I possibili scenari internazionali nella visione geopolitica di Trump
I possibili scenari internazionali nella visione
geopolitica di
Trump
Donald John
Trump, dopo aver nettamente vinto le elezioni presidenziali del 5 novembre
2024, si è insediato, in un clima di grande euforia, alla Casa Bianca il 20
gennaio successivo, per il suo secondo e ultimo mandato alla guida della
principale potenza economica, geopolitica e militare mondiale.
Quali
potranno essere gli elementi di differenziazione in politica estera rispetto
alla precedente amministrazione democratica guidata da Joe Biden?
Partiamo col
puntualizzare che il nuovo presidente fa parte del partito conservatore, una
forza politica che si è sempre dimostrata abbastanza compatta, fino a quando
Trump non ha fatto irruzione da outsider nella scena politica statunitense nel
2016, scompigliando le tradizionali posizioni politiche del suo partito ed
inaugurandone una corrente di estrema destra, denominata appunto trumpismo.
Il trumpismo,
tuttavia, non si oppone solo al partito democratico, ma anche alla tradizionale
corrente dei conservatori che ha provato vanamente a contrastarlo e, pure, al
particolare movimento dei neoconservatori, noti negli Stati Uniti come neocons.
Le linee
di politica estera di Trump all’alba del secondo mandato
La politica estera di Trump tenderebbe
nominalmente all’isolazionismo, cioè a concentrare la propria azione di governo
sugli affari interni al fine di “fare di nuovo grande l’America” (Maga). Ciò
non vuol dire rinunciare alla tradizione imperialista di Washington, ma ridurre
la politica interventista e cercare di proiettare la propria potenza a livello
internazionale attraverso altre strategie. Oltre ad attribuire una diversa
scala di priorità ai vari scacchieri regionali, ai quali daremo di seguito un breve
sguardo sinottico.
Continente
americano e America Latina
Il continente
americano nel suo complesso e l’America Latina nello specifico, con il ripristino in grande stile della Dottrina
Monroe, ritorna ad essere considerata un’area di propria influenza esclusiva.
Ed è proprio attraverso tale lente che va letta la nomina a Segretario di Stato
del falco anticastrista di origine cubana Marco Rubio.
Il presidente
Trump nel suo primo mandato aveva già messo in atto alcune delle politiche che
molto probabilmente verranno rispolverate durante la sua seconda presidenza,
soprattutto ai danni di Cuba, alla quale lui stesso ha comminato altre 242
misure restrittive al preesistente
bloqueo del 1961, e del Venezuela. Anche Caracas era già stata tempestata
di sanzioni a partire del 2015, sia da Obama che con carico da 90 da Trump, le
quali hanno messo in grande difficoltà il settore petrolifero per l’impossibilità
di reperire pezzi di ricambio che sono necessari per gli impianti produttivi,
oltre a renderne difficile l’esportazione. Conseguentemente a ciò, proprio uno
dei primi atti dopo il suo insediamento è stato il reinserimento di Cuba nella
lista dei paesi terroristici solo pochissimi giorni il suo depennamento da
parte di Biden negli ultimi giorni del suo mandato, senza peraltro mai aver
prodotto alcuna prova in merito.
Sembrerebbe
che nel contesto di una ridefinizione dell’assetto geopolitico globale su base
multilaterale, Trump abbia acquisito la convinzione che il potere unilaterale
globale statunitense sia impossibile da mantenere, o comunque eccessivamente
oneroso finanziariamente, pertanto ha deciso già prima dell’insediamento di
rispolverare la Dottrina Monroe e di serrare i ranghi sul continente americano.
In questa ottica, a nostro avviso, andrebbe interpretata la dichiarazione di
Trump del 7 gennaio nella quale il presidente ha affermato di volersi
impadronire della Groenlandia, del Canada e del canale di Panama. A tal
proposito, abbiamo trovato particolarmente efficace lo stralcio di articolo
dell’inviata a New York per il Manifesto, Marina Catucci, dell’8 gennaio: “Sui
primi due territori ha spiegato quale dovrebbe essere la strategia (per la loro
appropriazione. ndr): inondare di dazi la Danimarca, rea di non volergli
vendere la Groenlandia, e usare la ‘forza economica’ per annettere il Canada
che dovrebbe diventare il 51esimo stato Usa. Il Canale di Panama, inoltre, ha
fornito a Trump l’occasione per prendersela con l’appena deceduto Jimmy Carter,
colpevole- a suo dire -di aver siglato da presidente l’accordo (i Trattati
Torrjos-Carter del 1977) che trasferiva la proprietà del Canale allo stato di
Panama (a partire dal 1979 invece del previsto 1999. ndr), definendolo una
‘vergogna’”.
