Una porta aperta: punto di incontro e di accoglienza laico
Intervista a Danilo Minisini
Una porta aperta: punto di incontro e di accoglienza
laico
di LAURA TUSSI
Un'associazione dove accogliere in modo amichevole e promuovere relazioni personali e di gruppo positive in un contesto di volontariato laico
“Una porta aperta” è un punto di incontro e di
accoglienza laico aperto alle persone in situazione di disagio e di esclusione
sociale. Come nasce questa esperienza?
Nella città di Rivoli sono presenti molte associazioni di volontariato. Per
quanto riguarda il sostegno a persone in difficoltà le parrocchie, attraverso
le Caritas e il Centro di ascolto, tra le altre, svolgono un ruolo importante
di aiuto per le famiglie più fragili. Nell’inverno del 2015, grazie alla
collaborazione tra istituzioni comunali, associazioni e persone singole è stato
aperto un dormitorio che ha dato, per alcuni mesi, ospitalità notturna a una
decina di persone. Persone fragili, quasi tutte senza lavoro, con situazioni
familiari pesanti e spesso con alle spalle situazioni di dipendenza. Si sono
create delle relazioni con queste persone che sono proseguite, in maniera più o
meno continuativa, negli anni successivi. Nei nostri limiti di disponibilità
abbiamo seguito alcuni di loro nei percorsi di vita che sembrano normali per
noi ma che rappresentano spesso, per chi vive in maniera precaria, grandi
fatiche. Pratiche burocratiche, accesso ai dormitori e alle cure sanitarie e
così via. Forti del sostegno dell’Associazione Opportunanda di Torino, e
facendo riferimento alla loro esperienza, abbiamo deciso di creare,
nell’autunno del 2016, un’associazione che si occupasse principalmente di
queste persone. Il primo obiettivo era aprire un centro diurno che ospitasse,
tutte le mattine, chi passava la notte in strada o nei dormitori. Offrendo la
colazione e una parola amica.
I volontari che fanno parte dell’associazione, una quindicina, arrivano da
esperienze diverse, quasi tutte legate alla solidarietà sociale. La scelta
della laicità dell’associazione è stata unanime, pur nella diversità delle
provenienze. Tutti abbiamo sottolineato come questa scelta qualificante fosse
importante e rappresentasse un valore fondamentale di inclusione.
Accogliere in modo amichevole e promuovere relazioni
personali e di gruppo positive: parlaci del tuo ruolo nel punto di incontro
“Una porta aperta”.
All’interno dell’Associazione svolgiamo diverse attività. Quella nata per
prima è, come detto, l’apertura del centro diurno. Ogni mattina due o tre
volontari accolgono le persone che ci avvicinano. Quasi sempre non si tratta
solamente di offrire un caffè, ma, più importante, è ascoltare esperienze di
vita, racconti di relazioni familiari interrotte, percorsi di vita accidentati
e faticosi. Ascoltare senza la pretesa di dare risposte. Un ascolto che
raramente i nostri ospiti trovano in altre realtà, anche perché, come
sottolineato nel nostro statuto, è un ascolto senza pregiudizio e senza
giudizio. Personalmente il mio turno è il mercoledì mattina. Un lavoro a volte
faticoso anche perché può capitare che tra gli ospiti ci sono situazioni di
conflitto e di pregiudizio. A volte pare che proprio tra le persone più fragili
non ci sia quella solidarietà che ci si aspetterebbe.
In seguito abbiamo intrapreso altre attività: accompagnamento ai servizi
del territorio, gestione di due convivenze finanziate dalle istituzioni ma
gestite da noi, sostegno anche economico per sopperire alle necessità più
urgenti degli ospiti. Oltre a questo la gestione di tutta la parte burocratica
dell’associazione: in particolare sono il cosiddetto tesoriere che si occupa
della gestione economica.
Questa realtà a Rivoli vuole sostenere chi prova a
superare il disagio e la sofferenza. È un punto d’incontro paragonabile alla
comunità di Don Gallo a Genova?
Il nostro è un punto d’incontro di una piccola realtà, che vuole rimanere
tale. Agisce su un territorio limitato e per un numero limitato di persone.
