Racconti dell'andare lontano IV Nunca más (Mai più)

 

Racconti dell'andare lontano IV

Nunca más (Mai più) 

Rodrigo Rivas

Santiago del Cile, 21 gennaio 2025

 


"E dopo 'il ripasso pomeridiano', il mio elettricista disse al suo sodale: 'Oggi dobbiamo chiudere alle 18,00 in punto. Ho un appuntamento con la mia fidanzata'. 

Me lo chiedo da 30 anni: Come si fa, dopo una intera giornata spesa ad applicare elettricità sui testicoli o ad appendere dai pollici dei poveri Cristi, ad andarsene a casa come un qualsiasi impiegato pubblico? 

Cosa racconterà ai figli della sua attività? Cosa sognerà di notte? 

Di cosa chiacchiererà con gli amici giocando a briscola il fine settimana? 

Ricorderà l'odore a carne bruciata del centro torture mentre si fa una grigliata in giardino? 

Dopo 30 anni non trovo ancora una risposta." 

Le domande del vecchio torturato fanno parte delle tante testimonianze sugli anni più duri della lunga notte vissuta dal Cile, raccolte nel "Museo della memoria", il più interessante tra i musei di Santiago.

Ci ho passato tutto il pomeriggio con mio figlio Stefano e Neel, la sua fidanzata. È stata una fortuna averli vicini poiché non è stata una passeggiata di salute. Ma consiglio a chiunque passi da queste parti di farci un salto, esclusi i deboli di cuore e di stomaco.

Tuttavia, chiunque arrivi corre il rischio di dover abbandonare davvero ogni speranza. 

Appena dentro il palazzone di 4 piani mi ritrovo con una foresta di gagliardetti. Ognuno porta il nome di un luogo cileno e/o di una nazione rei di torture, maltrattamenti, riduzione dei diritti umani a stereotipi esotici di cattiva reputazione. 

Ci sono l'Argentina delle madri e l'Uruguay di Punta Carretas, il Congo dei bimbi minatori e il Sudan dei campi profughi, la Corea del Sud degli aggiustamenti di conti tra politicanti e il Canada persecutore di bambini indigeni. E poi l'Australia, il Brasile, il Guatemala, la Serbia, l'Ungheria... , e alcuni tra gli oltre 1.600 luoghi di tortura recensiti nel Cile di Pinochet.

È l'Amazzonia dei brividi. 

Al primo piano trovo i filmati del 11 settembre 1973. Ci sono Allende ed i suoi ministri, Pinochet e la sua banda, carri armati sparano contro il palazzo del governo, aerei che lo bombardano. Rivedo molti conoscenti e qualche amico. 

La memoria conserva tutto. 

Poi, mi assalgono una ventina di stanze che spaziano dalla sofferenza dei bambini che scrivono ai genitori chiedendo quando torneranno a casa, ai lavori fatti dai residenti nei lager per non impazzire, dalle lunghe file di donne che provano a chiedere notizie di qualche congiunto scomparso oppure cercano di consegnare un po' di cibo o un golfino. Colpisce la loro dignità, la loro fierezza, il loro apparente disprezzo della paura. 

È il corteo delle madonne incazzate, la marcia delle guerriere disarmate che intimorisce soldatini ed ufficiali. 

 

Malgrado tutto, forse perché non sono una donna, avrei tanta voglia di scappare via, ma mi faccio trascinare da Stefano e Neel al secondo piano. Racconta gli anni '80, caratterizzati dalla lotta per ristabilire la libertà.

Ci ascolto il ritornello dell'inno nazionale: "Dolce patria raccogli i voti che il Cile nella tua ara giurò. Sarai la tomba dei liberi o l'asilo contro l'oppressione".

Vedo gruppi di gente disarmata che accerchiano militari in tuta mimetica col mitra in mano e poliziotti (carabinieri) col bastone in pugno che, seguendo i loro educati istinti, con coraggio prendono a bastonate e pedate tutti, anzitutto studenti, anziani e donne.

Sembrano vecchi colonialisti inglesi: per avere un orgasmo, sono costretti a picchiare qualche malcapitato.  

Attendo Sandokan, Yanez ed I tigrotti della Malesia che, infatti, pur se in ritardo arrivano sotto forma di una folla che, rimettendosi in piedi, sviluppa la velocità e la forza che portano al plebiscito dell'ottobre '88 

 

Su vecchi televisori vedo i dibattiti tra il Si o il No a Pinochet. 

Risento i dibattiti che ascoltai allora nel mio primo rientro in Cile dopo 15 anni. 

Rivedo il tentativo del governo di modificare il risultato. 

Rivedo il Pinochet - che avevo persino intervistato una settimana prima -  abbandonare gli abiti del nonno innocente per recuperare quelli a lui più consoni del bulldog arrabbiato. Adopera persino "gli occhiali da sole per avere più carisma, sintomatico mistero" (Franco Battiato). 

Ma sarà incapace di ritrovare il suo centro di gravità permanente 

 

A vittoria del NO acquisita, vedo esplodere l'allegria popolare. 

Rivedo ancora altri conoscenti e amici festeggiare con poco ritegno. 

Rivedo il disegno delle colombe eseguito  dalla Brigata Ramona Parra. 

Rivedo cantautori sopravvissuti che mi dicono che "ritornare ai 17 dopo essere vissuti un secolo è come decifrare simboli senza essere saggi competenti".

Rivedo il Teatro del Cerro (il teatro del poggio). Si canta "sei caduto lì, accanto ad altri mille, quando è nato il dolore". Si parla, ovviamente, di Victor Jara.

Per non essere di meno canticchio pure io sottovoce: "A volte mi domando se, è da dove, se dal padre, dalla madre o dalla cordigliera, ho ereditato i doveri minerali, i fili di un oceano accesso. Ma so che continuo perché continuo, e canto perché canto e perché canto. 

E non mi stanco di andare e ritornare" (Pablo Neruda, "Pieni poteri"). 

 

Esco leggermente ubriaco. 

So che dormirò male. 

I torturati saranno sempre dei torturati ed i torturatori saranno sempre dei torturatori. 

L'oblio è solo un simulacro senza senso ma bisogna vivere, magari decentemente, ben sapendo che nulla giustificherebbe diventare a nostra volta dei carnefici. 

 

Ce ne andiamo. Ascolto Gato Barbieri e il suo sax. 

Intona "Nunca más" mentre assaggio un ottimo pisco sour nella  notte santiaguina.

"Ma chi ha detto che non c"è?"

"Nina, te ti ricordi?"

 

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