Le nuove regole per la programmazione del fabbisogno di personale nelle Autonomie Locali. Riforma o ingerenze neocentraliste?




Per affrontare e comprendere le tematiche conseguenti alle modifiche recentemente introdotte nel D. Lgs. n. 165/2001, Testo unico del pubblico impiego, occorre partire da alcune considerazioni preliminari in ordine all’ attuale quadro costituzionale di riferimento, diverso rispetto a quello che era in vigore al momento dell' emanazione delle norme originarie.

Le recenti modifiche introdotte nel Decreto esprimono fortemente quel processo di involuzione in chiave neocentralista che è andato consolidandosi nell' ordinamento da oltre un decennio, e che ha compresso in maniera rilevante l' autonomia finanziaria degli Enti Locali, facendo prevalere gli interessi di coordinamento e controllo statale in materia di  finanza pubblica e di sistema tributario.

Tutto questo è gradualmente avvenuto in un quadro di competenze dei Comuni sostanzialmente esteso dalla fine degli anni novanta, per cui l' accentuazione delle forme di controllo ai fini del conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica attraverso l' introduzione dei vincoli del pareggio di bilancio in costituzione, ha di fatto determinato di riflesso un allargamento dell' ingerenza statale nelle scelte di autonomia organizzativa degli Enti stessi.

Queste considerazioni appaiano indispensabili al fine di inquadrare correttamente alcuni contenuti del D.Lgs. 25/05/2017 n. 75 ( cd. Riforma Madia), in rapporto ai principi generali intesi in termini di potere di organizzazione riconosciuto alle amministrazioni pubbliche, in ordine al quale esse” assumono ogni determinazione organizzativa al fine di assicurare” l’attuazione delle linee fondamentali di organizzazione degli uffici, attraverso l' individuazione degli uffici di maggiore rilevanza, e la determinazione delle dotazioni organiche complessive.

Verificare se tale potere di carattere organizzativo in materia di dotazioni organiche e articolazione degli uffici e dei servizi, sia ancora in essere realmente dopo la riforma, è pertanto utile alla luce delle modifiche introdotte all' art. 6 del D. Lgs. n. 165/2001, che interviene pesantemente su tali argomenti soprattutto per quanto attiene la determinazione del fabbisogno di personale.

Nelle more dell' emanazione, da parte del Dipartimento della Funzione Pubblica, delle linee di indirizzo attuative della programmazione dei fabbisogni, e che renderanno definitivamente applicabili le disposizioni del nuovo decreto, appare comunque già chiaro che non sarà più possibile procedere alla programmazione delle assunzioni prendendo a base la dotazione organica, determinando così un quadro di riferimento molto diverso rispetto al precedente.

Non bisogna infatti dimenticare che, almeno fino ad oggi, il presupposto per poter procedere alla programmazione dei fabbisogni del personale era la dotazione organica, e ferme restando le limitazioni alla copertura del turn-over imposte dalle leggi ( finanziarie, di stabilità o di bilancio comunque denominate), questa attività programmatica si riduceva alla copertura annuale di alcuni dei posti in essa vacanti.

E' innegabile che molte delle dotazioni organiche erano conseguenti a ruoli e metodologie di lavoro e operative spesso datate, o non perfettamente adeguate alle attribuzioni dell' Ente, per cui le dotazioni organiche presentavano numerose “scoperture” che divenivano il riferimento a cui adeguarsi per programmare le assunzioni. Fra l' altro questo se non altro produceva almeno di riflesso una “neutralizzazione” di fatto degli effetti della procedura disciplinata all' art. 33 del D.lgs 165/2001, per cui non si producevano situazioni di sovrannumero o di eccedenza di personale, e si evitava nella realtà l’ attivazione delle conseguenti procedure a partire da quelle di mobilità collettiva.

Orbene in materia di programmazione dei fabbisogni del personale le modifiche introdotte con la cosiddetta riforma generano un quadro completamente diverso, in quanto si dispone la interelazione e la coerenza del piano triennale dei fabbisogni di personale con:
-la pianificazione pluriennale delle attività ( attribuzioni e compiti) e della performance ( obiettivi strategici e valutazione);
-le linee di indirizzo emanate (articolo 6-ter D. Lgs. n. 165/2001)
-l'applicabilità delle norme in materia di eccedenze di personale;
-l'ottimale distribuzione delle risorse umane attraverso la coordinata attuazione dei processi di mobilità e di reclutamento del personale;
-la disponibilità delle risorse finanziarie.

