Ucraina 2022: il nuovo scontro

I presupposti dello scontro: dalla bassa intensità all’invasione

Matteo Bortolon   redattore rivista La Fionda

La crisi ucraina del 2022 sta cambiando l'assetto del mondo. Essa può essere considerata una escalation che partendo da un limitato ambito locale – o meglio, regionale – si è allargata fino a rendere molto limitati gli spazi di neutralità, anche per paesi lontanissimi dalla zona di conflitto o che hanno poco a che vedere coi contendenti.

I presupposti sono rinvenibili del rivolgimento nel febbraio 2014 del governo in carica a Kiev, che ha rapidamente segnato il passaggio di tale paese dal campo di egemonia russa a quello euroatlantico con un nuovo esecutivo con la diretta partecipazione di estremisti neonazisti: il primo governo Yatsenyuk (27 febbraio-27 novembre 2014) vedeva la partecipazione di 3 ministri del partito Svoboda; il vice primo ministro Oleksandr Sych con delega alle politiche umanitarie (distintosi per il suo antiabortismo e per aver pubblicamente dichiarato che le donne dovrebbero assumere uno stile di vita modesto e contenuto per evitare di essere violentate...), il ministro della Difesa Ihor  Tenyukh, e il ministro per la Politiche Agrarie Ihor  Shvaika.

A ciò è seguita la presa della Crimea da parte della Federazione Russa e l'inizio di una guerra nelle regioni orientali del paese, il Donbass, russofone che sono diventate sempre più separatiste verso Kiev, con una guerra di bassa intensità che ha provocato migliaia di morti (le stime oscillano fra 13-15mila caduti militari e civili). Nella situazione si è visto ovviamente un ruolo della Russia, in Crimea e a sostegno del Donbass; ma dall'altra parte vi è stato un crescente appoggio occidentale al governo, infatti gli Usa scrivono apertamente sul  sito ufficiale del Pentagono:

Dal 2014 gli Stati Uniti si sono impegnati a fornire oltre 7,4 miliardi di dollari all'Ucraina, tanto in assistenza militare quanto non-militare. In aggiunta gli Stati Uniti hanno fornito garanzie di prestito per un totale di 3 miliardi. Il 15  marzo il presidente Biden ha firmato il provvedimento bipartisan Ukraine Supplemental Appropriations Act per fornire 13,6 miliardi aggiuntivi in aiuto militare, umanitario ed economico al paese.

Un importante contributo su quale sia l'interesse statunitense ad intervenire in maniera così incisiva nel contesto può essere desunto da una pubblicazione del 2019 dell'importantissimo pensatoio filogovernativo Rand Corporation. Tale ente ha avuto un'importanza fondamentale per lo sviluppo del pensiero strategico Usa nel corso della guerrra fredda: in essa l'applicazione della teoria dei giochi allo scacchiere mondiale ha partorito la dottrina della deterrenza nucleare per mutua distruzione assicurata (MAD), tanto da guadagnarsi una citazione nel famoso film di Kubrik Il dottor Stranamore come la “Bland Corporation”.

L'agile e schematico documento RAND del 2019 riassume un rapporto di 350 pagine, interamente dedicato alla Russia e su come operare sui suoi punti deboli. In esso si legge che

Imporre più forti sanzioni finanziarie e commerciali degraderebbe l'economia russa, specialmente se venissero accolte come multilaterali. […] Incrementare la possibilità da parte dell'Europea di importare gas da altri fornitori rispetto alla Russia potrebbe estenderla sul piano economico e smorzare la sua influenza coercitiva sull'Europa. […] Fornire aiuti letali all'Ucraina significherebbe sfruttare il maggior punto di vulnerabilità  della Russia. Ma ogni incremento nella assistenza militare US andrebbe attentamente calibrata per aumentare il costo della Russia di mantenere tale impegno, senza però provocare un più ampio conflitto in cui essa possa, per ragioni di prossimità, conseguire significativi vantaggi.

Colpisce il riferimento alle sanzioni come arma per colpire la Russia, che ne era già soggetta dal 2014. Il 2022 avrebbe visto un loro impiego in maniera massiva. Con conseguenze catastrofiche.


Dinamiche economiche: previsioni e stime

Il Fondo montario internazionale ad aprile 2022 ha divulgato il suo World Economic Outlook (WEO), un rapporto lungo e complesso a scadenza semestrale riguardante lo stato dell'economia mondiale e l'aggiornamento delle sue previsioni future.  

Si tratta di una delle pubblicazioni più importanti esistenti in materia economica e finanziaria; contiene un aggiornamento delle statistiche sui principali dati, una descrizione delle principali dinamiche, nonché le previsioni per un arco triennale.

