La costituzione da difendere.....
Movimento Nazionale Antifascista per la Difesa
Integrale e Rilancio della Costituzione
Il MODELLO CHE HA TROVATO CONFERMA
NEL REFERENDUM POPOLARE E' UN MODELLO ASSOLUTAMENTE UNICO NEL PANORAMA
INTERNAZIONALE PERCHE' HA DATO UNA VERSIONE ISTITUZIONALE ALLA
STRATEGIA SOCIALE DELL'ANTIFASCISMO ANTI CAPITALISTICO, FUORI DAGLI
SCHEMI DELLA LIBERAL-DEMOCRAZIA SU CUI SI REGGONO I SISTEMI ISTITUZIONALI E
ECONOMICI OCCIDENTALI - EUROPEI E "ATLANTICI".
Ricordare sempre che Il NO del giugno 2006 , è stata una
diffida a tutti i vertici politico-sindacali che tacciono o parlano ma comunque
– anche facendo “una sinistra a sinistra
del Pd – colpiscono il sistema
economico-sociale e politico sorto dalla Resistenza e tramano per
una restaurazione “europeista” e conformare la nostra
democrazia al liberalismo e ai sistemi liberal-autoritari Nord atlantici e del
continente europeo: che ricopiati in forme meno mistificate nei Paesi dell’Est,
hanno conformato dei regimi esplicitamente detti di tipo para
fascistico sul piano dei rapporti politici e di produzione, con forme di tratta e di
lavoro persino schiavistico, nel cuore dell’Europa, non nel Sud Est asiatico o
in Asia o nel “primo” e vero “unico” mondo c.d. “terzo
mondo”.
Occorre sapere – e spiegare a chi l’ignora - che
la Carta costituzionale che è stata
rilegittimata e il modello che ha trovato conferma nel referendum popolare
che ha respinto la sua revisione, è un modello assolutamente unico nel panorama
internazionale in quanto e perché ha dato una versione istituzionale alla
strategia sociale dell’antifascismo anticapitalistico, fuori dagli schemi della liberal-democrazia su cui si reggono i
sistemi istituzionali e economici occidentali.
Modelli Occidentali che, in realtà, non sono
democrazia ma liberalismo, regime dove
non c’è il pluralismo proporzionalistico e come tale anche sociale e non solo
politico; e al posto dei partiti ci sono i gruppi di potere delle
corporazioni di interessi privati d’impresa industriale e finanziaria: con
forme di rappresentanza non già
anche sociali e di classe ma solo di “ceto politico” appartenente ad una sola
classe, e al partito unico di governo, che si
divide, formalmente, nella DIADE
destra/sinistra che occupa l’arena parlamentare, escludendo classe operaia, lavoratori e i
ceti popolari e chi collide col sistema capitalistico, viceversa,
includendo chi al di la dei nomi che porta, e di ciò che dice, accetta di partecipare al governo avendo è preventivamente tutti
optato – e quotidianamente lo ribadiscono – per i valori del mercato, in sintonia con
i potentati economico-finanziari.
Gestione di un partito unico di
governo dove la Casta politica subalterna alla Casta economica, la vera Casta
oligarchica: le due caste che
storicamente il bipolarismo maggioritario produce). Questo in omaggio a
quella che è l’anglofona teoria del sistema maggioritario della
società omogenea, secondo
cui - e come avveniva anche da noi nell’800 - la
società deve essere rappresentata istituzionalmente come omogena, appunto, e non
esprimere e rappresentare il pluralismo sociale e di classe che
l’attraversa.
