Decreto sicurezza: quali conseguenze?

Casa per la Pace, Giuristi Democratici, Pastorale Sociale e del Lavoro,
Caritas, Migrantes Vicenza

Relazione sull’incontro “Decreto Sicurezza, quali conseguenze?” Svoltosi
il 18 dicembre 2018 - Giornata mondiale ONU delle Migrazioni- a Vicenza
nel Palazzo Opere Sociali, Piazza Duomo 2.

Indice

A. Introduzione a.1. Alcuni commenti a.2. Giornata Mondiale ONU delle
Migrazioni a.3. Organizzazione e Adesioni ufficiali pervenute a.4. Da
“Il Giornale di Vicenza” (19 dic. 2018)

B. Su cosa abbiamo riflettuto. Il Decreto Sicurezza spiegato in 10 punti
(Da: “Avvenire”, 7 nov. 2018)

C. Che Italia configura questo Decreto? c.1. Alcune tra le osservazioni
generali emerse dai vari interventi

D. Analisi di alcune criticità particolari d.1. Il Decreto abroga il
permesso di soggiorno per motivi umanitari d.2. Rende più penoso e
tormentato il trattamento degli stranieri d.3. Tagli ai servizi
educativi, formativi, sanitari e di integrazione d.4. Drastico
ridimensionamento di un modello innovativo: il Programma SPRAR d.5. Sul
tema della cittadinanza d.6. In fatto di salute pubblica

E. Non basta opporsi. Resilienza e prospettive di lavoro in Rete durante
il 2019 e.1. Porre l’accento sulla cultura che permea questo nostro
momento storico e.2. Essere autocritici e resilienti e.3. Una
“narrazione” più corretta. Con chi dialogare? e.4. Continuare con le
Buone Pratiche e, durante il 2019, consolidare la Rete informandoci
reciprocamente sulle rispettive iniziative locali.

* * *
A. Introduzione.
Contesto e dati
a.1 Alcuni commenti
“Il commento più condiviso tra il numeroso pubblico di operatori ed
educatori della Città e della provincia, presenti nel Salone d’Onore del
Palazzo delle Opere Sociali a Vicenza, è stato: “Si sentiva il bisogno
di un Incontro come questo”. E poi: “Un Incontro realmente formativo. Ne
seguiranno altri”. “Per cominciare a decifrare insieme e meglio che
Italia configura questo Decreto non solo per i migranti, ma anche per
tutti noi”. “Per considerare criticamente e autocriticamente il periodo
passato e, considerando il nuovo contesto antropologico profondamente
cambiato, vedere come andare avanti in RETE nel 2019 ”. “Per dire che,
come persone e come associazioni, non ci riconosciamo nel ritratto del
CENSIS che dipinge l’Italia come un paese triste, isolato e incattivito,
con punte di razzismo, di spavaldo cinismo e di feroce indifferenza
rispetto alle cause delle migrazioni, alla violazione dei Diritti Umani
nei paesi di transito, alla tratta di esseri umani, alla vulnerabilità
dei più deboli nel Mediterraneo”. “Per testimoniare che ci riconosciamo
nei principi della Costituzione, nella Legge del Mare, nella
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, in un’Europa rinnovata e dei
popoli, nella dignità di ogni persona come soggetto di pari
diritti/doveri ”. “Crediamo si debba costruire un patto globale (Global
Compact, firmato da 164 paesi del mondo e non ancora discusso e
approvato dal nostro Parlamento) per una migrazione sicura, ordinata e
regolare nei paesi d’arrivo come l’Italia, che non può essere lasciata
sola nel panorama europeo ”. “Per quanto ci riguarda come
associazionismo di volontariato No Profit, continueremo nel 2019, con
resilienza, ad operare localmente nella solidarietà delle Buone Pratiche
portate avanti con trasparenza e con competenze professionali specifiche”.

a.2. Giornata Mondiale ONU
L’Incontro sul Decreto Sicurezza è stato fissato il 18 dicembre,
giornata mondiale ONU delle Migrazioni. Nel 1972 un camion, che avrebbe
dovuto trasportare macchine da cucire, ha un incidente sotto il tunnel
del Monte Bianco. Nell’incidente perdono la vita 28 lavoratori originari
del Mali. Nascosti nel camion, viaggiavano da molti giorni verso la
Francia alla ricerca di un lavoro e di migliori condizioni di vita. La
notizia della tragedia spinge le Nazioni Unite ad affrontare il problema
dei lavoratori migranti, arrivando ad approvare (risoluzione 45/158 del
18 dicembre 1990) la Convenzione internazionale sulla protezione dei
diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie.
La Convenzione, riconoscendo la specifica situazione di vulnerabilità
dei lavoratori migranti, promuove per loro condizioni di lavoro e di
vita dignitose e legittime; impegna i Paesi aderenti a elaborare, in
materia di migrazione, politiche nazionali basate sul rispetto dei
diritti umani; propone importanti disposizioni per combattere gli abusi
e lo sfruttamento dei lavoratori migranti e dei loro familiari. Ma la
convenzione è ad oggi una delle meno ratificate. Nel 1997 numerose
organizzazioni di Paesi asiatici, di forte migrazione, iniziano a
promuovere la data del 18 dicembre come Giornata Internazionale di
Solidarietà con i Migranti. Questa campagna ha portato l’ONU a
proclamare ufficialmente nel 2000 la Giornata Internazionale per i
diritti dei migranti. La Convenzione è entrata in vigore internazionale
il 1° luglio 2003 con il minimo di ratifiche necessarie. Al primo
gennaio 2018 è stata ratificata da 52 Paesi. L’Italia non l’ha ancora
ratificata.