L'impostazione è completamente interna al paradigma dominante, e per questo è una voce importante: se prevede guai per il capitalismo (che il Fondo continua implicitamente a considerare come il solo sistema possibile) significa che molto probabilmente stanno arrivando davvero.

Ad aprile scorso non solo è uscito il WEO ma un'altra pubblicazione molto importante: il Global Financial Stability Report, che il FMI dedica alla stabilità finanziaria.

I due rapporti non presentano un quadro rassicurante.

Quanto alle prospettive di crescita del PIL, tutte le previsioni vengono riviste al ribasso rispetto alle stime di gennaio scorso. Ma quello che preoccupa di più è il trend di ascesa di inflazione, in rialzo in tutto il mondo (nelle economie emergenti si prevede un +8,7%), per cui si suggerisce delle politiche più restrittive a carico delle banche centrali per contrastare il fenomeno (possibilmente concordate).

Il GFSR vede i rischi di aumentata volatilità sul piano finanziario e di crolli borsistici; il costo dell'indebitamento è cresciuto in linea generale, e ciò potrebbe portare alla necessità di ristrutturare il debito di alcuni paesi. Si cita anche il rischio di frammentazione del sistema internazionale dei pagamenti.

Tutto ciò non riguarda il futuro ma già il nostro presente. Ad inizio marzo, ad esempio, il Financial Times rendeva nota una lettera dalle European Federation of Energy Traders (una potente lobby che raggruppa tutti i maggiori produttori di energia da fonti non rinnovabili in Europa) in cui i suoi vertici invocavano assistenza finanziaria per il fatto che la volatilità dei prezzi stava mettendo in crisi gli operatori perché si richiedevano maggiori fondi da parte delle banche come copertura (un po' come se fosse obbligatoria un'assicurazione e fosse salito a dismisura il pagamento delle polizze).

Nemmeno più ottimistica si mostra la Banca mondiale, secondo cui la crisi alimentare ed energetica durerà fino al 2024, in virtù delle interruzioni degli scambi commerciali e della produzione causate dal conflitto in Ucraina e dalle sanzioni anti-russe. Si prevede che i prezzi dell'energia aumenteranno del 50% prima di rallentare nei prossimi anni, mentre i prezzi del grano saliranno di oltre il 40% e raggiungeranno i massimi storici già nel 2022.

La contemporanea caduta della ricchezza prodotta e l'innalzamento dei prezzi fa sì che si parli di stagflazione, un termine entrato nel lessico economico negli anni Settanta, in cui la crisi del petrolio portò ad una simile combinazione.

Naturalmente il pil non è il solo indicatore economico (tanto meno del benessere), tuttavia nel quadro delle relazioni sociali attuali una depressione significa disoccupazione, licenziamenti, caduta del reddito disponibile per le classi lavoratrici, che si trovano con minor potere di acquisto ad affrontare costi maggiori per le proprie necessità.

Due fattori vanno considerati, a tal proposito: primo, la struttura fortemente mercatista e liberista di questi mercati; secondo le sanzioni che agiscono come acceleratore incrementale della instabilità economica.

Sanzioni: la nuova forma di guerra

Lo sfondo di queste prospettive è una nuova guerra finanziaria, commerciale e monetaria. I problemi tanto di debolezza della crescita e di aumento dell'inflazione erano già presenti; va ricordato che la crisi economica dovuta al covid-19 non era stata affatto superata, anzi a fine 2019 si stava prefigurando un'altra recessione (come paventava l'Outlook del FMI ad ottobre 2019) e le scarse prestazioni globali non avevano ancora dimenticato la botta della Grande Recessione del 2007-08. Adesso la invasione dell'Ucraina ha portato all'aggravamento di varie sedimentazioni di problematiche, instabilità e probabilmente la crisi della globalizzazione sta arrivando ad un punto cui è difficile tornare indietro.

In merito alle sanzioni, anche senza inoltrarsi nei documenti della RAND la bellicosità delle relative dichiarazioni è di tenore tale da palesare il loro stato di armi non convenzionali. Il ministro degli Esteri britannico ha detto che Londra non si fermerà finché l'economia russa non sarà distrutta; il suo collega francese che la loro finalità è il cambio di Governo a Mosca.

La sanzione, giuridicamente parlando è una sorta di punizione irrogata per un comportamento scorretto e contrario alle norme. Nell'ambito internazionale si tratta di misure limitative verso un paese (le sue aziende, i suoi cittadini, i suoi capi) che ha commesso delle violazioni, che hanno uno scopo “correttivo”: una forma di pressione verso il vertice politico per spingerlo a cambiare orientamento. Le sanzioni mutlilaterali rivendicano una maggiore legittimità, perché dovrebbero essere decise in un ambito che rappresenta un gran numero di paesi, come l'Assemblea generale dell'ONU. Le sanzioni decise da un paese – o un gruppo di essi – decidendo in maniera autonoma sono più a simili a ritorsioni o strumenti di coercizione  derivanti dalla sproporzione di forza.

