DIRITTO ALLA SALUTE E ALLA SICUREZZA

IL RILANCIO DEL DIRITTO ALLA SALUTE E ALLA SICUREZZA: L’INIZIATIVA DI MEDICINA DEMOCRATICA

 
Da: Medicina Democratica
 
ALLE RETI E ALLE ASSOCIAZIONI

RIPORTIAMO LE NOTE E LE (MOMENTANEE) CONCLUSIONI E PROPOSTE DALL’INCONTRO AVUTO CON ALTRE ASSOCIAZIONI IL 2 LUGLIO, DA DIFFONDERE E DA APPROFONDIRE.

 
Medicina Democratica, a 40 anni dal suo primo Congresso (1976 Bologna), promuove un’iniziativa per riaffermare la centralità della salute quale fondamentale diritto dell’individuo, interesse della collettività e l’irrinunciabilità dell’impegno della Repubblica alla efficace tutela di tale diritto.
 
Con questo intende offrire un’opportunità al confronto e alla riflessione collettiva sul tema “Salute e Sanità” per condividere coerenti iniziative di documentazione, mobilitazione, sensibilizzazione e lotta da attuare a livello locale, nazionale, europeo. Per questo rivolge l’invito alla più ampia partecipazione organizzativa delle associazioni e realtà collettive che condividono tale obiettivo.
 
Un primo incontro preparatorio, svoltosi a Bologna il 2 luglio scorso, ha visto una scarsa partecipazione, anche per limiti di preparazione. Abbiamo comunque discusso gli aspetti principali e siamo arrivati a prime conclusioni che offriamo al dibattito più allargato e qualificato. Abbiamo convenuto anzitutto di non organizzare un convegno fatto di relazioni e di gruppi di approfondimento, concordando circa la necessità che l’iniziativa debba essere finalizzata a definire progetti, predisporre programmi e individuare obiettivi di lotta da opporre alla deriva politica e sociale che progressivamente intende ridurre ad un “optional”, a un “benefit” contrattuale il diritto alla tutela della salute. Una deriva che naviga verso un riconoscimento di tale diritto al più come un bisogno individuale da soddisfare grazie del mercato quindi esposto alle leggi della concorrenza e della speculazione finanziaria nazionale e multinazionale delle assicurazioni, dei fondi di investimento, delle multinazionali del farmaco, delle organizzazioni di ricerca e formazione sempre più “for profit”, private ma sempre pronte, come sempre, a finanziare con i soldi pubblici la massimizzazione dei profitti privati.
 
Con questo non intendiamo negare la necessità e l’utilità di entrare nel merito di vari temi quali modi, tempi, strumenti e finanziamenti alla ricerca, alla formazione, alle iniziative di vera e falsa prevenzione, alla valutazione della vera sostenibilità economica attraverso la ricerca di efficacia, efficienza, appropriatezza e contro la malagestione, la pervasività dei politici, e la lotta alla corruzione e alle mafie, anche attraverso la promozione di leggi e iniziative giudiziarie appropriate, che richiedono la collaborazione di esperti per una comprensione approfondita e per la identificazione di linee di sviluppo efficace di dibattito culturale e di lotta sociale, e di lotta. Questo verrà fatto ma non in occasione del convegno qui proposto.
 
Infatti la deriva in atto, che acuisce le diseguaglianze economiche, sociali e culturali, arrivando a minare alle fondamenta la stessa democrazia fondata sul riconoscimento e la composizione dei conflitti fra interessi oggettivamente diversi, senza lasciare però spazio alle distorsioni introdotte dai conflitti di interesse non riconosciuti, occultati, imposti attraverso lobby con iniziative opache, richiede una pronta risposta di movimento fondata su una sempre più consapevole ed ampia partecipazione, documentata ed informata per difendere efficacemente le basi stesse della nostra stessa convivenza civile e coesione sociale.
 