a.3. Organizzazione, partecipazione e adesioni ufficiali pervenute
L’Incontro sul Decreto Sicurezza è stato preceduto da una fiaccolata e
flash mob in contrà Garibaldi dove è stata letta la Dichiarazione ONU
dei Diritti Umani nel 70° anniversario della sua promulgazione.
All’evento svoltosi in Piazza Duomo 2, nel Salone d’Onore del Palazzo
delle Opere Sociali, e organizzato da Casa per la Pace, Caritas,
Giuristi Democratici, Pastorale Sociale e del Lavoro, Migrantes Vicenza,
hanno partecipato o inviato la loro adesione ufficiale rappresentanti
delle seguenti associazioni:
Centro Scalabrini (Bassano del Grappa), Voce dei Berici, Alternativa
Nord/Sud per il XXI secolo (ANS XXI Onlus), Ass. Un mondo di gioia,
Centro Astalli, Unione Immigrati. Cooperativa sociale Pari Passo,
Movimento Ecclesiale Impegno Culturale Vicenza (M.e.i.c.), Rete Progetto
Pace Vicenza, Ass. Salute Solidale. Giovani Ferrovieri, Pax Christi,
Coop. Cosmo, Ass. Non dalla Guerra, Incursioni di Pace, Mpp Focolari
Vicenza, Welcome Refugees Vicenza, U.P. Monteviale. Gruppo Europa
Immigrazione Alte Montecchio Maggiore, ass. Mediterraneo-Vicenza, Vita
nel territorio, Ass. Anziani e famiglie al Centro-Proti 1412, Coalizione
Civica. Gruppo Scout Vi11, Centro Aiuto alla vita, Cooperativa Altre
Strade, ass. Libera, Centro culturale San Paolo, Ass. Comunità Papa
Giovanni XXIII, ANPI. Missio Vicenza, Uff. Matrimonio e Famiglia, S.
Vincenzo De Paoli Direzione Vicenza, Sindacati CGIL-CISL-UIL, Coop.
Entropia, Azione Cattolica, ASC Vicenza. Centri pastorali per immigrati
di Arzignano, Valdagno, Vicenza, Schio, San Bonifacio, Creazzo, Bassano
del Grappa, Chiampo. Progetto sulla soglia, Insieme per Sarajevo Onlus,
IPAB per minori Vicenza, Forum per la Pace, VICAP, DAIP, Istit.
Comprensivo 6 Vicenza. Pax Christi Vicenza, ass. Ti accompagno, ANOLF
Vicenza, Ass. Karibu, MIR. IFOR, Siamo Vi, Movimento nonviolento,
Coordinamento dei Comitati, Saalam ragazzi dell'ulivo, Casa a Colori
(Bassano del Grappa), ARCI Servizio Civile Vicenza.
Ognuno degli operatori ed educatori della Città e della provincia,
presenti all’Incontro, assume il compito di riportarne i contenuti e i
messaggi, di approfondirli con i componenti delle rispettive Comunità e
gruppi operativi, e di consolidare la Rete informando tutti sulle
rispettive iniziative durante il 2019.
Per quanti non hanno potuto essere fisicamente presenti, questa
Relazione mira senza alcuna pretesa esaustiva a sintetizzare alcuni tra
i punti sottolineati specificatamente dai tre relatori:

(a) aspetti giuridici-costituzionali: avv. Mario Faggionato (Giuristi
Democratici);
(b) aspetti amministrativi dei Comuni vicentini collegati al Sistema
Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati- SPRAR: Franco Balzi
(Sindaco di Santorso);
aspetti di solidarietà: don Enrico Pajarin(Caritas).
Dai successivi interventi la presente Relazione trae spunti riguardanti:
(d) la linea della Chiesa e di Papa Francesco in materia di
immigrazione, illustrata dall’arcivescovo mons. Agostino Marchetto,
Segretario emerito del Pontificio Consiglio dei Migranti e Itineranti;
(e) le preoccupazioni del mondo lavorativo sindacale, presentate da
Gabriele Brunetti (CISL);
(d) le gravi conseguenze sul piano dei diritti alla salute pubblica,
illustrate da Fulvio Rebesani (Salute Solidale Onlus); (e) la necessità
della resilienza e la rivendicazione delle Buone Pratiche portate avanti
con correttezza e sacrificio dalle varie forme di volontariato No
Profit, associazioni, cooperative, parrocchie, istituti religiosi e
singole famiglie nel vicentino (Luciano Carpo, Uff. Migrantes);
(f) l’esperienza di una delle cooperative (Cosimo Guasina, Coop. Altre
Strade);
(g) il servizio altamente specializzato dei Gesuiti per Rifugiati
nell’ambito nazionale e vicentino del Centro Astalli, in particolare a
Isola Vic., Camisano Vic., Recoaro e Vicenza (Giovanni Tagliaro);
(h) la necessità di una corretta “narrazione” del fenomeno migratorio
(Marco Cantarelli, ANS XXI Onlus). Inoltre incorpora materiale tratto
dalle schede, note bibliografiche e servizi giornalistici (in
particolare, Avvenire, Mosaico di Pace-Pax Christi-Pax in Rete, ASGI)
inseriti nella cartella messa a disposizione dei partecipanti.
Considerando che tutti i molteplici apporti hanno sottolineato aspetti
tra loro strettamente complementari, si è preferito redigere questa
Relazione come un unico discorso omogeneo perché tale è stato
l’approccio, l’atteggiamento e il messaggio operativo per il 2019 da
parte dei partecipanti, e per ogni singolo dettaglio si rimanda
all’approfondimento personale.

a.4. Da: Il Giornale di Vicenza Il giorno seguente, il Giornale di
Vicenza ha iniziato il suo commento all’Incontro con queste parole: “La
voce che si alza dal palazzo delle Opere Sociali lascia poco spazio ai
dubbi. Il decreto Salvini è sbagliato e, per questo, va a “processo”. Al
netto delle argomentazioni – che non richiamano principi evangelici ma
sociali, tecnici e giuridici – rimane il dato politico. Ossia una netta
contrarietà al provvedimento” (Cfr. GdVI, 19 dic. 2018. Vedi allegato).
* * *

