiamo contro il dogmatismo lo ritroviamo anche in una nota nel libro curato da Widmar e citato sopra che così ci dice: «Meritano un chiarimento due osservazioni fatte dal Labriola [] Le due osservazioni mirano a mettere la costituzione del partito socialista, il suo sviluppo e la sua azione sul piano concreto della storia; …la prima osservazione è diretta contro ogni forma di dogmatismo che ritenga di potere costruire il partito ovunque  nello stesso modo e che possa condurre in tutti i paesi la su azione con metodi identici non considerando la realtà storica sulla quale è costretto ad operare.  La seconda osservazione è diretta contro ogni forma di revisionismo.»[8]

Dove vengono indirizzate le critiche di dogmatismo, burocratismo ecc. ecc.? L'obiettivo più immediato è proprio il mondo della scuola, per Labriola l'Università. «Dopo il '74 a farlo cambiare, "… nel modo di concepire e d'insegnare", contribuirono più cose. La vita accademica… una cinica consuetudine di piccoli intrighi, di molta malafede, di scarsa serietà scientifica e morale, … di molta ignoranza... le ambizioni, le gelosie… Labriola se ne sfogava con il suo "carissimo professore" Bertrando Spaventa e non risparmiava nessuno… Se l'Accademia ... ha dei fondi disponibili vi prego di proporre il seguente tema: Della diffusione del cretinismo fra gli scienziati, esaminato nei suoi rapporti con la pellagra, e con la sinistra al potere." - "Io ho molta più fiducia nei 19 milioni di analfabeti che in tutte le nostre scuole…"[9]

Naturalmente occorreva arrivare, per potere portare avanti un percorso politico di rispetto, ad un risultato di dignità numerica e ideologica. Per questo era decisamente contrario ai piccoli gruppi: "sostiene la necessità di una concentrazione di tutte le forze democratiche («bisogna farla finita col particolarismo delle piccole associazioni»), conquistata l'egemonia culturale ed il potere politico («bisogna togliere il governo della cosa pubblica ai borghesucci e dottorucoli»).[10] Occorre entrare nel Parlamento, fintanto che ci saranno, poi con il potere comunista spariranno: "Valersene - del Parlamento, n.d.r. - è sempre lecito ad ogni partito che non sia di puri utopisti o e visionari".

Ma non è certo possibile aspettarsi un Labriola moderato. La polemica con Turati contiene anche queste radicali affermazioni "…voi - a Turati, n.d.r.- volete fare la propaganda tra i borghesi; voi volete rendere simpatico il socialismo: Dio vi aiuti in questa filantropica impresa. In quanto a me i borghesi li credo buoni soltanto a farsi impiccare. Non avrò la fortuna di impiccarli io, ma non voglio nemmeno contribuire a dilazionarne l'impiccagione."[11]

Labriola arriva quindi a definire il comunismo critico come punto d'arrivo di ogni ricerca e compagno di viaggio in ogni percorso di conoscenza approfondita e non come sovente accadeva in quel periodo di intrecci culturali, tentativi pasticciati, attivi in ogni epoca. Unificare la cultura del periodo fine '800 in una specie di affastellamento approssimativo: "…tutta una cosa nel cervello demimondano dei lettori di riviste." Affermazione che troviamo nella corrispondenza con Engels.[12]

Possiamo chiudere e meglio specificare con una sottolineatura per la criticità. Il comunismo critico è quello che verrà definito, in molte occasioni "comunismo scientifico". "Con Hegel Labriola ripete: «intendere è superare» - «La previsione storica» del Manifesto non è una profezia, e neppure una promessa; è la presa di coscienza critica, «scientifica», delle ragioni del nascere, del trionfare, e quindi del necessario tramontare della società borghese. È la fine della mistificazione metafisica secondo cui alcuni principi, leggi, idee, ideali sarebbero assoluti: strutture immutabili di una immutabile «natura dell'uomo e delle cose. La caduta dei miti, che la critica determina, è, perciò stesso, avvio alla liberazione.»[13] La spinta alla criticità salva la storia dalla ripetizione identica e burocratica di sé stessa, nella mente dei rivoluzionari. Così suona chiara come un avvertimento alle pretese di assolutezza della vita borghese. Siamo nel pieno della storia che continua a ripulirsi e a rifulgere sempre più.

