La perversione del bombardamento atomico


www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - scienza - 22-07-22 - n. 838

La perversione del bombardamento atomico


Tiziano Tussi

"Oppenheimer: Hiroshima, Kokura, Nigata, Kyoto…e ci è stato chiesto, in qualità di esperti, quali sarebbero stati, secondo i nostri esperimenti, gli obiettivi più adatti al lancio della bomba atomica.
Robb: A chi è stato chiesto, professore?
Oppenheimer: A un consiglio di fisici atomici, nominato dal ministro della Guerra.
Robb: Chi ne faceva parte?
Oppenheimer: Fermi, Lawrence, Arthur H. Compton ed io."[1]

Così, in modo molto asettico, viene reso l'approccio della scienza e degli scienziati che avevano prodotto la bomba atomica con il disastro successivo di Hiroshima e Nagasaki. L'impatto della bomba produsse di colpo circa duecentomila morti, nelle due città.

Lo scritto di Heinar Kipphardt, da cui il dialogo precedente, con l'avvocato dell'accusa della Commissione d'inchiesta sull'operato di Oppenheimer, il capo degli scienziati atomici che lavoravano per il governo USA, si basa sulle carte del dibattimento che avrebbero portato alla defenestrazione dal gruppo di lavoro dello stesso Oppenheimer. Migliaia di carte e documenti per cercare di chiarire se Oppenheimer fosse di sicura fede statunitense oppure se agisse in combutta con "i comunisti" di Mosca.

Quello che risulta, fra l'altro, è la leggerezza con la quale il mondo scientifico ha trattato le implicazioni della creazione della bomba atomica e poi di quella all'idrogeno, senza porsi domande, almeno etiche, circa il suo ipotetico e possibile uso, che poi venne definitivamente reso reale con l'esplosione, nel 1945, delle due bombe sul Giappone, Hiroshima e Nagasaki, il 6 ed il 9 agosto.

Solo guardando le fotografie messe in fila dal libro e dai pannelli, che vengono ora riproposti, rende definitivamente il senso dell'abisso verso il quale e nel quale si sono inabissati gli studi sull'energia atomica. Il gioco diplomatico e politico che anche in questi tempi, con la guerra in Ucraina, spesso si sente ripetere da diverse sponde - lo scoppio della Terza guerra mondiale - evidentemente non prende in considerazione e neppure fa tesoro di ciò che accadde 77 anni fa.

La quantità dei morti seguiti immediatamente allo scoppio e poi ancora di quelli che seguirono nei decenni successivi è impressionante e definitivo. Non vi sono motivazioni che sorreggono il comportamento degli scienziati allora in atto. Le armi che esistono e che sono nella capacità di distruzione del pianeta, atomiche o di altro tipo, sono prodotte sia per tenere in piedi un rapporto di paura tra gli Stati, ma logicamente, è nelle loro possibilità un uso sul terreno, nella possibile pratica di guerra.

"La gente che dice sempre di sì è comoda ma inefficiente."[2]  Accettare, comunque, l'abisso non serve allo scopo umano. E qui si apre il solito inascoltato discorso sul mantenimento etico del livello di umanità che dovrebbe esistere fra gli uomini. Arrogarsi il diritto di scegliere come si debba vivere dall'altra parte del mondo porta a considerazioni ciniche e di potere puro: "Se vogliamo difendere con successo la nostra libertà, dobbiamo essere disposti a rinunciare a certe libertà."[3] Diventa difficile capire il senso ultimo della parola libertà, così come della parola democrazia ed altre simili. La loro pratica sociale al massimo livello implica delimitazioni che possono apparire assurde. Qui non si tratta della lezione kantiana che delimita il campo della libertà per poterla agire. Logicamente la libertà pura non trova possibilità concreta di applicazione.