B. Su cosa abbiamo riflettuto.
Il Decreto Sicurezza spiegato in 10 punti (Da. Avvenire, mercoledì 7
novembre 2018) Confermate la cancellazione della protezione umanitaria
in caso di condanna di primo grado e la revoca della cittadinanza per
terrorismo. Cambia il modello di accoglienza. 1. Via la protezione
umanitaria Viene cancellato il permesso di soggiorno per motivi
umanitari che aveva durata due anni. Al suo posto vengono introdotti i
permessi per "protezione speciale" (un anno), per "calamità naturale nel
Paese d’origine" (sei mesi), per "condizione di salute gravi" (un anno)
"per atti di particolare valore civile" e "per casi speciali" (es.
vittime di violenza grave, sfruttamento lavorativo, ecc.). 2. I centri
di permanenza La durata massima del trattenimento degli stranieri nei
CPR (Centri di permanenza per il Rimpatrio) viene allungata (articolo 2)
dagli attuali 90 a 180 giorni, periodo ritenuto necessario
all’accertamento dell’identità e della nazionalità del migrante. 3.
Revocato l’asilo con condanna definitiva Il diniego della protezione
internazionale scatta nel caso di condanna definitiva (articolo 7) anche
per i reati di violenza sessuale, spaccio di droga, rapina ed
estorsione. Tra i reati di "particolare allarme sociale" sono inclusi la
mutilazione dei genitali femminili, la resistenza a pubblico ufficiale,
le lesioni personali gravi, le lesioni gravi a pubblico ufficiale in
servizio di ordine pubblico, il furto aggravato dal porto di armi o
narcotici. 4. Revoca della protezione per chi rientra nel Paese
d’origine Il decreto (articolo 8) dispone la revoca della protezione
umanitaria ai profughi che rientrano senza "gravi e comprovati motivi"
nel paese di origine, una volta presentata richiesta di asilo. 5. Meno
SPRAR e più CAS L’articolo 12 ridisegna lo SPRAR, il Sistema di
Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (gestito con i Comuni): vi
avranno accesso solo i titolari di protezione internazionale e i minori
stranieri non accompagnati. 6. Esame domande più celeri Per accelerare
l’esame delle domande di protezione internazionale, il questore dà
comunicazione alla Commissione competente nel caso in cui il richiedente
sia indagato o sia stato condannato, anche con sentenza non definitiva,
per uno dei reati riconosciuti di particolare gravità. L’eventuale
ricorso non sospende l’efficacia del diniego. 7. Revoca della
cittadinanza italiana e tempi raddoppiati La revoca della cittadinanza
italiana (articolo 14) scatta anche per i colpevoli di reati con
finalità di terrorismo o eversione dell’ordinamento costituzionale.
Tempi raddoppiati (4 anni) per la concessione della cittadinanza per
matrimonio e per residenza. 8. Daspo per terrorismo Gli articoli 20 e 21
disciplinano l’applicazione del cosiddetto "Daspo" (Divieto di accedere
alle manifestazioni sportive) che viene esteso anche agli indiziati per
reati di terrorismo, anche internazionale, e di altri reati contro lo
Stato e l’ordine pubblico e sarà applicabile anche in aree destinate
allo svolgimento di fiere, mercati e pubblici spettacoli, oltre che
negli ospedali e nei presidi sanitari. 9. Reato di blocco stradale e
occupazione edifici Viene reintrodotto il reato di blocco stradale
(compresa anche l’ostruzione o l’ingombro dei binari), oggi sanzionato
come illecito amministrativo, mentre "l’invasione di terreni o edifici"
viene punita con la reclusione fino a 2 anni, raddoppiati a 4 se
commessa da cinque o più persone. 10. Vendita a privati dei beni
confiscati alla mafia Vengono incrementate (di 5 milioni di euro) le
risorse per le Commissioni incaricate di gestire gli enti sciolti per
mafia (articolo 29) e viene rivista l’organizzazione dell’Agenzia
nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità
organizzata (articolo 37), che potrà avere fino a quattro sedi
secondarie. L’articolo 37 invece liberalizza la vendita dei beni
sequestrati ai mafiosi anche ai privati (con rigorosi controlli a
garanzia che il bene non torni in mani sbagliate).