Premessa tanto più importante da ricordare, di fronte
alla gravità delle recenti affermazione del leader della Fiom che “spostandosi”
o “allineandosi” al “revisionismo storiografico”, che è volto a delegittimare e
addirittura a criminalizzare l’idea stessa delle rivoluzione non solo socialista
ma sinanco quella “democratica e antifascista” da cui appunto origina il modello
di cui sopra, dimostra che non è più rinviabile l’apertura di un dibattito
teorico che coniughi la critica a tale revisionismo storiografico alla critica
del revisionismo teorico che già avevamo detto che si annida nel primo, e di cui
il segretario della Fiom ci ha dato conferma. Infatti, dimostrando di non
conoscere il significato storico e teorico della parola “sinistra” espressione
pre-fascista e puramente “parlamentaristica” ed evidentemente non sapendo che il
fascismo e venuto dopo la crisi del “giolittismo” e appunto del “sinistrismo”,
si avventura - forse su suggerimento della voce fuori campo di chi è a lui
strettamente vicino -, in antistoriche affermazione come per dire “chiudiamo col
900” per pensare cosa è la
“sinistra”, una “nuova sinistra” sic, assumendo cioè il netto disancoramento
dalle tendenze teorico-politiche specie di quelle antifasciste che hanno
caratterizzato le lotte di classe, sociali e di massa dalla Resistenza al 1975,
già operato da Occhetto in poi da tutta la “sinistra”. Mostrandosi disposto,
come fino ad ora ha fatto tutta la “sinistra parlamentarista”, a delegittimare e
a sbaraccare e quindi ad avvallare quanto il voto dell’elettorato popolare e
operaio il 25-26 giugno ha invece respinto nonostante l’inanità dell’opposizione
sindacale e politica della “sinistra parlamentaristica”: e cioè il progetto di
“revisione costituzionale” destinato a sconvolgere il sistema sociale e non solo
politico che con la Resistenza e il “patto” tra i grandi partiti di massa era
stato avviato a un processo di democratizzazione, subito contrastato con ogni
mezzo – occulto e palese – dalle forze del capitalismo internazionale e
nazionale interessate ad equiparare l’ostracismo al comunismo con la lotta al
nazi-fascismo condotta sul piano ideologico e militare dalle “democrazie” sia
“liberale” che “socialdemocratica”.
Una coltre di silenzio lunga un
anno
A
un anno dal referendum del 25-26 giugno dello scorso anno, i pericoli nascosti
dietro la coltre di silenzio che è stata calata sul suo esito sono emersi nella
loro gravità in due interviste, diverse tra loro ma complementari di D’Alema al
Corsera e del leader della Fiom a Liberazioni. Il primo mostrando l’indifferenza
se non il disprezzo per l’elettorato popolare che ha rilegittimato la Carta del
1948, ha riproposto tutto ciò a cui il popolo ha detto NO solo 1 anno fa. Il
secondo nel mentre stesso che parla di scollamento tra lavoratori, politica e
istituzioni tace che proprio a questo mirava e mira l’indirizzo
controriformatore che ha preso avvio in modo strisciante alla fine degli anni
70, iniziato sulla spinta del craxismo a cui via via hanno dato il consenso o
aderito o portato il proprio contributo e mattoncino: Occhetto e i vertici CGIL;
D’Alema con Berlusconi con cui
torna intimo in questi giorni delle “telefonate” come ai tempi del patto della
“crostata” bonapartista in casa Letta che diede l’avvivo alla famigerata
Bicamerale D’Alema; Bertinotti e a quanto pare – se non ne è consapevole è
ancora più grave – lo stesso leader della Fiom, che senza fare due più due non
riesce a mettere in relazione e a cogliere il rapporto tra il sociale e
l’istituzionale come se questo fosse solo norme. Cioè non coglie “la questione
sociale”, cioè il nesso tra rapporti di produzione e rapporti politici
anticipati già dal 1848 nel Manifesto in cui la “globalizzazione” è fondamento
della teoria di Marx, via via sviluppata dall’esperienza storica e teorica delle
masse e delle forze della sinistra non più parlamentarista ma rivoluzionaria
come si diceva dal 1945 in poi. E per ciò Rinaldini, non sapendo cogliere “la
questione sociale” che il fascismo aveva saputo ben cogliere al punto da fare
una cosa uguale e contraria al consigliarismo come il corporativismo, per scopi opposti al
comunismo ma sapendo e riconoscendo l’importanza delle masse e il peso del
sociale nell’istituzionale e nella politica, come pare oggi non sappia fare il
leader della Fiom che in un tale sbandamento storico e teorico, non sapendo più
che fare e che dire, non trovano di meglio riproporre una “sinistra a sinistra
del partito democratico” e di rompere e cancellare il 900 – come se si potesse -
di cui evidentemente non capiscono nulla di ciò che è avvnuto: quindi non
capiscono perché oggi perdono e con loro perdono i lavoratori e la democrazia,
perché non hanno capito e non capiscono perché prima
vincevano.