Ma in ogni caso non credo possibile che centinaia di migliaia di morti siano il passaggio chiave verso il regno del bene, in qualsiasi modo lo si voglia intendere. "Si credo che sia così. Non è colpa dei fisici se al giorno d'oggi le idee geniali vengono sempre trasformate in bombe."[4] Questo è il lato debole, debolissimo di tutto l'affare che ruota attorno alla ricerca atomica. E, nel testo che stiamo scorrendo, si legge anche della depressione psicologica che si manifestò tra i fisici dopo lo scoppio della bomba. "Hiroshima era stata un duro colpo per molti. Il morale generale era molto depresso."[5] "Hiroshima ci aveva messi bruscamente di fronte a queste conseguenze, e a quel momento ci è stato impossibile lavorare a quelle armi senza pensare che sarebbero state usate."[6]

La Commissione incaricata di trovare la verità ideologica per il prof. Oppenheimer, nel 1954, epoca maccartista, concluse per una colpevolezza che implicava l'abbandono da parte di Oppenheimer degli studi sull'atomica. Senza una colpevolezza giuridica ma sulla base di soli sospetti di "connivenza ideologica col nemico", si potrebbe dire. Kipphardt scrisse la sua pièce teatrale sui documenti dei lavori della commissione e mise così in luce tutta la debolezza del lavoro scientifico dal punto di vista sociale e politico in quell'epoca.

Comportamenti che si sono poi susseguiti nel tempo. Ma rimanendo concentrati su quell'avvenimento possiamo anche valutare l'assoluta assurdità di tutto quanto avvenne anche riconsiderandolo attraverso un famoso film, Hiroshima mon amour, sceneggiato da Marguerite Duras che fece entrare la bomba nel regno della tragicità, del tragico assurdo dell'avvenimento. Morti e feriti a centinaia di migliaia per motivazioni che nulla reggono all'impatto. Uno scoppio che non ebbe per fortuna seguito nei tempi a venire, ma che fu minacciato in più occasioni da chi detiene le armi atomiche, per impressionare e spaventare il nemico. E, questo va detto, a tutto discapito degli Stati Uniti che in diverse occasioni hanno paventato l'uso della bomba, o comunque si sono ritrovati vicini ad usarla.

La Duras ci narra dell'accadimento, usando un incontro d'amore in Giappone, dodici anni dopo lo scoppio. Hiroshima è entrata, inevitabilmente, nell'immaginario collettivo giapponese ed in quello di chi aveva a che fare con il Paese del Sol Levante. La vita, ancora negli anni Cinquanta, era avvolta in sudari di irrazionalità e tragicità che rendono il Giappone inzuppato di tristezza e di incapacità di fare progetti per l'avvenire. Le malformazioni in corso, ancora in quegli anni, e nei successivi, per decenni, per generazioni, hanno solo da poco lasciato spazio ad una vita che tenta di rilanciarsi, secondo criteri post bomba. E da qualche decennio il Giappone ha riassunto una parvenza di normale Paese capitalistico, con un sottofondo molle di pazzia, che a volte scoppia in comportamenti poco spiegabili, almeno agli occhi di un occidentale. Ma il buco lasciato dalla bomba resta come un assurdo riferimento, un fondo inspiegabile di pazzia, della sua vita e non si può calcolare ancora per quanto sarà così. "Impossibile parlare di Hiroshima. L'unica cosa che si può fare è parlare dell'impossibilità di parlare di Hiroshima. Avere la conoscenza di Hiroshima è, a priori, una tipica illusione dello spirito."[7]

Ed anche se c'è chi lo ha messo tra i fatti bellici, non equiparandolo ad un evento, così come lo è stato l'uccisione in massa degli ebrei da parte dai nazisti nella Seconda guerra mondiale, ad una disamina realistica dei fatti è certo che anche Hiroshima, con Nagasaki, sono stati degli eventi: "Evento della storia del mondo. Solo se lo si intende in questo modo, si può parlare di un prima e di un dopo…"[8]  Qui il curatore del libretto di Hans Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz, Carlo Angelino, mette Auschwitz nella sfera degli eventi mentre Hiroshima la pone come "fatto bellico".[9] Ma io credo sbagli, lui, non Jonas che prende altre vie per cercare di definire l'uccisione in massa degli ebrei. Anche Hiroshima è un evento. Si può parlare di un prima e di un dopo Hiroshima e Nagasaki, in senso tragico e definitivo.