 * * *

C. Che Italia configura questo Decreto Sicurezza?
 c.1. Alcune tra le osservazioni generali emerse dai vari interventi
Come previsto dalla Costituzione, un decreto legge si giustifica
solamente nel “caso straordinario di necessità e di urgenza”. A sostegno
della propria scelta, il governo, nella relazione tecnica, ha
specificato che il provvedimento ha come scopo quello di “scongiurare il
ricorso strumentale alla domanda di protezione internazionale”, e di
“garantire l’effettività dell’esecuzione dei provvedimenti di
espulsione, ma anche di adottare norme in materia di revoca della status
di protezione internazionale in conseguenza dell’accertamento della
commissione di gravi reati”. Il Decreto Sicurezza accorpa così, con
disinvoltura, diverse ed eterogenee materie –dalle norme restrittive in
tema di cittadinanza al reato di blocco stradale; dalla pistola taser a
disposizione della polizia locale alla vendita a privati dei beni
confiscati alla mafia; dal Daspo per terrorismo al reato per ostruzione
o ingombro dei binari; dall’abolizione della protezione umanitaria al
ridimensionamento del programma SPRAR- iscrivendo il tutto in un unico
calderone, in un quadro complessivo di “urgenza” denominato di
“sicurezza”. E’ da chiedersi, considerata la chiusura pregiudiziale e
indiscriminata dei porti, il ritorno in patria o il trasferimento ad
altri paesi di molti migranti, la sensibile diminuzione degli ingressi
in Italia e dei reati comuni commessi tanto da italiani quanto da
immigrati, se ognuna delle disposizioni incluse soddisfi pienamente il
dettato costituzionale e rivesta un carattere di necessità e di urgenza
tale da giustificare l’adozione di un Decreto-Legge, e se
un’applicazione meccanica dello stesso Decreto abbia anche dei riflessi
sulla qualità del nostro vivere civilmente la democrazia. - Il Decreto
Sicurezza esprime una continuità con la martellante “narrazione” sui
mass media, in base alla quale il fenomeno migratorio è stato
“percepito” soprattutto ed esclusivamente come “un’invasione” (in aperta
contraddizione con i dati statistici esatti e aggiornati), il che ha
generato nella popolazione paure (che bisogna comprendere), aggravate
anche dall’indignazione per l’impreparazione e l’improvvisazione delle
politiche governative, e per l’assenza di politiche unitarie europee.
Tale “narrazione” ha incluso, oltre alla giusta denuncia di episodi di
illegalità, corruzione e violenza, anche una serie di allusioni e
insinuazioni tendenti sarcasticamente a irridere e a delegittimare -in
forma indiscriminata- tutti gli operatori del Settore Non- Profit che,
anche in questo ambito, da sempre sopperiscono in forma volontaria alle
lacune dell’apparato pubblico statale. - Il Decreto Sicurezza declina
semplicisticamente la complessità epocale e mondiale dell’immigrazione e
la riduce esclusivamente a una questione di ordine pubblico, da
affrontare come da un’Italia-fortezza isolata e ripiegata in se stessa,
assediata dalla paura e dalla corruzione, dimentica di certi valori
umani, con una pistola sotto ogni cuscino, come se tutto fosse solo un
volgare business. Non crediamo sia proprio così, e che ogni
generalizzazione sia superficiale e offensiva. E, per quanto riguarda il
Decreto in questione, siamo convinti che, in nome della lotta alla
cosiddetta “clandestinità”, metta in atto provvedimenti che suscitano
molti interrogativi poiché alcuni sono frutto di una interpretazione per
certi versi discutibile dei princìpi costituzionali, sia per quanto
riguarda i diritti umani individuali, che gli obblighi internazionali
dell’Italia. Vedremo nei prossimi mesi, ma può essere che – anche per le
problematiche politiche nello scacchiere europeo e del Mediterraneo e le
note difficoltà economiche dell’Italia, sia lo stesso Decreto quello che
fa aumentare la “clandestinità”. Quello che può produrre ulteriore
disordine e insicurezza. Infatti, se improvvisamente restringiamo i
diritti e le tutele delle persone che in qualche maniera sono arrivate
qui e che già vivono tra noi, le facciamo uscire da un minimo di
gestione pubblica e di controllo sociale. E le lasciamo scivolare nel
vagabondaggio, nel lavoro nero e nell’illegalità, il che rischia di
portarli alla criminalità. Questo, a sua volta, contribuirà ad aumentare
la “percezione di insicurezza” che fomenta la “guerra tra poveri” e
sulla quale alcuni politici costruiscono, giorno dopo giorno, il loro
consenso elettorale.

Ai fini di una comprensione e “narrazione” più corretta del fenomeno
migratorio, occorre invece partire dalla coscienza delle storiche
distorsioni del rapporto Nord-Sud, della conseguente depredazione
sistemica dei territori, delle perdite di vite umane e guerre funzionali
a queste depredazioni; dalle politiche neocoloniali e alleanze con
regimi dittatoriali e violenti; dalle conseguenze dei cambi climatici;
dai rapporti di interdipendenza esistenti in questo mondo globalizzato
(Global Compact), in questa Europa da migliorare e con i paesi del
NordAfrica con cui fare convenzioni adeguate in modo da andare alle
cause del problema migratorio e prevenire, per quanto possibile, i
loschi affari degli scafisti e i morti in mare, mediante corridoi
umanitari. A livello italiano, bisogna implementare nuove politiche, che
non si limitino solo agli aspetti repressivi, ma che superino
l’emergenzialità e la dispersione dando un ruolo di coordinazione ai
Sindaci con piani di formazione per i cittadini. Nuove politiche, che
favoriscano (non una concentrazione di persone, il che genera timore
nelle famiglie) un’accoglienza diffusa nel territorio e mirante alla
coesione sociale e all’integrazione. Politiche che, sempre e in ogni
caso, priorizzino la persona e la sua dignità, nel rispetto dei diritti
umani parimenti inviolabili per tutti, italiani e non.

* * *

D. Analisi di alcune criticità particolari

D.1. Il Decreto Sicurezza abroga il Permesso di soggiorno per motivi
umanitari, e complica la casistica e la tempistica dei cosiddetti
“permessi speciali”, penalizzando persone già in gravi difficoltà, senza
offrire alternative concrete. Prima del Decreto Sicurezza. I migranti
che non avevano documenti potevano fare domanda di protezione
internazionale. Le autorità preposte a vagliare le domande potevano (e
possono) rilasciare lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria.
Rilasciavano (e rilasciano) lo status di rifugiato (previsto dalla
Convenzione di Ginevra del 1951) se ritengono che il migrante rischia di
soffrire “persecuzioni per motivi di razza, religione, nazionalità,
appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni
politiche”. È insomma, di diritto, rifugiato chi ha un ragionevole
timore di poter essere, in caso di rimpatrio, vittima di persecuzione.
Tra le persecuzioni sono comprese la violenza fisica o psichica, la
violenza sessuale, il reclutamento dei bambini soldato, le pratiche dei
matrimoni forzati e anche le mutilazioni genitali femminili. Insomma,
tutte quelle azioni che, per la loro natura o per la frequenza,
rappresentano una violazione grave dei diritti umani fondamentali. La
protezione sussidiaria, la seconda forma di protezione internazionale, è
uno status riconosciuto a chi è cittadino di un paese terzo o è apolide
e «rischia di subire un danno grave» in caso di rientro nel proprio
paese: rischia cioè di essere ucciso, di essere torturato o di subire le
conseguenze di una situazione di violenza generalizzata e di conflitto.
Coloro che non avevano i requisiti per ottenere queste protezioni, ma
che tuttavia non potevano essere rimpatriati a causa di “seri motivi, in
particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi
costituzionali o internazionali dello Sato italiano”, potevano ottenere
un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Questo permesso
disciplinato dall’articolo 5 comma 6 del testo unico 286/98 aveva una
durata di due anni, poteva essere rinnovato alla scadenza e convertito
in un permesso per motivi di lavoro, se il migrante era impiegato con un
regolare contratto. Cosa cambia con il Decreto Sicurezza? La nuova
normativa elimina la previsione generale del permesso di soggiorno per
motivi umanitari sostituendolo con “permessi di soggiorno per motivi
speciali”, però riducendo e complicando di molto la casistica e la
tempistica delle possibilità. Prevede infatti, a titolo di esempio,
permesso di soggiorno per atti di particolare valore civile. Le vittime
di sfruttamento lavorativo e di violenza domestica invece potranno
ottenere un permesso di solo un anno. Ci sarà un permesso per “calamità
naturale”, ma di soli sei mesi e non rinnovabile. Esisterà un permesso
anche per cure mediche, nel caso in cui il migrante soffra di
“condizioni di salute di eccezionale gravità”, anch’esso però di solo un
anno. Scompare la protezione a minori, casi psichiatrici e persone rese
vulnerabili da un vissuto particolarmente violento o a chi dimostra di
essere profondamente integrato in Italia.