I saggi che sono stati raccolti nel libro in oggetto sono rispettivamente:

In memoria del Manifesto dei comunisti: 1895.
Del materialismo storico: delucidazione preliminare
: 1896.
Discorrendo di socialismo e filosofia: 1897.
Appunti polemici, primo titolo; poi Da in secolo all'altro (incompleto). 1904.

Prendiamo ora come oggetto di analisi il primo saggio In memoria del Manifesto dei comunisti. Tale scritto si configura essere analisi critica del testo. Troviamo una lettura attenta ed altrettanta attenta sottolineatura dell'importanza dello stesso, pubblicato a Londra il 21 febbraio 1848, quindi ricordiamo qui una sorta di anniversario, anche se non tondo, e scritto logicamente poco prima, tra il 1847 ed il 1848, dalla coppia Marx-Engels.

Vediamo alcuni punti trattati.

Spesso troviamo in Labriola posizioni politiche dialettiche, critiche, antidogmatiche così anche in questo scritto scrive chiaramente che non ci si deve porre davanti allo scritto dei due rivoluzionari come fosse "un'autorità…un precetto". (p. 6) Niente di chiesastico quindi. Abbiamo forse già rimarcato l'attività intellettuale libera da pastoie del conformismo. Vediamo anche qui all'inizio della discussione la stessa presa d'atto. Ed ancora "Il comunismo critico - che per lui è il comunismo scientifico (n.d.r.) - questo è il vero suo nome, e non ve n'è altro di più esatto per tale dottrina - non recitava più coi feudali il rimpianto della vecchia società… anzi non mirava che al futuro…" (p.7).

Vorrei sottolineare l'uso dell'aggettivo critico usato per indicare il comunismo moderno e che guarda al futuro. La critica è un'azione di continua corrosione di ogni addomesticamento, di ogni addormentamento, di ogni sonno della ragione. Un lavorio incessante, che ha visto sulla scena filosofica e politica, tutti i grandi politici e filosofi usarne in quantità. Molto più attivizzante che la dizione stessa di "scientifico", che può a volte servire per tacitare la critica.

Qui si pone necessariamente un elemento di discussione quando Labriola irride, attraverso l'interpretazione del testo che tratta, al ruolo storico della borghesia, accreditando Il manifesto del Partito Comunista come chiaro segno di "…necrologio della stessa… umorismo tragico verso la borghesia… intonazione di ditirambo...". La discussione può nascere dal fatto che si può pensare, all'opposto, che i due autori  dello scritto, Marx ed Engels paiono invero così chiari e con una impostazione ben differente. Basti leggerne un inciso: "La borghesia ha avuto nella storia una parte essenzialmente rivoluzionaria." Questo lapidario giudizio lo si trova nelle prime pagine del testo e difficilmente può dare origine a confusioni di interpretazione. Del resto, il ruolo storico della borghesia gioca poi a favore della stessa impostazione che tornerà utile al proletariato. Togliendo il segno positivo alla classe borghese "rivoluzionaria" poi è più difficile fare rientrare la rivoluzione proletaria nel solco storico previsto da Marx ed Engels, anche se occorre dire che Marx stesso, parlando della Russia, si mise al di fuori, a fianco, delle sue previsioni principali.[14]

Ma Labriola all'opposto, forse proprio per esser a contatto con i tentativi di costruzione del Partito socialista, che allora valeva per comunista, guidati dall'alto, Turati ad esempio, con il quale del resto aveva dimestichezza ed amicizia, anche politica, soffriva questa costruzione proletaria guidata da intellettuali borghesi e poco inclini alla vicinanza al proletariato. Cosa invece più naturale per Labriola, insegnante universitario ma propenso ad un lavoro che Gramsci avrebbe definito da intellettuale organico. Anche Lucio Villari  in una vecchia recensione su La repubblica, del 15 ottobre 1981, ci dice che :" Di qui la sua diffidenza, spesso sprezzante, nei confronti dei capi socialisti e del partito - nato sotto il suo sguardo perplesso nel 1892 - che egli riteneva prigionieri di una cultura piccolo-borghese …"[15]

