Un altro carrozzone della scuola che taglia quei pochi fondi ai docenti

Un altro carrozzone della scuola che taglia quei pochi fondi ai docenti
 

Salvatore Cingari, 31.05.2022


Scuola Un italian squid game in cui i docenti, l’uno contro l’altro armati, si contendono
briciole premiali. In danno della qualità della loro vita e quindi della didattica
Il provvedimento che riforma per decreto il reclutamento, il monte ore e il regime di
progressione stipendiale per i docenti della scuola, senza motivo d’urgenza, costituisce un
ennesimo affronto alla loro dignità umana e professionale. Soprattutto per l’obbligo,
riservato agli immessi in ruolo, di frequentare un triennio di formazione permanente,
erogata da una scuola di alta formazione, centralizzata e non organizzata dalle scuole o sul
territorio. Non solo i docenti dovranno essere sottoposti a ripetute verifiche (nonostante
siano già titolati), ma esclusivamente il quaranta per cento di chi ha fatto domanda avrà
diritto ad una premialità che integra i pochi e miseri scatti ordinari.
Tutto ciò saltando a piè pari la contrattazione sugli aumenti stipendiali ancora in essere fra
governo e sindacati, per equipararli a quelli degli omologhi europei, per rilanciare lo status,
materiale e simbolico, di una professione che si direbbe organica al buon andamento
costituzionale del paese.
Il governo, senza avere prima risolto la vertenza sindacale (partendo peraltro da posizioni a
dir poco frugali), stabilisce un investimento alternativo di risorse, che andranno a meno
della metà dei facenti domanda e agli emolumenti più o meno dorati di tutti coloro (esperti,
docenti universitari, amministrativi e dirigenti) che animeranno la nuova scuola di Alta
formazione: questo sì un incontrollato carrozzone! E prendendo le risorse dalle più ricche
tasche di redditi e patrimoni privati? Dalle rendite finanziarie? Dagli extra-profitti?
Nossignore: abbassando la dotazione annuale della “carta” del docente (ad oggi già
lussuosa: 500 euro) e con tagli agli organici.
L’ennesima riforma a costo zero che ha però l’effetto di peggiorare la condizione dei
docenti. Già aggravati dai compiti burocratici imposti dalla crescente aziendalizzazione
delle istituzioni pubbliche, senza che ciò abbia corrisposto ad un aumento della loro
gratificazione economica, gli insegnanti si ritroveranno sottoposti ad una formazione
permanente non autogestita ma organizzata dall’alto e, soprattutto, agganciata
all’aumento reddituale in modo selettivo e gerarchizzante.
Un italian squid game in cui essi si ritroveranno a non avere tempo libero, per contendersi
l’uno contro l’altro armati, briciole premiali. Stimoli performativi che avranno come unico
esito il peggioramento della qualità della loro vita e quindi della didattica stessa, con una
sorta di pregiudizio che si autoavvera: i docenti sono fannulloni e incompetenti, perciò non
si investe sulla scuola, e così quest’ultima finisce davvero per produrre inadeguatezza.
Bianchi e Draghi non sono impazziti, perseguono le più radicali analisi neo-liberiste (altro
che il liberal-socialismo attribuito all’allievo di Federico Caffè!), secondo cui in Italia c’è un
problema di valorizzazione del capitale umano dovuto ad un mancato riconoscimento del
merito. Secondo questa visione c’è quindi bisogno di una scuola che punti maggiormente
sulla selezione, sulla concorrenza e su meccanismi di incentivazione.
Il fatto drammatico è che queste teorie aziendaliste, che finiscono per diventare l’alibi
ideologico per non investire sulla scuola e sull’intero corpo docente, si innestano su una
storia secolare in cui nel paese, dai tempi della legge Coppino, si evita di dare centralità
alla scuola e agli insegnanti, temendone il potenziale emancipativo e quindi minaccioso per
gli equilibri sociali. Il populismo di mercato che ha costituito la vera egemonia politica dagli
anni novanta in poi, fino al governo Draghi, nato anche per scongiurare quei pur
largamente inadeguati barlumi egualitari baluginati durante la prima fase della pandemia,
ha come sua correlata narrazione quella di un lavoro pubblico dequalificato e demotivato a
cui, quando possibile, sostituire l’economia privata o il suo modello. La scuola non fa
eccezione.
Sulla base di risultati dei test Invalsi, sulla cui arbitrarietà è fiorita tutta una letteratura
critica o di quelli Pisa per la scuola superiore, del tutto incuranti del suo impianto
differenziato e della divaricazione economico-sociale delle aree geografiche, si è costruita la
pseudo-verità secondo cui il livello della scuola italiana sarebbe insoddisfacente, quando in
realtà i tanti nostri giovani felicemente attivi in tutto il mondo nella ricerca e nelle
professioni dimostrano l’esatto contrario.
Come docente universitario ho svolto per otto anni le mansioni di Presidente di
commissione per gli esami di maturità. Ogni anno avevo con me almeno un docente con il
dottorato di ricerca e almeno un altro con pubblicazioni varie all’attivo. Ma più in generale
ho lavorato con colleghi di grande preparazione e sensibilità culturale, deontologicamente
votati al bene degli studenti e alla passione per la loro scuola, vissuta con spirito di
solidarietà e di cooperazione e non all’insegna della competizione in cui vorrebbero
precipitarla. Tutti loro meriterebbero (dato che piace il merito) stipendi europei e universale
riconoscimento e non di essere umiliati e offesi dalla riforma del Ministro Bianchi.

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