Conseguenze:
Nel Decreto si può intravedere una serie di criticità giuridiche che
possono sfociare in elementi d’incostituzionalità. Ma anche se non si
vuole mettere in campo la costituzionalità di alcune norme particolari o
la questione morale che ci pongono, dovremmo per lo meno chiederci quali
ne saranno gli effetti. A giudizio di molti specialisti in materia, la
previsione per la quale in molti casi sarebbero le Autorità
amministrative (Questure e Ministero dell’Interno) ad essere titolari
del potere di riconoscimento di tali “permessi di soggiorno speciali”
comporterà un eccessivo dilatarsi della discrezionalità amministrativa
e, quindi, una plausibile disparità di trattamento sul territorio
nazionale. Anche altre previsioni collegate all’abrogazione sono affette
da carenza di prospettiva e lungimiranza politica perché comporteranno
ineluttabilmente l’ingigantirsi del numero di coloro che avranno uno
status giuridico incerto o che si troveranno ad essere irregolari (senza
documenti perfettamente in regola), altrimenti detti “clandestini”, e
che devono diventare “invisibili” (ampliando così il carico di lavoro
della polizia, incrementando in modo abnorme il bacino legato allo
sfruttamento di tale condizione di precarietà esistenziale – dalle
locazioni al lavoro, e generando infine nuove serissime problematiche
assistenziali che si scaricheranno sugli enti locali in primis). La
conseguenza più evidente dell’abolizione dei permessi umanitari sarà un
aumento dell’irregolarità nei territori con inevitabili conseguenze
anche in termini di sicurezza. E’ da notare che, in generale, questo
Decreto Sicurezza non parla di modalità in cui fermare l’ingresso dei
migranti che arrivano con i barconi. Non parla neanche di un modo per
rimpatriarli nei loro paesi. Questo Decreto si indirizza a persone che
sono attualmente sul territorio e che, se prima potevano avere un
permesso di soggiorno, ora resteranno in angosciosa attesa di una
qualche forma di decisione. In un panorama nel quale i rimpatri in tempi
brevi sono sempre meno credibili, queste persone tanto vulnerabili
finiranno in una situazione di “clandestinità”, con tutto ciò che questa
situazione comporta: difficoltà a ricevere le cure e mandare i loro
bambini a scuola, impossibilità di trovare un alloggio lecito e un
lavoro regolare. Se prima un’integrazione era resa possibile dai
documenti, ora l’unica prospettiva per loro è la marginalità sociale,
l’aggravarsi di situazioni di disagio fisico e psicologico, il rischio
di cadere in situazioni di sfruttamento al fine di accattonaggio forzato
o altre attività illecite. Ben lontana da essere una norma che “combatte
l’immigrazione” o “favorisce l’ordine e la sicurezza pubblica”, questo
Decreto non fa che affliggere persone già in difficoltà senza offrire
un’alternativa concreta, aumentando l’insicurezza sociale per tutta la
popolazione, migrante e italiana. In particolare, penalizza le persone
vulnerabili, quelle con malattie gravi, i giovanissimi e le donne sole
con bambini. Questo è confermato dai dati, che mostrano come la
protezione umanitaria era accordata prevalentemente alle donne
richiedenti asilo e ai minori.

Postille: Il Decreto Sicurezza ipotizza un elenco di Stati “sicuri”. Ma
chi decide e in base a quali criteri se uno Stato è “sicuro”? Non si sa.
Indica che la richiesta di protezione internazionale deve essere
respinta se in alcune parti dello Stato da cui fugge il rifugiato c’è un
ambiente di pace. Come se noi fossimo costretti a scappare all’estero
perchè in tutta Italia (eccetto che in Sardegna) c’è una guerra civile,
e ci venisse negato l’asilo indicandoci che dovremmo andare tutti in
Sardegna. d.2. Rende più penoso e tormentato il trattamento degli
stranieri Viene allungato il periodo di permanenza nei CPR (Centri per i
Rimpatri), nei quali lo straniero candidato all’espulsione potrà essere
trattenuto in attesa di identificazione fino a 180 giorni: prima la
permanenza era fino a 90 giorni. Questo allungamento farà lievitare i
costi per lo Stato italiano (cioè per tutti noi) perchè, per ovvie
ragioni economicoburocratiche e per mancanza di apposite convenzioni con
molti Stati di provenienza, in tempi brevi non ci potrà essere il tanto
conclamato “rimpatrio immediato”.