Il protezionismo commerciale iniziato da Obama è stato esasperato dalla presidenza Trump a forza di sanzioni, soprattutto nei confronti della Cina.

La serie di sanzioni verso la Federazione Russa decisa dal blocco euroatlantico costituisce un vero a proprio salto di qualità, e pare logico che tale colpo abbia definitivamente ucciso la globalizzazione come l'abbiamo conosciuta dal 1989. Ma prima di vedere questo aspetto è opportuno entrare nei loro aspetti concreti.

Le forme di esse più rilevanti riguardano il blocco di scambi commerciali, in merito a cui la sanzione principe è la esclusione dallo SWIFT, il sistema di messaggistica che consente  l'accesso ad un sistema di pagamenti condiviso. Una esclusione totale comporterebbe l'impossibilità di ogni interscambio commerciale o trasferimento finanziario.

Il blocco delle riserve russe – cioè il congelamento del denaro derivante dall'export energetico – è studiato invece per far crollare il rublo, dato che il valore delle monete non ha nessun ancoraggio fisso, ma viene determinato dal rapporto domanda-offerta. Ma il piano non ha funzionato particolarmente bene: dopo un crollo di marzo il cambio del rublo è ridecollato.

È fuori di dubbio che tali sanzioni, nella loro eccezionalità, danneggeranno molto l'economia russa; le previsioni vedono un calo vistoso del pil del paese (alcune previsioni arrivavano fino ad un -12%, un crollo inusitato che è stato poi ridimensionato da stime ulteriori) ma visto lo stretto legame di interdipendenza con altri paesi, provocheranno un ridimensionamento della ripresa, secondo le stime già citate delle organizzazioni internazionali.

Verso un nuovo ordine mondiale?

La globalizzazione è arrivata al capolinea? Per come l'abbiamo conosciuta, possiamo dire di sì.

Finora una crescente interdipendenza sembrava un orizzonte imprescindibile, l'esclusione dal quale di alcuni paesi come Cuba, l'Iran, Corea del Nord e simili poteva sembrare una eccezione temporanea destinata ad essere riassorbita. Un paese delle dimensioni della Russia è qualcosa di profondamente diverso. Un paese con un grado di interconnessione con le filiere globali (in primis le materie prime energetiche, ma anche vari metalli importanti, i cereali, i fertilizzanti) è difficile da isolare.

Il motivo risiede anche nel fatto che la globalizzazione lungi dall'essere esclusivamente un sistema di rapporti fra Stati, attori economici, aziende, ecc. si basava su dei sistemi istituzionali percepibili con un certo grado di neutralità ed equidistanza, con un assetto meramente funzionalistico. Se da essi si può escludere una potenza di livello mondiale significa che la loro affidabilità è molto dubbia, implicandovi un grado di discrezionalità molto ampio.

Dopo dopo l'applicazione delle misure sanzionatorie la risposta non si è fatta attendere. Non solo la Russia ha risposto con controsanzioni (addirittura con una lista di “paesi non amici”) ma si è visto una vasto fronte di non allineati alle direttive di Washington.

Lo stesso Fmi si è detto preoccupato che le sanzioni minacciano di erodere il dominio del dollaro.

Si registra un vasto insieme di paesi quali Cina, India, Messico, Siria, Turchia che non si sono schierati contro la Russia, fra cui anzi vanno avanzando delle forme di collaborazione per creare sistemi alternativi di pagamento e di forniture che aggirino il blocco euroccidentale. In generale il 60% dei partner commerciali di Mosca si è tenuto su una posizione di terzietà.

Un paese come l'India, alleato degli Usa ha tuttavia stretti legami militari con la Russia, ed ha iniziato a lavorare con la sua banca centrale su di un possibile schema di cambio diretto di valuta con Mosca; ha firmato un contratto per l'acquisto di petrolio scontato, e ha approntato un sistema sostitutivo di SWIFT.

La Cina ha approntato un suo autonomo sistema di pagamento, e sta lavorando per istituire una valuta internazionale coi paesi della Unione eurasiatica (comprendente i paesi asiatici sotto l'egemonia russa).

Dobbiamo domandarci se la guerra in Ucraina sia un acceleratore per il sorgere di un nuovo ordine mondiale più multipolare, costituito da zone di egemonia geoeconomica in competizione e come ciò si riverberà sul benessere delle classi lavoratrici. Se ciò si verificasse potrebbe generare nuove faglie conflittuali ma anche dare più respiro ad esperienze in collisione col capitalismo dominante. In tal modo la guerra di sanzioni dimostrerebbe la più straordinaria eterogenesi dei fini dai tempi dell'attacco Napoleonico alla Russia zarista.

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