Quindi non sapendo cosa era e come è venuto il fascismo non sanno cos’è l’antifascismo e quindi la
Carta che è stata rilegittimata dal voto dell’elettorato operaio e popolare che
come in Francia, non trovando alcuna rappresentatività nella sinistra è tornato
a votare a destra e in particolare nel Nord operaio per quel sociale di destra
che è la Lega che imita il rapporto sociale e di massa che avevano i partiti
antifascisti e che non hanno più i vertice di potere dell’attuale “sinistra”
pre-fascista che per ciò tacciono - come i vertici della “gauce” francese
sconfitti dal No popolare e dal basso alla Costituzione -, di quel vibrante NO,
uniformemente distribuito in tutto il paese che con la carica dell’imprevisto e
la incisività del suo radicamento ha espresso la stessa potenzialità unificante
del NO al “trattato di costituzione europea” ma che ne in Francia ne in Italia i
vertici della “sinistra” sia politica che sindacale, anche di quella
ottecentesca e “radical laicista” come Rifondazione e a quanto pare quelli della
stessa Fiom non hanno saputo interpretare ne tanto meno rappresentare.
Un No operaio e popolare che
superando la frammentazione individualistica latente nell’istituto referendario
e riponendo al centro della
politica l’unità del cervello sociale” del Paese, è suonato come diffida popolare a tutti gli occhiuti
vertici di stato, partiti e sindacati che hanno tramato e tramano nel chiuso del
“palazzo” per allineare il sistema istituzionale e quindi sociale e politico
italiano, al modello istituzionale-sociale-politico degli altri Paesi
occidentali già conformi al
conclamato “deficit democratico” della “costruzione” europea.
Stava alla cultura democratica e ai movimenti in lotta sui vari
fronti del conflitto di classe, e quindi anche al sindacato e anche alla Fiom,
assumere la diffida popolare di un anno fa come asse di una strategia non più meramente
di “difesa” ma di “rilancio dei principi e dei valori della democrazia sociale sorta nel 900 nel
vivo di una lotta sociale e politica che ha animato la storia della crisi del
liberalismo e della Resistenza e che sono sotto attacco in modo diretto con la
legislazione controriformatrice che da quando è stata istituita la c.d. legge
finanziaria sta portando ai suoi sbocchi finali la distruzione degli istituti di
garanzia del lavoro e del salario sociale che erano stati conquistati quando si
perseguivano quegli obbiettivi e strategie di controllo sociale e politico
dell’accumulazione d’impresa iscritte nel sistema di democrazia organizzata e antifascista
con cui anche si chiuderebbe (come sarebbe stato se passava la “revisione
costituzionale” di Berlusconi) chiudendo - come si dice – “con tutto il 900“:
“tutto”.