E’ previsto che gli stranieri possano essere trattenuti anche in locali
delle autorità di pubblica sicurezza. Non viene concessa la protezione
umanitaria a chi minaccia un pubblico ufficiale. E’ noto che, per questo
tipo di reato, esiste una ampia discrezionalità nello stabilire la
gravità della minaccia o della violenza a pubblico ufficiale. In tema di
trattenimento, il Decreto contiene un’ulteriore previsione per cui, chi
tenta di eludere i controlli alla frontiera o nel caso in cui la domanda
di asilo si consideri solo strumentale a evitare un provvedimento di
espulsione o respingimento, verrà sottoposto a una procedura accelerata
che può essere svolta direttamente in frontiera o nelle zone di
transito. Questo, evidentemente, indebolisce le garanzie per il
richiedente, anche in considerazione del fatto che per il trattenimento
non è prevista una durata massima in violazione di un principio
costituzionale. Peraltro questa previsione risulta in contrasto con la
direttiva 20123/32/UE, per la quale il trattenimento di un richiedente
asilo è giustificato solo se questi, entrato irregolarmente nel
territorio dello Stato, non abbia presentato la sua domanda di
protezione appena possibile.

Sempre in tema di giustizia, il Decreto stabilisce la sospensione
dell’esame della domanda di protezione internazionale nel caso in cui il
richiedente venga sottoposto a un procedimento penale per reati che, in
caso di condanna definitiva, possano comportare il “diniego della
protezione internazionale”. L’incertezza sul fatto che tali esclusioni
saranno rese oppure no rilevanti anche prima di una condanna definitiva,
sono fonte di particolare apprensione in quanto violerebbero il
principio della presunzione di innocenza di cui all’art. 27 della
Costituzione.

d.3. Tagli ai servizi educativi, formativi, sanitari e di integrazione
Alla radice del Decreto c'è la convinzione (a) che occorra più severità
per chi delinque, (b) che il 60% dei Richiedenti Asilo non ne abbia i
requisiti. Occorre invece leggere il fenomeno senza pregiudizi
ideologici: (a1) Certo, più severità per chi delinque. Sia per
l'immigrato che delinque, che per l'italiano che delinque. (b1) Ammesso
e non concesso che sia facilmente possibile distinguere il bisogno di un
cosidetto "migrante economico" proveniente da una zona poverissima
rispetto al bisogno di un migrante che è riuscito a portare con sè tutti
i “documenti” per provare di fuggire da un contesto personale di guerra
o di persecuzione, non è chiaro di quali strumenti si debba dotare un
Paese civile per affrontare un problema complesso e articolato come
quello migratorio, che affonda le sue cause nelle distinte zone di
provenienza e, dopo territori di transito, approda da noi. Solo di
quelli repressivi? Così sembra, dato che con il Decreto viene in
particolare penalizzato l’impiego di figure professionali (educazione,
formazione, salute) con competenze specifiche. Un’occupazione giovanile,
specializzata in questi settori e stimata in oltre 36mila posti di
lavoro qualificati, rischia di essere dimezzata. In presenza di nuovi
bandi pubblici con pro die pro capite tagliati, molti gestori privati
che lavorano sulla qualità e su centri con piccoli numeri potrebbero non
poter partecipare e chiudere. Entrando nel merito dei tagli, si conferma
che il privato (che partecipa ai nuovi bandi) non dovrà più preoccuparsi
di garantire l’insegnamento della lingua italiana, il supporto per la
richiesta di asilo, la formazione professionale, l’avvio alla
cittadinanza responsabile e attiva, la positiva gestione del tempo
libero (attività di volontariato, di socializzazione con la comunità
ospitante, attività sportive). Agli ospiti dei CAS non resterà che
inventarsi come passare i giorni ad aspettare i lunghi tempi della
burocrazia della valutazione della domanda di asilo, bighellonando,
arrangiandosi alla meglio, senza alcuna mediazione culturale e senza
strumenti di conoscenza e di orientamento per entrare in contatto con la
parte più sana della società, capace di sviluppare percorsi positivi e
all’insegna della legalità. Col rischio di finire in mano al caporalato,
all’accattonaggio e alla microdelinquenza. Anche i servizi che rimangono
sono fortemente tagliati: sparisce lo psicologo e diminuiscono
pesantemente le ore minime settimanali dell’assistenza sociale, quando
sappiamo che il non sostenere adeguatamente fragilità sociali e
psicologiche può portare a concreti rischi, anche per la sicurezza e
l’incolumità delle persone accolte e per la comunità ospitante.