Ma andiamo avanti: Labriola ricorda la genesi storica nella quale è nato il libro che sta trattando: l'evoluzione della Lega dei Giusti in lega dei Comunisti e l'incarico che ebbero i due a definire il programma di una nuova organizzazione politica. Ora, usando ancora Serrano Caldera, ecco entrare in campo il ripulirsi del disegno politico e l'apparire sotto la coltre morale della venatura tutta politica dell'associazione finalmente ripulita, anche se non totalmente, dall'afflato altamente spirituale.

La presa del potere proletario non dipende certo, per il comunismo critico, da una missione da compiere o da un compito da espletare per sommi motivi di purezza sociale. Il tutto viene definito dalle forze in campo e da spinte che la storia farà prevalere.

Emerge però da subito, siamo ancora alle prime pagine, la consapevolezza che nella storia nulla è superfluo, ma che ogni stadio può essere superato: "Nulla v'è di assolutamente irrazionale nel corso storico delle cose, perché nulla v'è in esso d'immotivato, e perciò di meramente superfluo. [] Il fatto è che quelle dottrine - Labriola si riferisce alle dottrine precedenti il comunismo ed indefinitiva al pensiero borghese (n.d.r.) - non sono soltanto passate nel tempo… ma furono intrinsecamente sorpassate…"[16] E filosoficamente rileva la derivazione hegeliana della dialettica, efficace strumento al servizio del movimento rivoluzionario.

Ogni diritto sociale, ogni risultato socialmente egualitario, la lotta alle disuguaglianze, in questi tempi tanto agitata, non può essere raggiunto con la declamazione a gran voce della stessa. Occorre un movimento reale di fatti che vengono raggiunti e che cambiano lo stato delle cose precedente. "Né ad esso - al comunismo (n.d.r.) - si va, o si torna per spartana abnegazione, o per cristiana rassegnazione."[17]

Le sottolineature di Labriola, dei punti fondamentali dello scritto di Marx ed Engels, sono numerose ed il filosofo cassinese le ripercorre nel suo saggio, cercando di non tralasciare nulla. Ve ne sono alcune che abbiamo rilevato, ma per non scrivere inutilmente a lungo solo alcuni altri pochi punti.

Labriola scrive di carattere morfologico dello scritto. La morfologia è la scienza che tratta, tra l'altro, il conformarsi del terreno senza possibilità di indecisione. È così: o secco o umido, o adatto per una coltivazione o per un'altra. Non si può sfuggire alla sua configurazione. Così come non ci si può esimere dal considerare il futuro della storia come futuro proletario.

Sembra strano ed azzardato, specialmente di questi tempi parlare di futuro comunista. Ma la tenacia del libro dei due Autori e l'approfondimento di Labriola fanno pensare anche che i tempi dell'uomo, in assoluto, non sono tempi che possano coprire ere storiche adeguate ad un momento storico di lunga durata. Occorre pensare che all'orizzonte non molto altro non vi sia che un passaggio morfologico nel comunismo. "La previsione, che il Manifesto per la prima volta accennava, era, non cronologica, di preannunzio o di promessa: ma era, per dirla in una parola, che a mio avviso esprime tutto in breve, morfologica."[18]

Lo studio delle profondità storiche del terreno umano porta inevitabilmente all'economia: "Lo studio anatomico di tale struttura è la Economia."[19] L'insistenza di Labriola serve per ciò che avevamo detto sopra. Lottare ideologicamente contro ogni aspetto moralistico del movimento socialista. Riportare sul terreno solidamente materialistico ogni aspetto politico comunista. Ed ecco che Labriola perciò riporta, nelle pagine successive, una parte dell'opera di Marx Per la critica dell'economia politica del 1859, che insiste proprio sull'argomento.Occorre che chi si dice e voglia supportare la rivoluzione comunista, seguendo i dettami storicistici e materialistici abbia da raggiungere "…la coscienza di tale rivoluzione … e delle sue difficoltà."[20]

Come in altre occasioni, ancora critica chi pensa politicamente con un marcato segno di azione "… confusa… [da] conventicola, nella quale accanto all'illuso siede il pazzo e la spia."[21] Ognuno può andare agli esempi che crede, e per non riaprire discussioni inutili a questo punto basterebbe ricordare il movimento populista nella Russia di fine secolo XIX.