Nei fatti il nuovo strumento di programmazione dovrà infatti contenere:
-la coerenza delle attività annuali e i relativi costi in termini economici, con le relative attribuzioni delle dotazioni di personale alle direzioni/strutture settoriali di massima dimensione dell’ Ente;

-le linee di indirizzo triennali attraverso le quali definire, all’ interno delle attribuzioni di compiti e funzioni dell’ ente locale, quelle che esso intende svolgere e gestire direttamente con personale proprio, ovvero quelle per cui limitarsi a meri compiti di indirizzo e controllo, differenziando ulteriormente, per far fronte a tale esigenza, i rapporti di lavoro a tempo indeterminato da quelli a termine o flessibili in relazione alle necessità derivanti dalla continuità temporale delle prestazioni;

-i criteri attraverso i quali i contenuti di tale piano entreranno a far parte del ciclo della performance, andando a costituire obiettivi per la valutazione collettiva a livello di ente o di settore/gruppo con le evidenti conseguenze sul piano salariale;

-l’ annuale verifica delle eventuali eccedenze di personale, però non più svolte su dotazioni organiche “storicizzate di fatto”, ma bensì dimostrando annualmente il fabbisogno per numero e profilo professionale, in rapporto alle limitazioni di spesa;

-la verifica e adeguamento numerico delle dotazioni, non più preventivamente in relazione alle necessità numeriche e per contenuti professionali, ma alla luce delle progressive limitazioni disposte dalla legge di bilancio circa le risorse finanziarie destinate alle assunzioni a copertura del turn-over.

A tutto ciò conseguono una serie di rischi, che riconduciamo ad un intento politico centralistico già usato in primis per scaricare nell’ immediato e progressivamente gli effetti del pareggio di bilancio e del fiscal compact ( in termini macroecomici) sugli Enti Locali, ma subito dopo come immediata correlazione sui costi dei servizi da essi erogati e di fatto sul personale dagli stessi impiegato per numero ( dotazione organica) e qualità ( profilo professionale).

Con la riforma infatti si invertono radicalmente metodi e ruoli, in quanto annualmente da parte delle pubbliche amministrazioni, occorre dimostrare:
- il personale che si ritiene necessario per quantità numerica per lo svolgimento delle attività. Condizione peraltro non semplice, per le evidenti incognite e difficoltà che emergeranno nella quantificazione nel caso di prestazioni e servizi rivolte alla persona, che sono difficilmente individuabili in quanto non legate ad adempimenti e tempi procedurali;

-le scelte, improntate a presunti diversi bisogni organizzativi, che possono portare a definire fabbisogni diversi per profilo professionale e categorie di inquadramento, a cui possono conseguire forme di lavoro precario a termine e nelle ipotesi peggiori dichiarazioni di eccedenze di personale;

Alla luce di quanto espresso risulta evidente come il governo centrale stia optando per una strategia “soft” rivolta al superamento apparente dei “tetti”, ovvero di quei limiti che avevano caratterizzato la prima fase delle politiche di “austerità” volute dall’ Europa e imposte ai comuni a partire dai patti di stabilità. Si tratta  infatti di allentamenti spesso solo formali dei vincoli imposti, e usati quale strumento per illudere gli Enti Locali circa una presunta loro riacquisizione di un autonomia politica gestionale in termini di servizi per le comunità. Infatti, per ciò che riguarda i cosidetti “tetti” occorre realmente evidenziare:
-se essi erano riconducibili allla limitazione del “turn over” in termini numerici o percentuali rispetto alle cessazioni  - sono oggi superati e non più necessari, visto che divengono preminenti e più efficaci le rigidità circa le limitazioni alla spesa;

-se erano  riferibili al salario “accessorio”- non risulta più necessario legarli alle cessazioni intercorse in corso d’ anno, che avevano effetto sui fondi per la contrattazione decentrata,  in quanto la limitazione è rappresentata dalla spesa sostenuta nel 2016 a tale titolo. Gli effetti correlati potrebbe essere addirittura più pericolosi, alimentando una competizione interna al personale, tendente a far passare, in cambio di una immodificabilità del fondo salario accessorio negli anni, una cultura rivolta a diminuire il numero degli addetti impiegati negli enti (definita dal legislatore, circa i fabbisogni di personale,  come la “neutralità finanziaria della rimodulazione”);

-se erano legati ai “profili professionali” – si vuol rendere corresponsabile il personale di un operazione rivolta a negare le differenze in termini di “contenuti professionali” della prestazione resa. Il fine di tutto questo, subdolo e sottinteso, è quello di abbattere i costi del lavoro mediante un sistematico appiattimento e abbassamento dei tabellari salariali fissi di categoria e fra categorie, nonche per posizioni economiche, sopratutto in una logica e con effetti di lungo periodo.

Nell' attesa degli atti di indirizzo della Funzione Pubblica che potranno al limite solo intervenire in ordine ai contenuti procedurali, resta evidente che con questa ennesima “controriforma” si è aggiunto un altro tassello ad un disegno volto a creare le condizioni per aumentare le incertezze occupazionali e professionali di lavoratrici e lavoratori pubblici, che gli atti di programmazione dei fabbisogni futuri terranno, purtroppo, sempre più in considerazione alla stregua di semplici elementi di costo.

Commenti