D.4. Drastico ridimensionamento di un modello innovativo di rete: il
Programma SPRAR
Lo SPRAR è un modello che, a detta di molti sindaci e amministrativi di
diverso colore politico, può funzionare in maniera precisa e trasparente
e permette ai Richiedenti Asilo di entrare in percorsi di formazione e
lavorativi che avviano all'integrazione. Percorsi che non prevedono solo
il vitto e l'alloggio, ma che invece stimolano a integrarsi in maniera
seria, grazie anche alla collaborazione tra enti comunali, associazioni
non-profit e privati. Una rete che NON ha permesso ai "furbetti" di
insinuarsi nella gestione dei profughi. Se il modello può funzionare,
perché ridurlo fino a minarne la sopravvivenza? Ora l’accoglienza sarà
limitata solo a chi ha già ricevuto la protezione internazionale e ai
minori non accompagnati. Questa scelta penalizzerà molto i territori e
la qualità dell’accoglienza in quanto tutti gli esclusi saranno
concentrati in strutture governative verticali e accentratrici di grandi
dimensioni, che in genere sono fattore di preoccupazione e di paura per
la gente. In Italia, a luglio 2018, risultavano funzionanti 877 progetti
SPRAR affidati a 754 enti locali titolari, coinvolgendo in totale 1.200
Comuni. Ora, sono in pericolo. Con il rischio di vanificare tutto un
lavoro (sempre perfettibile, certo) della società civile di base. Nel
Veneto, i tagli decisi dal Decreto potrebbero portare alla chiusura di
oltre 20 progetti ordinari, pari a 721 posti disponibili, di cui 167 nel
solo vicentino. In effetti, per quanto riguarda il nostro territorio, di
fronte al Decreto Sicurezza si prova una grande amarezza per il fatto
che il governo ha spazzato via in poche settimane un eccellente lavoro
di accoglienza portato avanti da moltissime persone, che durava da 16
anni, e che aveva superato i limiti dell’approccio emergenziale. Per
esempio, a Santorso, lo SPRAR coordinava il lavoro di 12 Comuni,
raggiungendo un buon risultato di integrazione. Nel 2015, in piena
gestione emergenziale affidata alle Prefetture (che già allora bypassava
e umiliava il modello SPRAR), da Santorso era stata rilanciata la logica
di accoglienza diffusa, di responsabilità condivisa tra amministrazioni
pubbliche, di dialogo e confronto con il sistema centrale. Questo sforzo
aveva portato alla firma di un protocollo sottoscritto da 24 sindaci (su
32) dell’Alto Vicentino, decidendo di accogliere 3 persone ogni 1000
abitanti. Questo modello ha funzionato talmente bene, che l’allora
Ministro Alfano ha poi proposto agli altri 8mila comuni italiani di fare
altrettanto: così, sono state accolte in Italia 38 mila persone. E’
intelligente penalizzare ciò che funziona? Ora, lo SPRAR esiste ancora
ma, dati i tagli, è solo virtuale. Se gli arrivi sono crollati, non è
però perché l’immigrazione sia stata “eliminata” e non si muoia più nel
Mediterraneo. Bensì, perché sono stati – per principio- chiusi i porti e
i programmi televisivi non ne parlano più ossessivamente come prima in
forma strumentale, inducendo molte persone a voltarsi da un’altra parte
rispetto ad alcune urgenze umane (bambini e mamme per giorni e notti su
navi in balia delle onde) all’antichissima Legge del Mare (salvare chi è
in pericolo), e a scegliere esclusivamente la linea repressiva per i
migranti che già vivono tra noi.

D.5. Sul tema della cittadinanza
Il Decreto stabilisce un allungamento dei termini per l’istruttoria e
l’esclusione del silenzio assenso per l’acquisizione della cittadinanza
per matrimonio. Prevede la revoca agli stranieri che commettono gravi
reati o che rappresentano una minaccia per la sicurezza nazionale. Su
questa previsione pesano seri motivi di incostituzionalità in quanto
esiste la protezione dei diritti acquisiti e la cittadinanza è inserita
tra i diritti inviolabili.

D.6. In fatto di salute pubblica e di salute delle persone
Urge un tavolo di confronto in sede ministeriale da cui si possano
evincere le modalità esatte di attuazione e i necessari correttivi alle
norme che riguardano la salute. Ma, per ora, suscita inquietanti
interrogativi giuridici e di coscienza, l’articolo secondo il quale il
permesso di soggiorno rilasciato ai richiedenti asilo costituisce sì un
documento di riconoscimento, ma non basterà più per iscriversi
all’anagrafe e quindi avere la residenza. Ciò comporterà un impedimento
totale a qualsiasi servizio pubblico collegato alla residenza. Ad
esempio, non potranno più avere il medico di base. In sostanza, i Comuni
non potranno più rilasciare a chi ha un permesso di soggiorno la carta
d’identità e i servizi, come l’iscrizione al servizio sanitario
nazionale, SSN, (quindi l’Asl) o ai centri d’impiego. Nei fatti questo
comporterà che solo i rifugiati e i protetti sussidiari potranno avere
accesso alle cure del SSN e verranno esclusi tutti i titolari di un
permesso per casi speciali, che – come abbiamo visto- sono
prevalentemente donne e minori. Ne consegue che migliaia di persone
rimarranno escluse dal godimento di questo diritto e potranno accedere
solo alle cure STP (Straniero Temporaneamente presente). Da un lato,
dunque, si abbassano le garanzie dei migranti e dall’altro si aumenta il
rischio per la salute pubblica. Gli stranieri probabilmente preferiranno
evitare il rischio di essere segnalati alle autorità di polizia
astenendosi dal ricorso alle strutture di cura del servizio sanitario
nazionale. Tale morbilità rimarrebbe così diffusa nella società italiana
e vicentina. Per contrastare, almeno in parte, questa grave situazione
si segnala che l’associazione vicentina senza scopo di lucro “Salute
Solidale ONLUS” d’intesa con l’ULSS locale, con i servizi sociali del
Comune di Vicenza ed altre dieci (10) associazioni impegnate nel
sociale, fornisce assistenza specialistica medica, erogazione di
farmaci, analisi di laboratorio di base in forma gratuita alle persone
(italiane e non) in stato di comprovato bisogno, cioè a coloro che, per
diverse ragioni, non sono in grado di accedere alle prestazioni sanitarie.

* * *
E. Resilienza e prospettive di lavoro in rete
Il Decreto Sicurezza non è un fatto tecnico, ma politico. E come tale va
assunto nelle sedi pertinenti da ognuno di noi, con responsabilità
civica. Per quanto ci riguarda in quanto associazioni, a fronte alta e
con coraggio, continueremo come operatori che nelle nostre Comunità
cercano, secondo coscienza, di ricurice, non di dividere con astio
diffondendo timori, insulti e intolleranza, o autoisolandosi in un
arcipelago sociale fatto di isole tra loro incomunicanti e ostili. Siamo
altresì convinti che c’è vera “sicurezza” solo se tutti si sentono
rispettati, se vengono garantiti i valori positivi della convivenza
comunitaria, con diritti e doveri uguali per tutti. Crediamo nella
dignità di ogni persona e lavoriamo ogni giorno per una civiltà nei
rapporti “umani”.