Respinte le smanie neo-autoritarie di destra e sinistra
Viceversa, solo un anno fà, il popolo ha detto l’opposto delle
interviste di D’Alema e Rinaldini. Occorre allora dare piena evidenza ed
importanza alla dimensione della partecipazione e all’esito del voto con cui il
popolo, alla seconda occasione
presentatasi – dopo quella del 2001 -
ha intercettato e respinto in blocco le smanie neo-autoritarie del
centrodestra e del centrosinistra (quindi anche della “sinistra a sinistra del
Pd”) a favore del “premierato”, istituto che nel 1925 era stato introdotto
dall’arrembante fascismo mussoliniano), cogliendo, intercettando e respingendo
con il voto le insidie della combinazione tra “premierato” e “devoluzion
federalista”.
Nella valutazione di questo va tenuto presente che è
stato ottenuto da un Un popolo abbandonato dai partiti ormai snaturatisi da
forma della rappresentanza popolare a “lobbies” interessate, da un lato, solo
alle “passività” del consenso (che non è democrazia, come ricordava Gramsci a
proposito anche del fascismo) delle cosiddette “primarie” ad un tempo
populistiche e “codiste” e che irridono alla sovranità popolare e, dall’altro
lato, a combinare “affaire”, come
casta subalterna a quella industrial-finanziaria, coi suoi tecnici e manager
d’impresa, accademici e faccendieri, ecc., cioè “affaire” con l’altra vera casta
dell’oligarchia che, storicamente e inevitabilmente, il “bipolarismo”
maggioritario produce e di cui è piena la cronaca anche di questi
giorni.
Ciò nonostante a dispetto di
quanto avvenuto nel 2001 – quando il centrosinistra chiamò a confermare la
revisione con cui, con soli 4 voti di scarto, impose l’avvio del “federalismo”,
in un ordinamento dal quale mancavano tutti i presupposti socio/politici stante la
tradizione civile unitaria e autonomistica fatta valere alla Costituente dai
partiti di ispirazione marxista – contro il risicato 34% di allora, c’è stato un ben
più significativo 54%, imponendo un quorum non previsto. Accentuando così il significato di un
voto che è valso a respingere: 1)
l’incombente disegno reazionario della “casa delle libertà” che puntava a
sviluppare la tendenza spianata nel 2001 dal centrosinistra vanamente proteso a
contendere alla Lega Nord le velleità federaliste, per completare il disegno di
delegittimazione della Costituzione del 1948 portando alle estreme conseguenze a
linea della Bicamerale di D’Alema; 2) a rovesciare l’indirizzo
controriformatore e di delegittimazione della Costituzione, iniziato in modo
strisciante alla fine degli anni 70 sulla spinta del craxismo e poi ripresa,
appunto, dalla Commissione D’Alema dalla quale Berlusconi ha tratto la proposta
dell’endiade federalismo/presidenzialismo del premierato ”forte”.
Endiade respinta dall’elettorato
popolare con intuizione di massa della reale posta in gioco riguardante la
stabilità non già dei “governi” ma della “democrazia”, ma che D’Alema ha
riproposto in toto sul Corsera dichiarando “non chiedo la dittatura però…” -
confermando la posta in gioco di cui sopra – arrivando a proporre soluzioni para
dittatoriali: affiancando “un pacchetto di riforme
costituzionali” ad “una riforma elettorale che porti ad un rafforzamento
dell’esecutivo”, relegando il senato al ruolo di assemblea dei notabili con il
“superamento del bicameralismo” (come propone anche RC con capi in testa gli ex DP dei
“due” Russo (Spena e Franco) e il
cesarismo che chiamano la “crostata” (dal patto fatto in casa Letta) ma è il
presidenzialismo del premierato “forte”.