In sostanza,
Trump vorrebbe impadronirsi di questi territori per contrastare l’egemonia di
Mosca sulla nuova rotta artica. Gli Stati Uniti attualmente controllano solo la
porzione dell’Artico prospiciente l’Alaska, al contrario la Russia ne ha
davanti alle proprie coste più della metà. Acquisendo Canada e Groenlandia la
situazione si riequilibrerebbe, evitando peraltro la penetrazione della Cina
verso le abbondanti risorse del sottosuolo della grande isola danese.
Tuttavia, nel discorso di insediamento alla
Casa Bianca, Trump ha citato solo il Canale di Panama ventilando anche l’uso
della forza per la sua riappropriazione nel caso le navi Usa continuino ad
essere assoggettate alle stesse condizioni delle altre, destando non poche
preoccupazioni a Panama City.
Asia -
Pacifico
Altro
scacchiere cruciale nella visione geopolitica di Trump è quello Asia-Pacifico,
soprattutto in relazione al contenimento della Cina, per il quale è prevedibile
un aumento delle pressioni nei due Mari Cinesi, con prospettive non irreali di
scontro militare diretto sulla questione di Taiwan. Trump reputa, infatti,
Pechino l’avversario strategico degli Stati Uniti ed è su questo fronte che
probabilmente concentrerà il suo impegno.
Infatti, la prima attività da neo insediato
del nuovo Segretario di stato Rubio è stato incontrare i rappresentanti dei
paesi del Quad, Dialogo Quadrilaterale di Sicurezza istituito in funzione
anticinese fra Stati Uniti, Giappone, Australia e India, per definire le linee
strategiche di contenimento di Pechino, con prospettiva di medio termine di
realizzazione di un’alleanza militare strutturata che alcuni analisti hanno già
definito col termine di “Nato asiatica”.
Europa,
Nato e guerra in Ucraina
Lo scacchiere
europeo, invece, nella visione di Trump è secondario e tenderà ad appaltarlo
alla Nato: questo comporta un aspetto legato alle spese militari NATO. Trump
vuole imporre un aumento di queste ultime ai paesi europei addirittura fino al
5% del Pil, per diminuire l’impegno finanziario e militare statunitense, oltre
a perseguire un cambiamento di scenario per la guerra in Ucraina che vorrebbe
far cessare il più velocemente possibile. Tuttavia, dalle boutade della campagna elettorale, durante la quale ha più volte
dichiarato che avrebbe fatto terminare il conflitto in Ucraina in 24 ore, nei
giorni successivi all’insediamento ha già ripiegato su un più realistico 6
mesi.
Trump,
infatti, ha una visione opposta rispetto ai democratici e non considera la
Russia un avversario strategico al pari della Cina ed è consapevole che
l’escalation del conflitto in Ucraina ha rinsaldato le relazioni geopolitiche
ed economiche fra Mosca e Pechino. In questi primi giorni, il neopresidente ha
ribadito la sua volontà di arrivare in tempi rapidi ad una risoluzione del
conflitto ed ha anche minacciato Mosca, in una delle sue dichiarazioni fuori
dalle righe, di ricorrere a nuove sanzioni nel caso non si raggiunga un accordo
a breve. Uscita probabilmente poco accorta, in quanto la Russia, in primis, sta
vincendo la guerra e, in secondo luogo, Putin ha più volte dichiarato che non è
interessato ad un semplice cessate il fuoco, bensì ad un accordo definitivo e
duraturo che stabilisca nuovi equilibri geopolitici che tengano in
considerazione le esigenze di sicurezza strategica di Mosca. Tradotto in
termini concreti significa che, al di là delle questioni territoriali sulle
quali probabilmente è disposto a trattare, Crimea e Donbass esclusi, ciò
passerà per lo status di neutralità permanente della porzione dell’Ucraina che
non verrà conquistata. Questione fondamentale per la quale Mosca ha dato avvio
all’Operazione militare speciale a febbraio 2022, visto che era ormai evidente
l’imminente ingresso di Kiev nella Nato che, col suo seguito di basi militari e
missili a medio raggio puntati sui gangli strategici del sistema difensivo,
avrebbe minato in modo irreversibile la sicurezza nazionale russa.