e.1. Porre l’accento sulla cultura che permea questo nostro momento storico
Oggi nel mondo la povertà sembra una colpa sulla quale il ricco
occidentale non abbia alcuna responsabilità. Anzi, pare stabilito il
diritto di girarsi dall’altra parte rispetto ai drammatici problemi del
Sud del mondo. Per quanto ci riguarda, dobbiamo ricordare che normative
come il Decreto in oggetto, hanno un substrato nell’opinione pubblica
che si è sedimentato nell’arco degli anni. Occorrono iniziative
educative sistematiche per ridurre il linguaggio cupo e aggressivo che
porta alla disumanizzazione dei rapporti interpersonali, la diffidenza,
le chiusure pregiudiziali, la squallida ignoranza e ottusa indifferenza
nei confronti di quanto succede oltre il nostro vecchio contesto
culturale, i casi di razzismo, di emarginazione nelle mense degli asili,
di bullismo nelle scuole, di fischi negli stadi, di violenze nelle
famiglie. Occorrono iniziative educative sistematiche sui valori che
hanno fondato la nostra Costituzione e ispirano la Dottrina Sociale
della Chiesa di Papa Francesco; sulla necessità di prepararci meglio ai
cambi provocati dalla globalizzazione di cui le migrazioni sono un aspetto.

e.2 Essere autocritici e resilienti. In questi anni ci siamo scontrati
con un grande senso di paura nei cittadini e nei parrocchiani. In
parrocchia si discuteva se accogliere o meno nella canonica o in un
appartamento vuoto, una famiglia di richiedenti asilo. La parrocchia si
ritrovava o divisa, o unita nel dire di “no”. Questa paura non è stata
sufficientemente accolta, ci siamo divisi nel giudicarci l’un l’altro
fra “chi è accogliente” vs. “chi non lo è”. Dobbiamo ripartire da qui
per vivere un’esperienza di solidarietà. Dobbiamo riconoscerci
umanamente con vissuti e sentimenti diversi, rimettendo al centro non la
parola sicurezza-legalità, ma la persona e il volto di quella persona.
Anche fra di noi. Perchè una comunità divisa in logiche di pregiudizio,
come potrà essere accogliente? Dobbiamo fare comprendere ai nostri
vicini di banco di chiesa, e di casa, che tutti facciamo fatica ad
accogliere persone che vengono da altri posti, ma che nessuno vuole
creare sacche di illegalità. Ma che diciamo sì all’integrazione, al
volontariato per accompagnare i richiedenti asilo, per essere in un
paese più “sicuro”. Perchè dove c’è inclusione, lì siamo tutti più “sicuri”.

 e.3 Una “narrazione” più corretta. Con chi dialogare? La nostra
co-responsabilità riguarda il fatto che non abbiamo trovato una
narrazione incisiva e convincente, in grado di smuovere le coscienze e
porre rimedio alla deriva. Non abbiamo cercato di capire cosa inquieta
le persone in questa fase di rapidissimi cambiamenti globali. Dobbiamo
rivolgerci a chi è confuso, affaticato, a chi ha paura, a chi abbiamo
colpevolizzato. “A chi sta in mezzo”. IPSOS e More in Common hanno
pubblicato quest’anno “Un’Italia frammentata: atteggiamenti verso
identità nazionale, immigrazione e rifugiati in Italia”1 . Secondo
l’indagine, il 24% si sono riconosciuti nelle “categorie” affini alla
linea dura. Un 28% si sono autodefiniti aperti, cattolici umanitari,
italiani cosmopoliti. Bisogna essere portatori di dialogo con “chi sta
in mezzo”, tra i due estremi. Con quella consistente fetta di persone
comprensibilmente incerte, preoccupate, che faticano ad arrivare a fine
mese, che si sentono trascurate, bombardate da raffiche impietose di
notizie contrastanti, in un mondo globalizzato che cambia troppo
velocemente.

e.4. Continuare con le Buone Pratiche e, durante il 2019, consolidare la
Rete informandoci reciprocamente sulle rispettive iniziative locali. Non
siamo “buonisti” e comprendiamo il bisogno di costruire sicurezza.
Contemporaneamente crediamo e sosteniamo principi e sentimenti come:
rispetto dei diritti umani e della Legge del mare, uguaglianza di
diritti/doveri fronte alla Legge, Bene Comune, corresponsabilità
personale, senso di umanità, solidarietà. Siamo del settore volontariato
No Profit e operatori sociali, profondamente radicati nelle drammatiche
difficoltà di questa nostra società, impegnati quotidianamente nel
cercare di portare avanti e di migliorare le tante “Buone Pratiche”, già
in corso nelle nostre Comunità. Priorizzando sempre il rispetto dei
diritti e il bisogno di tutte le persone – indipendentemente se siano
italiane o no- abbiamo collaborato in tanti progetti positivi ben
strutturati e correttamente gestiti, di cui siamo orgogliosi. 1
https://www.moreincommon.com/italy-report1 . Scaricabile gratituitamente
in pdf, versione italiana e inglese. E, per quanto possibile,
continueremo a fare la nostra parte, offrendo anche soluzioni pratiche,
concrete, in fatto di sanità, di alloggio, di accoglienza, di
formazione, di consulenza, di avviamento al lavoro, di costruzione di
una società multiculturale più “sicura” perché più rispettosa delle
differenze e più solidale di fronte ai bisogni dei più deboli e dei più
vulnerabili. Tra l’altro, ricordiamo che “Vicenza è la capitale
dell’accoglienza”2 e sappiamo per esperienza diretta che l’accoglienza
diffusa non solo contribuisce ad affrontare e a superare la “percezione”
di paura e a prevenire i conflitti, ma anche favorisce nuove
interrelazioni, apre orizzonti, genera più coesione sociale e quindi
maggiore “sicurezza”. Il cambio nel contesto sociale e antropologico ci
chiama però a sfide totalmente nuove.

* * *
Linee sintetiche e redazione a cura dell'Uff. Migrantes Vicenza. Con
preghiera di diffusione alle amiche e agli amici della propria Rete,
grazie.

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