Come rinforzo del suo articolato discorso leggiamo che Labriola descrive la campagna, i contadini come "…l'idiotismo della campagna."[22]

Non possiamo non riandare alla rivoluzione maoista, fatta proprio con i contadini. Ecco un altro bell'esempio di quello che Labriola ci diceva sopra, del sorpasso di ogni forma storica. Mettiamo anche questa affermazione nel cesto delle discussioni e proseguiamo. Classicismo e innovazione del marxismo e dei suoi assi portanti. Riaffermazione del noto in un mondo politico di sinistra che aveva già virato per stradine poco battute e poco storicamente pregnanti.

Per avviarci verso la fine di questa analisi di accompagnamento possiamo rilevare solo: l'importanza dell'economia come scienza a sé stante. Vi ha messo molto a nascere ed è diventata ora, da diversi decenni padrona delle analisi sociali più disparate, soprattutto macroeconomiche. Labriola nel suo tempo, riprende una formulazione che aveva già usato Marx nelle Lotte di classe in Francia del 1850.

Ci piace ricordare un punto del Labriola: "Eliminare il pauperismo? Ma se è condizione necessaria del capitalismo!"[23] la lotta alla povertà è oggi continuamente ricordata come cosa da fare, come azione meritoria di ogni organizzazione mondiale, ONU in primis: senz'altro sarà debellata tra dieci anni, venti… forse mai. Ma decisamente impossibile da raggiungere stando la forma capitalista egemone sulla terra. In questa disposizione, la ricchezza richiama la povertà, necessariamente. Impegno comprensibile quando si tratti di una chiesa qualsiasi che reclama l'attenzione per il povero, ma assolutamente inutile ad ogni altro livello. Inutile anche dal punto di vista morale, non essendo l'ONU una chiesa. "Chiedere a questo stato - ed ad ogni stato borghese (n.d.r.) - che esso cessi dall'essere lo scudo ed anzi il baluardo di questa società e di questo diritto, è volere l'illogico."[24]

A questo preciso punto nel testo che stiamo scorrendo compare una nota che ci dice: "Allevarie forme di utopismo ideologico e religioso se n'è aggiunta così una nuova: l'utopia burocratica e fiscale, ossi l'utopia dei cretini." (nota 1 pagina 51)

Riprendo, a mo' di appendice un paio di punti da un altro testo del Labriola, citato nella nota 4 di questo scritto. Per sottolineare la rarità delle sue posizioni, la solitudine del suo insegnamento andiamo ad un altro lavoro. Questo parla dell'università e della scienza. Si possono cogliere questi aspetti, che sono veramente precoci, dato che la lezione universitaria di apertura dell'anno accademico porta la data del 1896. "Chi dice scienza, dice tendenza metodica ad eliminare il dominio delle pure opinioni. "[25]

Tra i numerosi punti toccati ci limitiamo ai pochi seguenti, come abbiamo già specificato, veramente precoci: ricorda con reiterazione che insegnare non è indottrinare e che la vita universitaria è essa stessa immediatamente vita democratica. "… vedrete nell'età matura - dice agli studenti (n.d.r.) - quando vi sovverrà degli anni dell'Università, come dei soli da voi vissuti in democrazia."[26] E poco dopo ricorda che prima di criticare occorre imparare.

Mi sovviene che tale indicazione era spesso pronunciata da Ludovico Geymonat, nei suoi incontri pubblici, specialmente con giovani studenti. Ricordava loro, e lo fece in numerose occasioni, che occorre prima studiare e poi criticare. Questo a discapito di certi sessantottini furori giovanili, poco inclini alla prima parte del consiglio. E con questo non voglio certo asserire, come forse si può affrettatamente ricavare dall'ultimo inciso, che il movimento del '68 sia stato inutile e dannoso. Non possiamo però passare sopra a certi atteggiamenti politicamente poco proficui ed esistenzialmente disinvolti.