Abbiamo individuato due temi caratterizzanti tutta la storia di Medicina Democratica fin dalla nascita, sui quali focalizzare il confronto per farne scaturire iniziative di lotta.
 
A) LA FALLACE CONTRAPPOSIZIONE FRA LAVORO DA UNA PARTE E SICUREZZA, SALUTE, BENESSERE DALL’ALTRA; LA CENTRALITA’ SIA DELLA FABBRICA (LA CONDIZIONE DEI POSTI E LUOGHI DI LAVORO: NOCIVITA’ DELLA PRODUZIONE E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE), SIA LA CONDIZIONE ESTERNA (I RISCHI DA INQUINAMENTO E IL “CONTENUTO” DELLE MERCI).
 
La salvaguardia della salute, fin dagli inizi della rivoluzione industriale inglese di fine ‘700, è stata considerata un aspetto trascurabile, rispetto alla necessità di mantenere il posto di lavoro, sempre e comunque. Il ricatto padronale: o lavoro o salute, con il corollario della monetizzazione del rischio e l’eventuale indennizzo del danno (assicurazione obbligatoria sugli infortuni), ha dominato fino ai giorni nostri.
Solo negli anni 1969-1973 si è imposto, anche a livello sindacale oltre che a livello politico e culturale, il rifiuto di tale monetizzazione e la promozione, a livello contrattuale e legislativo, di una organizzazione del lavoro e della tutela ambientale da cui ogni nocività venisse espulsa. Ma una tale conquista di civiltà si è rivelata non acquisita definitivamente, come ogni “diritto” sottoposto ai cambiamenti storici e sociali ovvero ai rapporti di forza tra le classi. Oggi il problema si ripropone tal quale, ad esempio all’ILVA di Taranto, con la medesima nettezza e spietatezza, amplificata dalla prospettiva “globale” dell’economia come degli effetti ambientali di tali scelte.
 
Nella pratica, ma purtroppo anche nella teoria (nella coscienza collettiva e nella cultura fino ad arrivare ai giudizi espressi dalla magistratura), la salvaguardia della salute viene legata alle risorse disponibili, facendone così non un diritto ma una fra le tante opzioni fra le quali sono le condizioni del mercato a scegliere, non più la Carta Costituzionale e le leggi cogenti che derivano da questa, a stabilire quale priorità va riconosciuta tra profitto di pochi e salute di tutti.
 
Nel convegno, a partire da realtà quali l’ILVA di Taranto, così come dalla Caffaro di Brescia, dalla Eternit di Casale Monferrato o dalle tante altre fabbriche dell’amianto e di altri cancerogeni intendiamo ragionare sulle conseguenze per i lavoratori e per le popolazioni circostanti di scelte padronali che taluno definisce irresponsabili ed altri bollano come criminali (crimini di pace). Si potrebbe dibattere su quelle che debbono essere le nuove prospettive e le nuove forme organizzate della mobilitazione e della lotta.
 
Si tratta di aprire la discussione, e l’iniziativa di base, su quale relazione, in una vera democrazia, fondata sul lavoro e che al lavoro e al lavoratore riconosce la dignità dei diritti universali dell’uomo, debba legare economia, finanza e lavoro, quali produzioni promuovere e quali bandire, come affrontare l’impatto ambientale delle produzioni chimiche, dell’energia, della gestione dei rifiuti urbani ed industriali, della produzione, trasporto e commercializzazione degli alimenti e delle altre merci.
 
Non ultimo si tratterà di affrontare anche il problema di come funzionano e di che cosa sono diventate le istituzioni dedicate a promuovere e diffondere la prevenzione che sempre più soffrono per la mancanza di risorse e di operatori, mentre altre hanno perso completamente la bussola e hanno subito una distorsione nella loro stessa ragione d’essere. Pensiamo all’INPS e all’INAIL, quest’ultimo ormai un pachiderma burocratico che sta riprendendo via via le competenze che la riforma sanitaria del 1978 aveva invece opportunamente affidato alle USSL nel frattempo diventate “aziende”.
 