Siamo consci dei nostri limiti e in particolare un limite importante è legato
all’età media, alta, dei volontari.
Due particolarità ci paiono particolarmente interessanti e qualificanti.
Nella nostra associazione non esiste la figura del/la leader carismatico/a:
tutti, indipendentemente dalle esperienze personali, ha uguale “voce in
capitolo”. Inoltre ci incontriamo tutti i martedì per discutere, oltre alle
questioni pratiche legate alla vita quotidiana dell’associazione, anche le
situazioni personali degli ospiti che ciascun volontario conosce in maniera più
approfondita nell’ambito dell’attività settimanale. Tutti, quindi, abbiamo
presente, almeno a grandi linee i problemi e i tentativi di soluzione di
ciascun ospite. Un lavoro faticoso, questo, ma che ci sembra originale e
particolarmente utile.
Quante altre realtà laiche come “Una porta aperta”
operano nel nostro paese e quali similitudini hanno tra loro?
Siamo una realtà giovane e quindi non conosciamo a fondo le realtà simili
alle nostre sul territorio nazionale. La nostra esperienza, come detto, fa
riferimento, nelle linee di lavoro essenziali, alla realtà di Opportunanda,
un’associazione storica di Torino, nata più di vent’anni fa, una realtà laica,
che ha un campo di azione più vasto del nostro ma che lavora con la stessa
nostra ottica. E’ un’associazione che ha anche alcuni dipendenti e che, oltre
al centro diurno, gestisce alcune convivenze e si occupa anche di tematiche
legate alla ricerca di lavoro e, come noi, ritiene essenziale il rapporto con
tutte le realtà del territorio che si occupano di marginalità sociale.
Ci confrontiamo con una certa regolarità e quattro nostri volontari
preparano una cena che mensilmente viene offerta agli ospiti di Opportunanda.
Con quale spirito e forza di volontà affronti questa
difficile realtà quotidiana di impegno sociale? E come hai maturato questa
scelta laica di volontariato?
E’ un impegno particolarmente impegnativo, sia a livello fisico che
psicologico. Una realtà nuova per me, che mi sono sempre impegnato nel campo
del volontariato nel movimento per la pace (esiste a Rivoli l’Associazione per
la pace), nel movimento notav che non è solo una lotta contro un treno ma anche
un impegno per muoverci verso un modello di vita più attento ai bisogni
fondamentali delle persone e meno consumista e soprattutto, come insegnante in
pensione, al sostegno di ragazze e ragazzi, la maggioranza migranti, nel lavoro
scolastico. Sono volontario dell’associazione ASAI che, tra le altre attività,
segue allieve e allievi con un doposcuola.
Una caratteristica che sento particolarmente è che spesso, non sempre per
fortuna, ho la sensazione di svolgere un lavoro che non dà i risultati che mi
aspetto. Le persone che incontriamo spesso sembrano non riuscire a far fronte,
nonostante la nostra vicinanza, alle difficoltà che hanno segnato la loro vita.
Un passo avanti e un passo indietro, molto spesso. A volte mi prende un senso
di frustrazione, di inadeguatezza, se non di inutilità.
Forse perché, nelle altre esperienze di volontariato, qualche risultato
l’abbiamo intravisto. E’ come se avessimo bisogno, almeno a me capita, di
verificare subito l’efficacia del nostro lavoro. Mi sembra di essere poco
allenato all’attesa, alla semina, al fatto che spesso occorrono tempi lunghi
per i cambiamenti, al fatto che non sono adeguatamente preparato a gestire gli
insuccessi. Condividendo all’interno dell’associazione anche queste nostre
difficoltà quotidiane come volontari, il confronto ci consente trovare energia
e stimoli per continuare con serenità e spesso con gioia il nostro lavoro.
Note: Intervista a Danilo Minisini: insegnante in
pensione, è stato ed è impegnato in movimenti e gruppi di base come comitati di
quartiere, comunità di base, movimento per la pace e presidente della
Cooperativa Tempi di fraternità, che pubblica l’omonima rivista mensile
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