Labriola richiama all'ordine: studio serio e profondo. E noi ci possiamo accodare considerando che di serietà n'era bisogno nell'università di allora, come in quella di oggi. La serietà della critica supportata dallo studio, anch'esso critico. Un uomo critico cerca sempre sé stesso. In ogni azione, in ogni libro. In fondo in ogni libro noi ricerchiamo noi stessi. (Hans Georg Gadamer) Anche per Labriola possiamo usare tale accorgimento interpretativo critico.

Note:

[1] Eugenio Garin, Introduzione ad Antonio Labriola, Concezione materialistica della storia, Laterza, Bari, 1973, p, LXIII-LXIV.

[2]Gianni Celati - Imbriani, il favolare, l'ingenuità e lo scarabocchio "Griseldaonline", n. X, 2010-2011.

[3] "Lucidatura della storia". Tale azione continua viene trattata estesamente in un volume di Alejandro Serrano Caldera, Filosofia y crisis, editorial nuevanicaragua, Managua, 1984. La citazione non deve essere intesacome un vezzo, dato chedifficilmente si può accedereal testo, ma è un'immagine che mi pare possa essere veramente indicata per il lavorio che Labriola fece per giungere alle posizioni di comunismo critico verso la fine degli anni '80 del 1800. A tale testimonianzarisultano essere le lettere che si scambiò con Friedrich Engels nel quinquennio 1890-1895, anno della morte di Engels. Lettere poi andate perse perla quasi totalità.

[4]Eugenio Garin, Introduzione alla Concezione materialistica della storia, Cit., p. XI/XII Al riguardo leggasi Antonio Labriola, L'università e la libertà della scienza, lezione tenuta il 14 novembre 1896 per l'inaugurazione dell'anno Accademico dell'Università di Roma. Stampato da Benedetto Croce poco dopo e reperibile ora in diverse edizioni ed anche inrete, gratuitamente.

[5]Eugenio Garin, Introduzione alla Concezione materialistica della storia, Cit., p. XXIV.

[6] Eugenio Garin, Introduzione alla Concezione materialistica della storia, Cit., p. XXV.

[7] Eugenio Garin, Introduzione alla Concezione materialistica della storia, Cit., p. XXXI/XXXII. I virgolettati sono ripresi da lettere di Labriola a Engels ed a Kautsky del 1894.

[8] Antonio Labriola, In memoria del manifesto dei comunisti, Biblioteca socialista, cit. sopra. La nota in questione, la 3 è del curatore Bruno Widmar, p. 24/25 del testo del Labriola.

[9] Eugenio Garin, Introduzione alla Concezione materialistica della storia, Cit., I due ultimi passaggi sono rispettivamente a p. XXXV e XXXVI

[10]Eugenio Garin, Introduzione alla Concezione materialistica della storia, Cit., p. XL.

[11] Eugenio Garin, Introduzione alla Concezione materialistica della storia, Cit., p. XLIII

[12] Il riferimento è sempre nell'introduzione di Garin, più volte citata, a p. XLIX.

[13] Sempre dall'Introduzione di Garin, citata più volte, p. LV.

[14] Basterebbe a proposito riandaread un piccolo testo degliEditori Riuniti del 1993, Russia, che raccoglie scritti sparsi e lettere dello stesso sulla questione.

[15] Lucio Villari, Il "maldicente" Labriola, in La Repubblica, 15/10/1981

[16] Antonio Labriola, cit., p. 15.

[17] Antonio Labriola, cit., p. 20-21.

[18] Antonio Labriola, ci., p. 27-

[19] Ibidem

[20] Antonio Labriola, cit., p. 32.

[21] Antonio Labriola, cit., p. 38.

[22] Antonio Labriola, cit., p. 39.

[23] Antonio Labriola, cit., p. 50.

[24] Antonio Labriola, cit., p. 51.

[25]Antonio Labriola, L'università e la libertà della scienza, Riccardo Ricciardi editore, Milano- Napoli, MCMLXVIII, p. 33

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