Sicurezza sul e del lavoro, condizione femminile e lavoro, nuove forme di nocività (mobbing) sono altri punti che dovranno essere affrontati per definire iniziative specifiche. Tra gli aspetti che proponiamo al dibattito vi sono i seguenti
1.      Lotta a ogni forma di precariato sul lavoro e garanzia della autoorganizzazione in fabbrica da parte dei lavoratori quali condizione preliminare per l’affermazione del diritto alla salute nei luoghi di lavoro (attuazione concreta dell’art. 9 dello Statuto dei lavoratori e delle lavoratrici).
2.      Piena competenza dei compiti di vigilanza nei luoghi di lavoro (in tutti i luoghi di lavoro) da parte dei servizi di prevenzione delle USL/ASL con relativo piano di assunzione di un numero di tecnici idoneo per estendere i controlli in tutte le aziende.
3.      Responsabilità e autonomia decisionale dei tecnici della prevenzione della ASL/USL nella attuazione dei controlli programmati, in emergenza e su richiesta dei lavoratori e delle loro rappresentanze. Predominanza di interventi mirati e di qualità rispetto a criteri basati esclusivamente sul numero dei controlli.
4.      Inasprimento delle sanzioni a carico del datore di lavoro e dei dirigenti dalla normativa cogente per il mancato adempimento degli obblighi relativi a diritto del lavoro e a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.
5.      Ripristino del testo originale del D.Lgs. 81/08, eliminando le modifiche peggiorative per la salute e la sicurezza dei lavoratori introdotte dalle successive modifiche (D.Lgs.106/09, Decreto del fare, Decreto semplificazioni, Decreti attuativi del Jobs Act). Contrasto ad ogni ulteriore modifica peggiorativa del D.Lgs. 81/08, come quella prospettata dal Disegno di Legge Sacconi già presentato in Senato che comporterebbe una drastica deresponsabilizzazione del datore di lavoro e la trasformazione della valutazione dei rischi e la definizione conseguente delle misure di prevenzione e protezione in una semplice “certificazione” da parte di un professionista pagato dall’azienda.
6.      Sostenere la ripresa della conoscenza e coscienza dei lavoratori con la promozione di sportelli salute e sicurezza autorganizzati e gestiti dalle realtà locali, in una rete di associazioni, anche a sostegno dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza, che spesso operano senza validi sostegni formativi.
7.      Creazione di una rete di assistenza tecnico/legale per i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza quando, a seguito della loro attività, subiscono discriminazioni da parte delle aziende.
8.      Previsione di pool di magistrati che si occupano di salute e sicurezza sul lavoro in ogni Procura, con relativa formazione specifica, creazione di una Procura nazionale per la sicurezza sul lavoro.
9.      Ripresa e sviluppo del rapporto tra lavoratori e tecnici sia per quanto riguarda i rischi lavorativi che quelli ambientali, anche al fine della programmazione degli interventi per filiera produttiva o rischio e della formazione e sensibilizzazione dei lavoratori sulla conoscenza dei loro diritti rispetto a salute e sicurezza sul lavoro.
10.  Introduzione nel codice penale dei reati di omicidio sul lavoro (revisione dell’apparato sanzionatorio del D.Lgs. 81/08) e di vessazioni sul lavoro (mobbing, discriminazione sul lavoro, violenza e stalking sul lavoro) anche creando osservatori su tali temi e sostenendo quelli già esistenti.
11.  Introduzione in maniera esplicita nel D.Lgs 81/08 dell’obbligo di effettuare la valutazione dei rischi e di definire le relative misure di prevenzione e protezione, anche tenendo conto dei dati epidemiologici della coorte di riferimento responsabilizzando i Medici competenti.
12.  Passaggio delle competenze sul riconoscimento delle malattie professionali dall’INAIL alle USL/ASL, revisione delle tabelle sulle malattie professionali (introducendo le neoplasie mancanti, patologie come MCS e sindrome da elettrosensibilità, patologie psichiche e psicosomatiche lavoro correlate) e della tabella sulla quantificazione del danno biologico. Contrasto con l’atteggiamento di chiusura di enti (INAIL in primis) che non riconoscono o rendono impervio il riconoscimento di malattie professionali.
13.  Promozione della ricerca attiva dei tumori professionali da parte dei servizi di prevenzione delle USL/ASL (utilizzo delle indagini epidemiologiche per ricerche sui comparti a rischio) sull’esempio del modello OCCAM.
14.  Piena attuazione ed estensione del regolamento europeo REACH per le sostanze di maggiore pericolosità (cancerogeni, mutageni e teratogeni) per arrivare al divieto di produzione e di introduzione nei paesi aderenti alla Unione Europea.
 