La situazione
sul campo per l’Ucraina sta diventando sempre più critica: in ritirata su tutti
i fronti, in inferiorità numerica, con una potenza militare nettamente
inferiore nonostante il forte sostegno della Nato e con il morale dell’esercito
ai minimi termini con più di 170mila disertori stimati.
La risoluzione del conflitto risulterà quindi
difficile anche per Trump, il cui potere negoziale alla luce degli sviluppi è
indubbiamente inferiore rispetto a quello di Putin, con il tempo che gioca
anche a suo sfavore, in quanto il rischio di cedimento strutturale delle forze
armate ucraine sta aumentando e questo potrebbe portare alla resa
incondizionata di Kiev. Quindi il sentiero per Trump sta diventando sempre più
stretto per raggiungere a breve una pace negoziata con Putin, senza che ciò
venga percepita come una capitolazione dall’opinione pubblica statunitense.
Medio
Oriente
Anche per il
Medio Oriente la visione di Trump è assai diversa rispetto a quella dei
democratici in quanto è probabile che continuerà ad offrire sostegno totale e
incondizionato alle politiche di Netanyahu e in genere all’espansionismo
sionista. Nel primo mandato Trump aveva già riconosciuto: l’annessione illegale
del Golan, Gerusalemme come capitale del paese spostandovi l’ambasciata, questi
due punti in violazione del diritto internazionale, e aveva conseguito gli
Accordi di Abramo strutturando un’alleanza fra alcuni stati arabi filo
occidentali (E.A.U. Bahrain, Marocco e Sudan) e Israele in funzione anti
iraniana. Progetto di “un nuovo volto del Medio Oriente” che avrebbe preso
corpo definitivamente solo con l’adesione dell’Arabia Saudita, ma non andato a
buon fine perché Pechino, nel marzo 2023, è riuscito a mediare un accordo tra
Ryad e Teheran. Probabilmente questo progetto verrà ripreso da Trump ma resta
la riluttanza saudita che subordina la sua adesione alla risoluzione
dell’occupazione israeliana dei Territori Palestinesi e della loro
colonizzazione.
Un elemento fondamentale da tenere di conto
nell’analisi delle politiche internazionali di Trump è la sua avversione verso
i conflitti armati, che nella sua visione pragmatica danneggiano gli affari, ed
ha esercitato proprio nelle settimane precedenti una forte pressione su
Netanyahu che ha portato all’intesa sul cessate il fuoco a Gaza con la
resistenza palestinese. Accordo effettivamente entrato in vigore, con alto
valore simbolico, il 19 gennaio, giusto il giorno antecedente il suo
insediamento alla Casa Bianca. Anche se appena due giorni dopo, con l’avallo di
Trump, il governo israeliano ha inasprito il pugno duro contro la Cisgiordania
occupata avviando l’operazione militare Muro di ferro, procurando diverse
vittime, soprattutto a Jenin, questa volta senza nemmeno il paravento
dell’attacco palestinese.
Conclusioni
In
conclusione, possiamo affermare che la strategia di Trump nelle relazioni
geopolitiche è quella di delegittimare le istituzioni internazionali, tagliando
i fondi o abbandonandole, come appena fatto con l’Organizzazione della Mondiale
della Sanità (Oms) per poi concordare
successivamente un contributo nettamente inferiore, e di rinunciare ai rapporti multilaterali a
vantaggio di quelli bilaterali, facendo valere in quel contesto tutta la sua
forza contrattuale per strappare condizioni più vantaggiose (politica America
first).
E’ opportuno
puntualizzare che nella sua visione, il non ricorso alla guerra, non significa
una rinuncia alla politica imperialista, bensì raggiungere i massimi vantaggi
con una strategia muscolare fatta di annunci sopra le righe e minacce quasi mai
velate, con il rilancio di una politica economica definita “neomercantilista”
basata sui dazi, quindi protezionistica dal punto di vista commerciale, per
riequilibrare il forte disavanzo con l’estero e iperliberista all’interno, con
tagli alla spesa pubblica per alleggerire il passivo del bilancio statale.
Il tutto con un’elevata dose di
imprevedibilità tipica dell’instabilità umorale del personaggio, per cui gli
scenari sopra descritti rappresentano solo delle possibilità che potrebbero
anche subire improvvisi e significativi cambiamenti.
Luisa
Franceschi - 26 gennaio 2025
Classe 4 b -
Liceo Classico Galilei di Pisa
Attività del
corso di "Geopolitica e analisi dei conflitti internazionali" tenuto
dal prof. Andrea Vento
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