CINA: IL SUCCESSO DEL MODELLO ITALIANO
CINA: IL SUCCESSO DEL MODELLO ITALIANO
Gilberto Trombetta
Pochi giorni fa l’azienda cinese Deepseek ha rilasciato un chatbot basato sull'intelligenza artificiale generativa e sull'apprendimento automatico. Un concorrente di ChatGPT dell’americana OpenAI. Che però costa molto meno ed è open source.
La ditta cinese è in attività da meno di 2 anni, ha circa 200 dipendenti e ha investito 6 milioni di dollari per sviluppare il suo prodotto. OpenAI ha investito 100 milioni di dollari per ChatGPT, esiste da quasi 10 anni e ha circa 4.500 dipendenti.
Come risposta Nvidia ha perso in poche ore quasi 600 miliardi di dollari di capitalizzazione (-17%). Poco meno dell'intera capitalizzazione della Borsa di Milano. Non è andata meglio ad altre aziende tech, soprattutto nel settore dei semiconduttori: Broadcom -16,5%, Arm -10%, Amd -6%¹.
Come si spiega lo smacco di una piccola azienda cinese ai colossi americani?
Tra il 2003 e il 2007, gli Stati Uniti erano leader in 60 dei 64 settori coperti dal Critical Technology Tracker dell'ASPI. La Cina in appena 3. Nel 2023 la Cina era diventata leader in 57 settori².
La Cina forma annualmente 8/15 volte (le stime variano molto tra di loro) il numero di laureati STEM (science, technology, engineering and mathematics) degli Stati Uniti nonostante abbia “solo” 4 volte gli abitanti USA (1,4 miliardi contro 335 milioni).
Pochi giorni fa, il “sole artificiale” cinese (l’Experimental Advanced Superconducting Tokamak) ha battuto un nuovo record nel campo della fusione nucleare riuscendo a mantenere stabile uno stato di plasma confinato per oltre un quarto d’ora (1.066 secondi)³.
Rispetto ai reattori a fissione nucleare (quelli usati tradizionalmente nelle centrali nucleari), quelli a fusione producono più energia e, soprattutto, non coinvolgono elementi radioattivi. Sono quindi più efficienti e puliti. Il reattore sperimentale di fusione magnetica è stato sviluppato dall'Hefei Institutes of Physical Science che fa parte dell'Accademia Cinese delle Scienze. Un ente pubblico.
In meno di 20 anni, al Cina ha costruito la rete ferroviaria ad alta velocità più estesa al mondo. Dall'inaugurazione della prima linea nel 2007, la rete si è estesa fino a circa 45.000 chilometri (2023), più del doppio della lunghezza complessiva delle altre ferrovie ad alta velocità del mondo: abbastanza lunga da circondare la Terra⁴.
Alla fine del 2021, la rete copriva il 93% delle città con una popolazione superiore al mezzo milione alla fine del 2021. Il progetto è quello di estendere la rete ferroviaria ad alta velocità a 70.000 chilometri entro il 2035. Inutile dire che il trasporto ferroviario in Cina è completamente pubblico.
In Cina il mercato dell'auto è controllato dalle cosiddette 5 sorelle: FAW, Dongfeng Motor Corporation, Shanghai Automotive Industry Corporation, Changan Motors e Chery Automobile. Sono tutte aziende pubbliche. La BYD che è diventata la più grande produttrice al mondo di auto elettriche ha goduto di finanziamenti pubblici per anni e la proprietà è molto vicina al Governo cinese.
Sono ormai numerosi gli studi (Christiansen, 2011; Banca Mondiale, 2014; OCSE, 2017; FMI, 2020; BERD, 2020, Zhang 2023) che dimostrano come le imprese statali svolgano ruoli cruciali nelle economie nazionali di tutto il mondo. Indipendentemente dalla regione geografica o dal grado di sviluppo economico e nonostante le ondate di privatizzazioni degli ultimi decenni.
Rispetto all’Italia, il peso delle aziende di Stato, delle controllate e delle partecipate è molto più alto negli altri Paesi. Sia in termini di forza lavoro, sia per numero, sia in rapporto al PIL.