B) L’USO STRUMENTALE DELLA RETORICA DELLA NON SOSTENIBILITA’ DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE PUBBLICO, UNIVERSALE, EQUO, SOLIDALE, FINANZIATO ATTRAVERSO LA TASSAZIONE PROGRESSIVA, FONDATO SULLA PREVENZIONE E SULLA PARTECIPAZIONE, PER PROMUOVERNE, ANCHE IN MODO SUBDOLO, LA PRIVATIZZAZIONE.
 
Tale giudizio di insostenibilità viene curiosamente gonfiato, anche attraverso il finanziamento di convegni e della produzione pubblicistica, soprattutto da coloro che hanno tutto da guadagnare nel sostenerlo. I privati che intendono speculare su un bisogno che si dice “non abbia prezzo” che, una volta cancellato come diritto diviene merce alla mercé di speculatori e strozzini vari la cui politica dei prezzi, quella per intendersi delle multinazionali del farmaco, è stata recentemente bollata da un ricercatore non certo “comunista”, fondatore e direttore dell’Istituto Mario Negri, il professor Silvio Garattini, come “crimine contro l’umanità”.
 
Come una volta ebbe a dire il direttore di una rivista scientifica di fronte a quanti si lamentavano dei costi eccessivi dell’istruzione di massa: “Dite che l’istruzione di massa costa troppo? Provate con l’ignoranza e ve ne accorgerete!”. Lo stesso vale per il SSN: “Dite che non sia economicamente sostenibile? Provate con un sistema privatizzato”. Basta fare i confronti di efficacia e di costo complessivo dei sistemi nazionali pubblici universali e di quelli privati o basati sulle assicurazioni individuali.
 
L’attacco al SSN non riguarda solo l’Italia, ma anche la Spagna e la Gran Bretagna. In Italia, oggi, la punta di diamante di tale attacco è rappresentata dalla proposta e dalla imposizione, venduta come necessità irrinunciabile, se si vuole difendere la sanità, del ricorso alla sanità integrativa, come innocua scelta a disposizione di chi intende migliorare il proprio status senza nulla togliere agli altri. Come ha anche sostenuto in un recente articolo Chiara Saraceno su La Repubblica del 9 Giugno: “Chi paga un’assicurazione sanitaria integrativa... alla lunga può chiedersi come mai deve finanziare, tramite le tasse, anche la sanità pubblica che non usa” e, più avanti “Con l’istituto dell’attività intra (ed extra) moenia da parte dei medici ospedalieri molto mercato è già entrato nella sanità pubblica... un’ulteriore espansione del privato via assicurazioni rischia di peggiorare ulteriormente la situazione, non di migliorala”, per concludere, “Occorre invece rafforzare la sanità pubblica, certo rendendola più efficiente ed eliminando sprechi e storture, ma avendo come fine non il contenimento della spesa, bensì il diritto alla salute della cittadinanza, a partire da quelli che hanno meno alternative”.
 