In tal modo attualizzando nella crisi politica di questo
inizio secolo, una rilettura del
nesso (di continuità) tra autoritarismo e totalitarismo che fu la base
dell’alterazione dell’organizzazione del potere che dalla crisi d’inizio secolo
scorso portarono alla dittatura, e svelando: a) l’ipocrita schermaglia che al premierato “forte” di
Berlusconi opponeva un premierato c.d. “relativo” da parte dell’Unione e dei
vertici Pds-Ds e Ppi-Margerita, ora sul punto di fondersi in un Pd che
Bertinotti incoraggia “a fare presto e bene” perché, dice, “aiuterebbe anche noi
a cambiare progetto” (cioè, diciamo
noi, alla pseudo sinistra “radical-laicista” di assumere il ruolo dei DS); b) che continua il “lavorio” di tutte
le forze politiche che hanno accettato di riprendere il ruolo di “sinistra
parlamentaristica” proprio del costituzionalismo liberale, ottocentesca e
pre-fascista “legata agli interessi bancari e agrari…impegnata ad accrescere
anziché limitare la libertà economica… di cui faceva parte l’Estrema sinistra
radicale” (Candeloro, Storia dell’Italia moderna vol.VI pagg.82,83,84); c) che tali forze continuano a
ripudiare la forma di governo imperniata sulla “centralità” del parlamento
perché innescata sul ruolo della “democrazia organizzata” dai partiti e dalle
forze sociali, e proseguono nella linea di spregiudicata “verticalizzazione”
delle istituzioni e del sistema di governo già anticipata con il “bipolarismo”
maggioritario in sede nazionale, e con l’elezione diretta di sindaco, presidente
di provincia e presidente di Regione in sede
locale.
Quale modello è stato rilegittimato dal
referendum
Quel che quindi va sottolineato, è che la Carta costituzionale che il
popolo ha rilegittimato e il modello di forma di governo elaborato dai
Costituenti e che ha trovato conferma nel referendum popolare che ha respinto la
sua revisione, è assolutamente unico e completamente originale nel panorama
internazionale perché difforme dai modelli di tutte le forme di govenro adottate
nell’Europa continentale, sia prima che dopo il 1945 e la sconfitta del
nazi-fascismo. E ciò perché è l’unico che ha dato una versione istituzionale
della strategia sociale dell’antifascismo anticapitalistico,. Fuori cioè dagli
schemi della c.d. “liberal-democrazia” su cui si reggono variamente imitato
particolarmente dai sistemi politico-istituzionali di Germania, Spagna,
Portogallo, Grecia e Francia dove il “rassemblement” presidenzialista della
“gauche” francese non ha voluto assumere e rappresentare il NO popolare e operaio alla c.d. “Costituzione UE”
- che “dal basso” ha sconfitto i vertici europeisti della
social-gollista della diade destra/sinistra - e le lotte operaie contro il Contratto di primo
impiego (Cpe) scaturite da quel NO. Si che ponendosi sullo stesso terreno
europeista e di destra di Sarkosy – che parla e agisce come un parafascista
dell’epoca in cui il fascismo scompaginava e usava liberali e cattolici popolari
– è stata sconfitta come mai prima. Cosi come tutta la sinistra italiana non ha
voluto e non vuole assumere il No popolare dello scorso giugno e come la stessa
Rifondazione, come in Francia Lotte Ouvriere, si pone sul terreno di un
europeismo restauratore di forme istituzionali dei sistemi “liberal-democratici”
che, in realtà, non sono democrazia ma liberalismo.
In quanto sono regimi dove non c’è il pluralismo
proporzionalistico come tale anche sociale e non solo politico, e al posto dei
partiti ci sono i gruppi di potere delle corporazioni di interessi privati
d’impresa industriale e finanziaria. Con forme di rappresentanza non già anche sociali e di classe ma
solo di “ceto politico” appartenente ad una sola classe, e al partito “unico” di
governo che si divide in destra/sinistra che occupa l’arena parlamentare
escludendo i lavoratori e i ceti popolari e chi collide col sistema
capitalistico e includendo chi al di la dei nomi che porta e di ciò che dice
accetta di partecipare al governo avendo preventivamente tutti optato – e
quotidianamente lo ribadiscono – per i valori del mercato, in sintonia con i
potentati economico-finanziari.
