IL FALLIMENTO DELL'ACQUA PRIVATIZZATA
Dentro l’Italia
che brucia, dentro l’agricoltura sfiancata dalla siccità, nel disastro
ambientale del lago di Bracciano e del possibile razionamento dell’acqua a Roma
Capitale, spiace dover dire ancora una volta “i movimenti l’avevano detto”. Ma,
per quanto frustrante, è la pura verità.
Le dichiarazioni
dei politici ai telegiornali, le dissertazioni degli opinionisti nei talk show,
le roboanti tabelle degli amministratori delegati delle società privatizzate di
gestione dell’acqua si inseguono tra loro, compiendo una consapevole rimozione
su un nodo di fondo: l’acqua, bene comune naturale, essenziale alla
sopravvivenza delle persone, non può essere gestito, se non tenendo conto
dell’interesse generale e della conservazione del bene per le generazioni
future.
Siamo da tempo
immersi nella drammaticità di cambiamenti climatici in corso, le cui conseguenze
peseranno per decenni a venire, eppure periodicamente ci si stupisce del fatto
che le stagioni non siano più quelle di una volta e il binomio siccità/alluvioni
non sia più un evento straordinario, bensì una nuova normalità con cui dover
fare i conti e che solo con adeguata prevenzione può essere affrontata.
Con buona pace
degli “sviluppisti”, l’acqua è una risorsa limitata e la natura ha tempi di
rigenerazione che non possono essere accelerati: per questo, quando i nodi
vengono al pettine, non è possibile affidarne la soluzione al libero conflitto
degli interessi particolari e meno che mai agli interessi privatistici di chi
dell’acqua ha fatto il nuovo business su cui riprendere l’accumulazione
finanziaria.
Il fatto è che il
modello liberista ha modificato i concetti di spazio e tempo: allargando
esponenzialmente il primo, fino a voler fare del pianeta un unico grande
mercato, e riducendo esponenzialmente il secondo, fino a farlo coincidere con
gli indici di Borsa del giorno successivo.
Occorre aver
chiaro come su queste basi nessuna soluzione sia possibile.
L’acqua non può
essere gestita dal mercato e il mercato dev’essere escluso dall’acqua: questo
hanno detto oltre 27 milioni di cittadini nel referendum del giugno 2011 e la
mancata attuazione di quella decisione sovrana pesa come un macigno tanto sui
drammatici accadimenti di questi giorni, quanto sulla crisi della democrazia,
oggi segnata da una crescente disaffezione popolare.
In venti anni di
privatizzazioni della gestione dell’acqua, gli investimenti sono crollati ad un
terzo di quelli fatti dalle precedenti società municipalizzate, la qualità del
lavoro e dei servizi offerti é nettamente peggiorata e le tariffe sono aumentate
senza soluzione di continuità. In compenso, sono saliti esponenzialmente i
dividendi degli azionisti, cui tutti gli utili vengono destinati, anziché essere
reinvestiti nel miglioramento di infrastrutture a dir poco obsolete.
E’ possibile
invertire la rotta? Certo che sì, a patto che tornino al centro l’interesse
generale e il diritto al futuro per tutte e tutti.
Un intervento
pubblico sul dissesto idrogeologico dei nostri territori e un piano per il
riammodernamento delle reti idriche costerebbero complessivamente 15 miliardi e
produrrebbero 200.000 posti di lavoro pulito e socialmente utile. “Non ci sono i
soldi” ripete il mantra liberista, ma intanto sono 17 i miliardi messi a
disposizione per regalare Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca al colosso
IntesaSampaolo, che produrrà 4000 esuberi.
Da qualsiasi
punto la si voglia affrontare, è un problema di volontà politica: possiamo
continuare a tollerare che siano i vincoli finanziari dell’Unione Europea e la
trappola del debito a determinare le scelte politiche collettive o vogliamo
mettere finalmente il diritto alla vita, alla dignità e al futuro al primo
posto?
Nello specifico:
cosa aspetta il Parlamento a legiferare contro il consumo di suolo, per un
grande piano di intervento sul dissesto idrogeologico e di intervento sulle
infrastrutture idriche? Cosa aspetta per rendere operativa la volontà popolare
espressa nei referendum per l’acqua del giugno 2011, sottraendo la gestione
dell’acqua e dei beni comuni dalle leggi del mercato?
E ancora: quanto
tempo dovrà passare prima che la Sindaca di Roma avvii in forma partecipativa la
ripubblicizzazione del servizio idrico, togliendolo dagli interessi dei
Caltagirone e di Suez? O che la Regione Lazio approvi i decreti attuativi di una
legge d’iniziativa popolare approvata ormai tre anni or sono?
Questi sono i
fatti che possono determinare la necessaria inversione di rotta, il resto sono
lacrime di coccodrillo o l’ennesima attestazione di complicità con gli interessi
finanziari in gioco.
Marco Bersani
Attac Italia
Facebook: Attac Italia
Twitter: @attac_italia
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