L’impressione, ripetiamo, è che coloro che si stracciano le vesti per denunciare l’insostenibilità del SSN, sono proprio coloro che dai sistemi assicurativi e integrativi, e dall’acquisto (a prezzi di realizzo?) delle strutture sanitarie esistenti hanno tutto da guadagnare nel trasformare il settore sanitario in una fonte di ancor più grandi profitti (essendo le multinazionali del farmaco già le industrie a maggiori tassi di profitto unitamente a quelle di produzione di armi). A tale proposito si allega anche un articolo recentissimo del Sole 24 Ore sulle assicurazioni, che ribadisce quanto qui sosteniamo.
 
La pochezza del livello culturale del dibattito sul tema, rispetto a quello che si svolse alla Liberazione dal Nazifascismo, a quello della elaborazione della nostra carta costituzionale, fino a quello che accompagnò la predisposizione della legge di Riforma del 1978, la dominanza assoluta del pensiero unico iper-liberista che non trova oramai contrapposizioni se non dal seggio pontificio (!!!). La frammentazione delle forze sociali e politiche che dovrebbero difendere, attraverso la sanità pubblica, quelli che si definivano un tempo “gli interessi del popolo”, è tale che tutto congiura nel minare alle fondamenta il diritto costituzionale. Nostro intendimento è cercare di operare per la ricostruzione di un fronte comune, che identifichi specifici obiettivi da perseguire a sui quali creare la mobilitazione delle coscienze e della cultura che oggi, in un panorama culturale desolato, manca del tutto. Per questo i punti dai quali proponiamo di partire nel dibattito sono:
1.      non è vero che la sanità pubblica è insostenibile: un sistema sanitario nazionale pubblico universale è anzi più efficace e meno costoso, come dimostrano i dati comparativi;
2.      le varie forme assicurative (private-private, miste, integrative, mutualistiche, del welfare 2.0) hanno lo scopo di lucrare profitti e di fatto corrodono dall’interno i principi etici su cui il SSN si fonda;
3.      l’ideologia della prestazione, ovvero l’idea consumistica e funzionale quindi al mercato, che la buona salute dipenda dal numero delle prestazioni (visite, esami, prescrizioni) è falsa, funzionale solo al sistema medicale-industriale contro il quale si muove il movimento internazionale per la appropriatezza, “lessi s more”, contro “overtreatment” e “overdiagnosis”;
4.      la prevenzione che agisce sulle cause della malattia, del disagio e del malessere deve essere parte fondamentale del sistema sanitario e non può essere confusa, né sostituita da pratiche di diagnosi precoce. Valore aggiunto della prevenzione così intesa è la partecipazione ovvero l’adesione convinta, informata e responsabile a buone pratiche sanitarie e di stile di vita, non imposte dalle mode ma convintamente abbracciate dai diretti interessati per convincimento razionale e non per imbonimento pubblicitario o imposizione autoritaria più o meno favorita dal Ministero;