Questo in omaggio a quella che è l’anglofona teoria del sistema
maggioritario della società omogenea,
secondo cui e come avveniva anche da noi nell’800, la società deve essere
rappresentata istituzionalmente come omogenea, appunto, e non esprimere e
rappresentare il pluralismo sociale e di classe che
l’attraversa.
Revisionismo costituzionale e revisionismo storiografico e
teorico
Tutto questo è tanto più
importante da ricordare, a fronte della gravità delle recenti affermazione del
leader della Fiom che “spostandosi” o “allineandosi” al “revisionismo
storiografico”, che è volto a delegittimare e addirittura a criminalizzare
l’idea stessa delle rivoluzione non solo socialista ma sinanco quella
“democratica e antifascista” da cui appunto origina il modello di cui sopra,
dimostra che non è più rinviabile l’apertura di un dibattito teorico che
coniughi la critica a tale revisionismo storiografico alla critica del
revisionismo teorico che già avevamo detto che si annida nel primo, e di cui il
segretario della Fiom ci ha dato conferma. Infatti, dimostrando di non conoscere
il significato storico e teorico della parola “sinistra” espressione
pre-fascista e puramente “parlamentaristica” ed evidentemente non sapendo che il
fascismo e venuto dopo la crisi del “giolittismo” e appunto del “sinistrismo”,
si avventura - forse su suggerimento della voce fuori campo di chi è a lui
strettamente vicino -, in antistoriche affermazione come per dire
“chiudiamo col
900” per pensare – dice - cosa è la “sinistra” e una “nuova sinistra”- sic
- che assumerebbe così il netto
disancoramento dalle tendenze teorico-politiche specie di quelle antifasciste -
che hanno caratterizzato le lotte di classe, sociali e di massa specie dalla
Resistenza al 1975 - , già operato da Occhetto in poi da tutta la “sinistra”.
Con ciò di fatto, mostrandosi disposto come fino ad ora ha fatto tutta la
“sinistra parlamentarista”, a delegittimare e a sbaraccare anche la democrazia
sociale e antifascista e quindi ad avvallare il disegno reazionario che invece
l’elettorato popolare e operaio il 25-26 giugno, nonostante l’inanità
dell’opposizione sindacale e politica della “sinistra parlamentaristica”, ha
respinto dicendo un No forte e chiaro al progetto di “revisione costituzionale”
destinato a sconvolgere il sistema sociale e non solo politico che con la
Resistenza e il “patto” tra i grandi partiti di massa era stato avviato a un
processo di democratizzazione, subito contrastato con ogni mezzo – occulto e
palese – dalle forze del capitalismo internazionale e nazionale interessate ad
equiparare l’ostracismo al comunismo con la lotta al nazi-fascismo condotta sul
piano ideologico e militare dalle “democrazie” sia “liberale” che
“socialdemocratica”.
Ciò perché al coperto dell’abbandono della teoria nell’unità della storia e quindi del marxismo (come
teoria critica e organica della teoria economica e del potere borghese) che
Rinaldini vuol coprire proponendo
la “rottura” con il 900 che siamo noi e con l’unità della storia da cui non si
può cancellare niente perché il tempo storico è una continuità che non permette
di distinguere e separare niente ed è anche la pregiudiziale di una teoria, ci
si omologa ad una concezione della Costituzione del tutto deformata dalle forze
padronali e dalla cultura d’impresa e liberale, volte a cancellare le differenze
di classe che in vario modo condizionano le dinamiche sociali e
politico-istituzionali nei diversi ordinamenti di un Europa che continua a
presentare nella vita collettiva conflitti frenati dalle rispettive forme di
governo, ma che per abbandono e mancanza di una teoria critica e organica del
potere borghese e per l’accettazione del revisionismo storiografico e teorico,
le forze politico-sindacali della sinistra italiana non sanno più identificare e
distinguere le differenze che corrono tra il nostro ordinamento e la radicale
semplificazione antidemocratica perché antisociale dei governi di gabinetto come governo
del premier, in quanto però capo del partito vincitore delle elezioni con il
sistema maggioritario/uninominale che consente la conquista della maggioranza
assoluta di seggi anche quando abbia avuto il sostegno della minoranza
dell’elettorato, a danno dlela maggioranza e quindi della socialità popolare,
come accadde con la Legge Acerbo del 1923, il capolavoro che più della marcia su
Roma consentì poi l’instaurazione del premierato e del regime “del capo di
governo” quale era appunto detto il
fascismo.