Lo studio dell'energia atomica, l'uso ridotto in strumenti bellici, ed il loro impiego sul campo, formano un trittico di perversione che si va via via sempre più chiarendo man mano ci si avvicina all'uso. Le immagini che vengono mostrate in questo numero di Resistenze mettono il suggello all'evento, alla drammaticità dell'evento. Poco resta di ciò che era, al momento dello scoppio della bomba, nulla resta dopo lo scoppio. Un crinale che si credeva insuperabile viene largamente saltato e per motivi che appaiono, alla luce delle conseguenze, assolutamente irrilevanti al confronto dei risultati della bomba, da parte di una grande potenza che vuole stravincere, non importa come, una guerra.

Jonas ci parla di un Dio che non è onnipotente e che perciò deve fare i conti con la potenza dell'uomo. Di un Dio che è assoluta bontà e che deve fare i conti con la malvagità dell'uomo. Di un Dio comprensibile che deve fare i conti con l'incomprensibilità dell'uomo. Il Dio in questione, sempre Angelino nella prefazione, viene indicato in una vittima bambino, impiccato dai nazisti, attraverso un passo di uno scritto di Elie Wiesel, La notte, che vede Dio in quel bambino, che dondola pigramente sulla corda, la lingua rossa di fuori, che sta agonizzando. Quello è per lui Dio. È la risposta più immediata, a chi chiede, di fronte a tanto scempio, dov'è Dio? Quello di indicarlo appeso alla corda assieme con quel bambino, ancor di più, Dio è quel bambino. Forse la risposta più semplice.

Sarebbe sicuramente più difficile individuare un morto, un ferito, un agonizzante, dopo lo scoppio della bomba tra le centinaia di migliaia di vittime. Non si saprebbe chi scegliere per pensare a Dio.[10] La grandezza della tragedia lo impedisce e si rimane solo atterriti da ciò che è successo, così come ancora ora riguardando quelle fotografie.

Ogni possibilità di resa psicologica reale e/o di tentativo razionale di spiegare i passaggi che hanno portato allo scoppio della bomba, così come la ricerca della stessa esistenza di un dio, vengono messi a tacere per sempre da ciò che la bomba, e ricordiamo sempre, gli uomini che le sono stati dietro, hanno permesso che accadesse.


Note:

[1] Heinar Kipphardt, Sul caso di J. Robert Oppenheimer, Einaudi, Torino, 1964, p. 18.

[2] Heinar Kipphardt, cit., p. 45.

[3] Heinar Kipphardt, cit., p. 62

[4] Heinar Kipphardt, cit., p. 83

[5] Heinar Kipphardt, cit., p. 90

[6] Heinar Kipphardt, cit., p. 104.

[7] Marguerite Duras, Hiroshima mon amour, Einaudi, Torino, 1965, p. 10.

[8] Hans Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica, il melangolo, Genova, 1989/2002, p. 10.

[9] Ibidem

[10] Ricorriamo sempre alla lezione di Anassimene sul rapporto quantità-qualità. Al cambiare della quantità di un qualsiasi aspetto materiale, cambia la qualità della cosa, del fenomeno, dell'avvenimento. "Questa teoria ha il merito di rendere quantitative le differenze tra le varie sostanze, dato che vengono fatte dipendere interamente dal grado di condensazione." Bertrand Russell, Storia della Filosofia Occidentale, Primo volume, Longanesi, Milano, 1966, p.57.

 

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