5.      non si può sostituire l’operatore sanitario con regole e procedure fisse estranee al contesto lavorativo, ambientale, sociale in cui ogni persona è inserita e non si può quindi prescindere dalla relazione interpersonale nel rapporto operatore-paziente nella quale soltanto può trovare realizzazione la visione olistica della persona come storia individuale, ruolo sociale, nodo di relazioni sostanziali per rendere praticabile ed efficace ogni provvedimento sanitario;
6.      a tal proposito non si può tacere che va in direzione esattamente contraria ai principi sovraesposti l’eccesso di medicalizzazione che si è fatta strada negli ultimi anni in particolare, ma non solo (vedi anche la questione “vaccinazioni”), nel settore della Salute Mentale. Qui avanza una notevole regressione alla situazione pre-Basaglia ed è in corso sia nel Servizio Pubblico (ASL) che nelle sedi di formazione universitaria: non solo nei contesti di bisogno di cura davanti a (oggettivi) sintomi di natura psicotica quanto soprattutto per il dilagante ricorso, davanti a segni di vitalità (ad esempio ansia) e di tristezza (ad esempio depressione) letti entrambi come sintomi di patologia, a dosi eccessive di psicofarmaci e a “terapie” che assolutamente non rispettose della dignità dell’essere umano (vedi terapia elettroconvulsivante);
7.      le prestazioni non vanno graduate in funzione delle risorse economiche del richiedente, sostenute o meno da una personale assicurazione o mutualità, ma erogate solo in funzione del bisogno, da qui la necessità che il servizio sanitario si regga sulla fiscalità progressiva, senza alcuna apertura ad integrazioni o assicurazioni;
8.      devono essere eliminate dal servizio pubblico come elementi di corrosione della sua integrità ed efficienza tutte le forme di esercizio della libera professione intra o extra moenia che siano competitive e quindi negative per il suo funzionamento;
9.      gli utenti devono essere informati correttamente, ad esempio il dibattito sulle “code” va subordinato a quello sulla appropriatezza e sulla documentata efficacia degli interventi;
10.  va inoltre riconosciuto che il servizio sanitario nazionale è un sistema fondato sul decentramento territoriale per cui i responsabili devono essere conosciuti ed identificabili da parte dei cittadini, messi nella condizione di esercitare azioni di controllo e valutazione partecipate e condivise. Per questo il servizio sanitario nazionale deve andare incontro a una profonda revisione ma finalizzata a riportarlo alle origini ovvero ai principi costituzionali fondanti di cui agli articoli 3, 32, 41 della Costituzione, ripresi ed estesi dagli articoli 1 e 2 della legge di Riforma Sanitaria del 23 dicembre 1978;
11.  infine una tale opera di profonda revisione del sistema non può prescindere dalla rimessa in discussione del sistema universitario di ricerca e formazione. Solo operatori ai quali la formazione abbia insegnato quali sono i principi, i metodi e gli strumenti della partecipazione e delle condizioni nelle quali possono essere davvero prese decisioni condivise con il cittadino (prevenzione), con l’utente (programmazione, governo, gestione e valutazione-promozione di qualità), con il paziente (medicina centrata non sulla malattia ma sul paziente) potranno lavorare per una sanità pubblica più efficiente, più efficace, più giusta, equa e solidale.
 