Svilimento della democratizzazione e socializzazione ad opera dei vertici
della “sinistra” politica e sindacale e i pericoli di
para-fascismo
Tutto ciò come del resto la democrazia e la differenza
tra democrazia liberale e sociale e tra democrazia formale o sostanziale, non
riguarda solo le forze politiche e tanto meno i giuristi ma le forze sindacali e
sociali, perché è proprio in una voluta separatezza della politica dal sociale
eguale e contraria a quella che è stata l’intima connessione tra il popolo
sovrano e l’assemblea costituente, mantenuta in tutto l’arco di tempo che va dal
1944 al 1948, che è iniziato un indirizzo contriformatore che ha inciso e incide
sul catastrofico scollamento fra lavoratori e politica che lo stesso leader
della Fiom registra con sconcerto senza saper coglierne le scaturigini e senza
criticare il “revirement teorico” della sinistra e del sindacata non più di
classe, che porta ad una situazione di sostanziale equivalenza tra gli effetti
del suffragio “censitorio” e poi maggioritario che escludeva dai diritti
politici il proletariato ottocentesco così come oggi si arriva alla progressiva
autoesclusione dal voto – con l’astensionismo – da parte di un elettorato
popolare che rifiuta di dare fiducia ad un sistema voluto dalla sinistra e anche
dalla CGIL che lo esclude
dall’arena politico-istituzionale, in cui i processi di democratizzazione e
socializzzione risultano sviliti da parte dei vertici delle formazioni politiche
e sindacali della c.d sinistra interessati solo a stare al governo e a
considerare amico il governo, interpreti di un nuovo trasformismo a cui si
acconciano occupando posti di
privilegio nel “palazzo”, incuranti
dei prezzi posti a carico dei gruppi sociali che solo verbosamente tali vertici dichiarano di
volerli rappresentare.
La normalizzazione
della vita sociale che si attua con la verticalizzazione della dialettica
sociale e politica e la simbiosi tra vertici politico-istituzionali di governo e
vertici del sistema d’impresa, comporta che si apra allora una discussione di
massa sulla democrazia, rifiutando meccanismi più o meno “plebiscitari” come le
primarie e le forme volte ad
accattivare – anche nel sindacato - un consenso passivo nell’interesse di
ambizioni di comando dall’alto e
contrapponendovi gli istituti di “partecipazione” idonei a spostare
l’asse dei poteri di partiti, sindacati e istituzioni, verso la
base.
Ricordando sempre che Il NO dello scorso giugno, è stata una
diffida a tutti i vertici politico-sindacali che tacciono o parlano ma comunque
– anche facendo “una sinistra a sinistra del Pd – colpiscono i lsistema sociale
e politico sorto dalla Resistenza e tramano per una restaurazione “europeista” e
conformare la nostra democrazia al liberalismo e ai sistemi liberal-autoritari
Nord atlantici e del continente europeo: che ricopiati in forme meno mistificate
nei Paesi dell’Est hanno conformato dei regimi esplicitamente detti di tipo para
fascistico sul piano dei rapporti politici e di produzione, con forme di tratta e di
lavoro persino schiavistico, nel cuore dell’Europa, non nel Sud Est asiatico o
in Asia o nel “primo” e vero “unico” mondo c.d. “terzo
mondo”.
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