Nel 2024 nell’elenco delle migliori imprese stilato ogni anno da Fortune (Fortune Global 500), ci sono 128 imprese cinesi, (erano 135 nel 2023). Di queste, ben 90 sono imprese statali (più del 70%)⁵.
Nella sola Cina, il governo centrale possiede 51.341 imprese di Stato, valutate a 29,2 trilioni di dollari e danno lavoro a circa 20,2 milioni di persone. La Cina è il più grande Paese per numero di aziende di Stato. Seguono Ungheria (370), India (270), Brasile (134), Repubblica Ceca (133), Lituania (128), Polonia (126) e Repubblica Slovacca (113)⁶.
Stando all’ultimo report OCSE, per quanto riguarda l’Europa, in Germania le aziende interamente pubbliche sono 71, in Francia 51, in Svezia 49, in Finlandia 47, in Danimarca 21. In Italia sono 20.
Andando a vedere i dati di altri rapporti che hanno raccolto e aggregato i dati in maniera differente da quelli OCSE, i risultati non cambiano di molto.
Molti Paesi hanno una partecipazione (parziale o totale) dello Stato superiore al 10% nelle prime 10 aziende per dimensione e importanza. Così non è per l’Italia⁷.
Anche andando a vedere il valore del patrimonio netto contabile delle grandi aziende di Stato rispetto al PIL, l’Italia si trova dietro a molti Paesi ben lontana dai primi posti . Per quanto riguarda il valore di controllate e partecipate pubbliche, l’Italia si colloca dietro a Francia, Germania e Spagna⁸.
Non stupisce quindi che guardando il rapporto tra occupazione totale e occupazione nelle imprese di Stato, controllate e partecipate, l’Italia risulti agli ultimi posti tra i Paesi OCSE con il 3%. Ai primi posti dopo la Cina troviamo la Norvegia (13%), la Finlandia (8%), la Francia (7,9%), la Lettonia (6,9%), l’Ungheria (5,5%), l’Estonia, la Svezia, la Repubblica Ceca, la Germania, l’Austria, la Slovacchia.
Se andiamo a guardare i dati di un altro settore strategico, ovvero quello bancario, si vede che l'elevata proprietà statale non è limitata alle economie in via di sviluppo. In Cina la quota di attività bancarie detenuta da banche statali è del 77,3%, in India del 67,5%, in Etiopia del 67%, in Islanda del 65,9%, in Russia del 59,1%, in Brasile del 46,7%, in Germania del 37,1% e in Portogallo del 37%. In Italia è dello 0%⁹.
Il successo della Cina si basa su un modello che noi in Italia conosciamo molto bene. Perché lo abbiamo inventato noi. È il modello dei distretti industriali dell’IRI.
L’IRI è stato protagonista della ricostruzione industriale postbellica, intraprese interventi volti allo sviluppo economico delle regioni meridionali, al potenziamento della rete autostradale, del trasporto in genere e delle telecomunicazioni, al sostegno dell’occupazione. L’IRI è stato il motore della ricerca e dello sviluppo del miracolo economico italiano.
Ad aziende pubbliche italiane si devono il polipropilene, la plastica più prodotta al mondo; la principale azienda europea di semiconduttori (STMicroelectronics); lo standard di codifica digitale MPEG (da cui deriva l’MP3); la prima centrale a concentrazione solare al mondo a immettere elettricità in una rete nazionale; il primo modello commercializzabile di auto ibrida (Alfa Romeo 33 ibrida); il sistema di pagamento dinamico più utilizzato in Europa (Telepass).
Nel 1992 l’IRI contava circa 13 mila addetti alla ricerca, 114 laboratori aziendali, 7 centri specializzati (con 9 distaccamenti locali) e 9 consorzi “Città-ricerca” attivi in 16 Regioni.
Mentre l’Italia per colpa di una classe dirigente (politica, industriale, intellettuale) succube del vincolo esterno svendeva un modello vincente, quello dell’industria pubblica e dei piani pluriennali, la Cina iniziava a costruire il suo successo proprio grazie al modello italiano del miracolo economico.
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