Il Presidente di Medicina Democratica Movimento di Lotta per la Salute Onlus
 
Piergiorgio Duca
 
Milano, 20 luglio 2016
 
 

Da Il Sole 24 ore
IL QUOTIDIANO SANITA’ LE ASSICURAZIONI SI CANDIDANO A SOSTENERE IL SISTEMA SANITARI
05/07/16
LA PRESIDENTE ANIA: IL RUOLO CENTRALE VA ATTRIBUITO ALLE PRESTAZIONI PUBBLICHE E UN RUOLO COMPLEMENTARE AFFIDATO AGLI OPERATORI PRIVATI
“Aumentano i rischi di non disporre di risorse sufficienti per garantire un tenore di vita adeguato. Ad esempio, già oggi, secondo una recente ricerca del Censis, la spesa privata per la salute ha superato i 34 miliardi, quasi 1.400 euro a famiglia. Soprattutto undici milioni di italiani, due in più rispetto a tre anni fa, hanno dovuto rinviare o rinunciare alle cure. Senza un disegno complessivo di riforma del sistema sanitario che individui le priorità e le maggiori necessità, tali situazioni sono destinate a diventare sempre più comuni”.
Con queste premesse, elencate nella relazione che la presidente Maria Bianca Farina ha letto in occasione dell’Assemblea Ania 2016, il pianeta delle assicurazioni si candida ufficialmente a sostenere un SSN sempre più in affanno. Perché “come nel caso della previdenza, anche nel campo della sanità e dell’assistenza l’assicurazione può svolgere un ruolo determinante nel garantire la sostenibilità del sistema nel lungo termine. Negli ultimi 20 anni” - si legge ancora nella Relazione – “la spesa pubblica per la sanità è cresciuta a tassi superiori a quelli del PIL in tutti i Paesi OCSE. Negli stessi Paesi, l’incidenza media sul PIL della spesa pubblica per sanità e assistenza, oggi pari a circa il 6%, è prevista salire al 9% nel 2030 e al 14% nel 2060. L’Italia non fa eccezione a questi trend. Il peso della spesa sanitaria pubblica rispetto al PIL è grosso modo in linea con quello degli altri maggiori Paesi europei, ma è di tutta evidenza che una sua crescita significativa non sarebbe sostenibile. A maggior ragione perché già oggi alcune criticità caratterizzano il nostro sistema sanitario”.
Conseguenze tangibili di questa difficoltà sono il fenomeno delle liste di attesa (spiegano ancora i vertici dell’Associazione nazionale delle imprese assicuratrici) è il fatto che gran parte della spesa sanitaria privata è di tipo out-of-pocket, ossia sostenuta direttamente dai cittadini. Anche nell’area dell’assistenza agli anziani non autosufficienti (Long-Term Care) servono riforme per rendere più efficiente e sostenibile il sistema. “Oggi infatti” - ricordano – “il nostro welfare pubblico è strutturato per soddisfare più la fase acuta delle patologie che la riabilitazione e l’assistenza necessarie alla continuità terapeutica. Le trasformazioni sociali e demografiche in atto rendono indispensabile un nuovo sistema di health management più organizzato per le cure di lungo termine, che consenta alle persone, grazie all’innovazione tecnologica, di rimanere il più possibile presso la propria abitazione”.
“Sul terreno della sanità e dell’assistenza” - prosegue Farina – “siamo convinti della necessità di promuovere nel nostro Paese un framework analogo a quello della previdenza, con il ruolo centrale attribuito alle prestazioni pubbliche e un ruolo complementare affidato agli operatori privati, in linea con scelte già compiute in altri Paesi europei. Bisogna definire un sistema che integri operatori pubblici e privati, in un quadro unitario di regole a tutela degli assistiti, utilizzando lo strumento della compartecipazione alla spesa e quello della fiscalità per garantire equità e finalizzazione delle risorse a vantaggio della protezione delle famiglie. Siamo altresì convinti dell’importanza del ruolo che, per tali bisogni, può essere svolto dal welfare aziendale che, pertanto, deve essere incentivato nella contrattazione bilaterale”.
Non poteva mancare il riferimento al “risk”. “Nell’ambito della sanità” - ricorda infatti la presidente Farina – “va menzionato anche il tema della responsabilità civile delle strutture e degli operatori sanitari. L’aumento del numero delle denunce per malpractice medica ha riguardato, negli ultimi decenni, molti Paesi sviluppati. Anche in Italia si tratta di un fenomeno importante e complesso che coinvolge professionisti, strutture sanitarie, compagnie assicurative e cittadini. La sostenibilità del sistema richiede la ricerca di un equilibrio complessivo che tenga conto delle esigenze di tutti gli attori coinvolti. Il disegno di legge di riforma della r.c. medica, attualmente all’esame del Senato, va nella giusta direzione. Le misure riguardanti la prevenzione e la gestione del rischio, la
ridefinizione della responsabilità degli esercenti la professione sanitaria, nonché l’obbligo di assicurazione per le strutture sanitarie e i relativi operatori, mirano infatti a riequilibrare il sistema riducendo i costi e salvaguardando i diritti dei cittadini. Alcuni correttivi al testo attuale appaiono tuttavia necessari, ad esempio con riguardo all’azione diretta del danneggiato e al regime di
autoassicurazione per le strutture sanitarie”.

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