Lavoro o reddito di cittadinanza?


Di ritorno da uno dei suoi viaggi in Usa (uno senza reddito e che si vanta di esserlo potrebbe permettersi vacanze sulla neve e continui viaggi?) dove Renzi va a prendere le direttive, è arrivata l'ennesima bufala ossia la proposta di “lavoro di cittadinanza” al posto del piu' conosciuto “reddito di cittadinanza”. Non vorremmo trovarci di fronte a decine di migliaia di lavori socialmente utili senza contributi previdenziali, forse in anni lontani questa idea sarebbe stata già praticata al posto degli 80 euro in busta paga.

L'Italia è una repubblica fondata sul lavoro, specie quello precario, gratuito e malpagato e forse il segretario Pd , dopo la batosta del 4 Dicembre, prova di nuovo a rimescolare le carte accorgendosi che la tanto decantata ripresa economica non esiste e comunque è preferibile non turbare i sonni del capitale finanziario che di fronte al reddito di cittadinanza avrebbe non poche obiezioni.

Ma è forse il raggiungimento della piena occupazione l'obiettivo del Governo? La suggestione è di vendere come impieghi le collaborazioni, i lavori semi gratuiti, i voucher, parlare a sproposito della ripresa dei consumi che invece tarda ad arrivare e questa situazione avrà solo ripercussioni negative sulla stessa occupazione oltre che sui redditi, da tempo stagnanti, degli italiani.

Non siamo in presenza di una conversione del Pd sulla via Keynesiana alla pace sociale, anzi siamo certi che nel Pd in pochi abbiano letto il Vecchio Keynes per il quale l’economia di mercato non avrebbe mai conquistato la piena occupazione e non per le rigidità del lavoro ma per motivi assai piu' complessi come la mancanza di effettiva domanda di lavoro. I salari flessibili hanno portato solo precarietà e la concorrenza perfetta tra le imprese non esiste, invece dell'armonia virtuosa abbiamo crescenti conflitti inter capitalistici, il mercato dei beni non è in ripresa e le misure statali sono inadeguate perché rivolte solo a far pagare meno tasse alle imprese e non alla ripresa dei consumi.
(vi rimandiamo a un approfondimento sul rapporto tra domanda e offerta...https://keynesblog.com/2013/04/03/occupazione-keynes-contro-i-neoclassici-for-dummies/)

A noi francamente viene da pensare che si dica tutto e il contrario di tutto, ogni giorno ci si sveglia con l'idea di far muovere i burattini del teatrino politico e la leva puo' essere quella di dare in pasto ai media qualche dichiarazione nuova

Da anni ormai esiste un dibattito attorno al reddito di cittadinanza, basta cercare su internet per trovare una sterminata bibliografia alla quale non vogliamo aggiungere altro se non una piccola considerazione: tramontata la prospettiva della rivoluzione, anche le teorie economiche e sociali si sono ripiegate sul versante distributivo, su quello dei nuovi diritti, dalla svalorizzazione del lavoro e dal superamento della vecchia dicotomia lavoro manuale e lavoro intellettuale per molti nascono le condizioni per remunerare anche altre attività non specificamente lavorative, insomma nella ridefinizione dei tempi di vita\lavoro nascono i presupposti per il reddito di cittadinanza

C'è poi chi rivendica questo reddito come equità sociale, ritorno di una quota di ricchezza sottratta ai salari dal capitale e che a sua volta torna sotto forma di reddito.

In ogni caso il problema da affrontare è ben altro che continuare a polemizzare su reddito di cittadinanza e lavoro, bisogna andare dritti a capire quale siano ormai i concetti stessi di disoccupazione e di lavoro.

Bastano pochi giorni di lavoro all'anno per essere dichiarati occupati, le statistiche condotte con gli attuali e ricorrenti metodi non fotografano la situazione reale, in Italia i senza lavoro sono ormai sopra l'11% ma se aggiungiamo quanti stanno per terminare gli ammortizzatori sociali e chi ormai disilluso e senza prospettiva non cerca piu' uno stralcio di occupazione, si arriva sicuramente sopra il 20%.

Le statistiche degli occupati e dei disoccupati non sono quindi veritiere, nei fatti il numero dei non occupati sta aumentando vistosamente , eppure la ricchezza prodotta non torna che in minima parte al lavoro dipendente sotto forma di salario e welfare, prende piuttosto la strada della speculazione finanziaria.

Ma nell'universo del capitalismo finanziario crescono anche gli “occupati” non retribuiti, quanti , spesso senza volerlo, contribuiscono a costruire il mercato attraverso la loro partecipazione ai social network, la partecipazione ai sondaggi, fornendo dati che poi vengono studiati e rielaborati, un esercito di riserva ignaro di come venga utilizzato il suo tempo, che in altri contesti presta lavoro semigratuito o volontariato, tutti in ogni caso concorrono alla produzione di ricchezza e da qui scattuisce la rivendicazione del reddito di cittadinanza.

Meglio di noi hanno scritto altri (sulla rivista Effimera on line trovate materiale veramente interessante), ci preme ricordare che ancora oggi una riflessione sulle nuove forme di sfruttamento dovrebbe essere fatta di pari passo con l'analisi giuslavorista e con una visione complessiva del progresso tecnologico e del suo uso ai fini della accumulazione capitalistica, non possiamo perdere di vista cosa leghi tra loro le varie riforme del lavoro che hanno preso corpo nei paesi europei fin dal governo social democratico di inizio secolo in Germania da cui è partita quella cultura dei mezzi lavoro e delle tutele crescenti che in Italia ha dato vita al jobs act. Se in Belgio, Germania, Francia, Spagna ed Italia vengono approvati nell'arco di pochi anni leggi sul lavoro guidate dagli stessi principi guida vorrà dire che esiste una governance europea che sta ridisegnando anche la stessa nozione di lavoro e diritto.

La piena occupazione, per tornare alla domanda di prima, non esiste e se un governante ne parla vuol dire che nella sua testa c'è un ambizioso programma, ossia intensificare le forme di sfruttamento e far passare per lavoro cio' che lavoro non è.

La politica degli eventi meriterebbe del resto maggiore attenzione e studi interdisciplinari perché in un colpo solo spazia dall'urbanistica alle relazioni sociali fino al diritto del lavoro.

Ora si tratta di capire se vogliamo smontare questo programma reazionario o se invece preferiamo adeguare la nostra lettura della realtà a celebrare una conquista (quella del reddito) che poi è frutto di un compromesso sociale.

Non pensiamo che si possa apocalitticamente definire superata e archiviata la vecchia dicotomia tra lavoro e non lavoro, il reddito di cittadinanza diventa una sorta di nuovo compromesso socialdemocratico non piu' all'ombra dello stato, merce di scambio che definire riappropriazione di ricchezza negata ci pare fin troppo ardito.

Piuttosto il reddito puo' diventare la tacita ammissione che un rovesciamento in senso socialista della realtà non è all'orizzonte e al suo posto nascono teorie "in comune" per riprendersi una piccola parte delle ricchezze che da 30 anni vanno a solo beneficio del capitale, una piccola riappropriazione che fa cantare vittoria ma potrebbe presto dimostrarsi come supina accettazione di forme di sfruttamento sempre piu' intensivo del capitale.

Ovviamente per noi ben venga il reddito di cittadinanza ma non vorremmo trasformare il nuovo compromesso sociale in conquista rivoluzionaria condita con parole e concetti "cognitivi" oscuri ai più e a mo' di giustificazione teorica di quel cognitivo compromesso che un tempo avremmo definito con altre parole: riformista e social democratico.

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