Renzi tra Keynes e la scuola di Chicago??  

    Poco prima delle dimissioni e del Referendum, Renzi era di fronte ad un bivio: o allentare la morsa della austerità europea o subire i duri colpi della regressione. Alcuni dati Istat, diffusi  furbescamente dopo il 4 Dicembre, fotografano un paese che non puo' essere compreso solo dai dati del Pil, un paese con crescenti disuguaglianze che impediscono anche la effettiva ripresa economica, oltre a a rappresentare un pericolo sociale che l'alleanza sui contratti  con i sindacati difficilmente potrà arginare.    In seno al Pd è forte la tesi di un governo, quello di Renzi, protagonista in Europa per avere contrastato alcune misure di austerità dei governi precedenti, a sinistra (si fa per dire) invece si ribadisce la continuità degli ultimi esecutivi dentro il percorso dettato dalla Bce (privatizzazioni, riduzione del costo del lavoro, delle pensioni, smantellamento del welfare e della Pubblica amministrazione)   Dove sta la verità?   Gli stati nazionali rischiano di soccombere di fronte a politiche di sola austerità (segnaliamo l'intervento europeista della mosca cocchiera Prodi, le cui uscite, non ultima quella sul referendum, rispondono a interessi economici e politici che hanno tutto da guadagnare nell'Europa di Maastricht), per alcuni bisogna evitare tagli alla spesa corrente e quindi sostenere in qualche misura la ripresa. Secondo altri, provenienti dalla scuola neoliberista, il rischio dell'allentamento delle misure di austerità porterebbe alla crescita del deficit e della spesa, debito dello Stato in cambio di una modesta ripresa dei consumi delle famiglie   I dati economici possono quindi essere letti con lenti diverse e giungere a risultati diamentralmente opposti soprattutto quando le ricette provengono tutte, a scanso di equivoci, dal fronte neo liberista. Dietro a Renzi c'era il capitale italiano ma anche la consapevolezza di una situazione sociale in Italia preoccupante che non trovava spazio negli slides governativi.   Non a caso Confindustria non si schiera nè con i liberisti da strapazzo nè con chi rivendica maggiore spesa sociale o\e statale, attenta a non eccedere tuttavia nelle misure di austerità, desiderosa solo di misure a sostegno delle imprese.   Di sicuro le indicazioni al nuovo Governo Gentiloni sono ben precise come proseguire con la spending review  nella pubblica amministrazione; anche se di mezzo punto in un solo anno, tra il 2014 e il 2015, è dimunuito il deficit della Pa, una misura che ha comportato la perdita di migliaia di posti di lavoro, di innumerevoli servizi ma che viene ritenuta insufficiente dall'UE,   Le stesse spese correnti dello Stato sono diminuite nonostante gli 80 euro di Renzi che ci siamo pagati con i tagli ai salari e al welfare, la stessa pressione fiscale sulle imprese è stata ridotta   E sul fronte lavorativo sono arrivati vouchers e Jobs act che portano alla riduzione delle tutele collettive ed individuali Le imprese hanno beneficiato di innumerevoli misure di riduzione delle tasse, dalla  abolizione dell’Irap-lavoro per 4 miliardi, al super-ammortamento \riduzione dell’Ires . Anche le famiglie hanno ricevuto una riduzione della pressione fiscale, stiamo parlando della Imu e Tasi ma tra le misure Confindustria annovera anche le detassazioni dei contratti di secondo livello che sono solo una merce di scambio favorevole per i padroni che inacassano deroghe ai contratti nazionali, incremento dei ritmi produttivi e degli orari   Il Governo Renzi non si è quindi mosso in un versante neoliberista da scuola di Chicago nè tanto meno in quello neo Keynesiano, è stato attento a non tirare troppo la corda con l'Europa, ha avallato le politiche di austerità ei dettami di Tritchet ma allo stesso tempo spinto per alleggerire alcune misure come gli era stato richiesto da Confindustria e dalle parti sociali   Per queste ragioni tra i principali sostenitori di Renzi e del Pd ci sono proprio i padroni

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