La costituzione da difendere.....

Movimento Nazionale Antifascista per la Difesa IntegraleRilancio della Costituzione

 
Il MODELLO CHE HA TROVATO CONFERMA NEL REFERENDUM POPOLARE E' UN MODELLO ASSOLUTAMENTE UNICO NEL PANORAMA INTERNAZIONALE PERCHE' HA DATO UNA VERSIONE ISTITUZIONALE ALLA STRATEGIA SOCIALE DELL'ANTIFASCISMO ANTI CAPITALISTICO, FUORI DAGLI SCHEMI DELLA LIBERAL-DEMOCRAZIA SU CUI SI REGGONO I SISTEMI ISTITUZIONALI E ECONOMICI OCCIDENTALI - EUROPEI E "ATLANTICI".

Ricordare sempre che Il NO del giugno 2006 , è stata una diffida a tutti i vertici politico-sindacali che tacciono o parlano ma comunque – anche facendo “una sinistra a sinistra del Pd – colpiscono il sistema economico-sociale e politico sorto dalla Resistenza e tramano per una restaurazione “europeista” e conformare la nostra democrazia al liberalismo e ai sistemi liberal-autoritari Nord atlantici e del continente europeo: che ricopiati in forme meno mistificate nei Paesi dell’Est, hanno conformato dei regimi esplicitamente detti di tipo para fascistico sul piano dei rapporti politici e di  produzione, con forme di tratta e di lavoro persino schiavistico, nel cuore dell’Europa, non nel Sud Est asiatico o in Asia o nel “primo” e vero “unico” mondo c.d. “terzo mondo”.

Occorre sapere – e spiegare a chi l’ignora - che la Carta costituzionale che è stata rilegittimata e il modello che ha trovato conferma nel referendum popolare che ha respinto la sua revisione, è un modello assolutamente unico nel panorama internazionale in quanto e perché ha dato una versione istituzionale alla strategia sociale dell’antifascismo anticapitalistico, fuori dagli schemi della liberal-democrazia su cui si reggono i sistemi istituzionali e economici occidentali.
Modelli Occidentali che, in realtà, non sono democrazia ma liberalismo, regime dove non c’è il pluralismo proporzionalistico e come tale anche sociale e non solo politico; e al posto dei partiti ci sono i gruppi di potere delle corporazioni di interessi privati d’impresa industriale e finanziaria: con forme di rappresentanza  non già anche sociali e di classe ma solo di “ceto politico” appartenente ad una sola classe, e al partito unico di governo, che si divide, formalmente, nella DIADE destra/sinistra che occupa l’arena parlamentare, escludendo classe operaia, lavoratori e i ceti popolari e chi collide col sistema capitalistico, viceversa, includendo chi al di la dei nomi che porta, e di ciò che dice, accetta di partecipare al governo avendo è preventivamente tutti optato – e quotidianamente lo ribadiscono – per i valori del mercato, in sintonia con i potentati economico-finanziari.  Gestione di un partito unico di governo dove la Casta politica subalterna alla Casta economica, la vera Casta oligarchica: le due caste che storicamente il bipolarismo maggioritario produce). Questo in omaggio a quella che è l’anglofona teoria del sistema maggioritario della società omogenea,  secondo cui - e come avveniva anche da noi nell’800 - la società deve essere rappresentata istituzionalmente come omogena, appunto, e non esprimere e rappresentare il pluralismo sociale e di classe che l’attraversa.

Premessa tanto più importante da ricordare, di fronte alla gravità delle recenti affermazione del leader della Fiom che “spostandosi” o “allineandosi” al “revisionismo storiografico”, che è volto a delegittimare e addirittura a criminalizzare l’idea stessa delle rivoluzione non solo socialista ma sinanco quella “democratica e antifascista” da cui appunto origina il modello di cui sopra, dimostra che non è più rinviabile l’apertura di un dibattito teorico che coniughi la critica a tale revisionismo storiografico alla critica del revisionismo teorico che già avevamo detto che si annida nel primo, e di cui il segretario della Fiom ci ha dato conferma. Infatti, dimostrando di non conoscere il significato storico e teorico della parola “sinistra” espressione pre-fascista e puramente “parlamentaristica” ed evidentemente non sapendo che il fascismo e venuto dopo la crisi del “giolittismo” e appunto del “sinistrismo”, si avventura - forse su suggerimento della voce fuori campo di chi è a lui strettamente vicino -, in antistoriche affermazione come per dire “chiudiamo col 900” per pensare cosa è   la “sinistra”, una “nuova sinistra” sic, assumendo cioè il netto disancoramento dalle tendenze teorico-politiche specie di quelle antifasciste che hanno caratterizzato le lotte di classe, sociali e di massa dalla Resistenza al 1975, già operato da Occhetto in poi da tutta la “sinistra”. Mostrandosi disposto, come fino ad ora ha fatto tutta la “sinistra parlamentarista”, a delegittimare e a sbaraccare e quindi ad avvallare quanto il voto dell’elettorato popolare e operaio il 25-26 giugno ha invece respinto nonostante l’inanità dell’opposizione sindacale e politica della “sinistra parlamentaristica”: e cioè il progetto di “revisione costituzionale” destinato a sconvolgere il sistema sociale e non solo politico che con la Resistenza e il “patto” tra i grandi partiti di massa era stato avviato a un processo di democratizzazione, subito contrastato con ogni mezzo – occulto e palese – dalle forze del capitalismo internazionale e nazionale interessate ad equiparare l’ostracismo al comunismo con la lotta al nazi-fascismo condotta sul piano ideologico e militare dalle “democrazie” sia “liberale” che “socialdemocratica”.

Una coltre di silenzio lunga un anno

A un anno dal referendum del 25-26 giugno dello scorso anno, i pericoli nascosti dietro la coltre di silenzio che è stata calata sul suo esito sono emersi nella loro gravità in due interviste, diverse tra loro ma complementari di D’Alema al Corsera e del leader della Fiom a Liberazioni. Il primo mostrando l’indifferenza se non il disprezzo per l’elettorato popolare che ha rilegittimato la Carta del 1948, ha riproposto tutto ciò a cui il popolo ha detto NO solo 1 anno fa. Il secondo nel mentre stesso che parla di scollamento tra lavoratori, politica e istituzioni tace che proprio a questo mirava e mira l’indirizzo controriformatore che ha preso avvio in modo strisciante alla fine degli anni 70, iniziato sulla spinta del craxismo a cui via via hanno dato il consenso o aderito o portato il proprio contributo e mattoncino: Occhetto e i vertici CGIL; D’Alema  con Berlusconi con cui torna intimo in questi giorni delle “telefonate” come ai tempi del patto della “crostata” bonapartista in casa Letta che diede l’avvivo alla famigerata Bicamerale D’Alema; Bertinotti e a quanto pare – se non ne è consapevole è ancora più grave – lo stesso leader della Fiom, che senza fare due più due non riesce a mettere in relazione e a cogliere il rapporto tra il sociale e l’istituzionale come se questo fosse solo norme. Cioè non coglie “la questione sociale”, cioè il nesso tra rapporti di produzione e rapporti politici anticipati già dal 1848 nel Manifesto in cui la “globalizzazione” è fondamento della teoria di Marx, via via sviluppata dall’esperienza storica e teorica delle masse e delle forze della sinistra non più parlamentarista ma rivoluzionaria come si diceva dal 1945 in poi. E per ciò Rinaldini, non sapendo cogliere “la questione sociale” che il fascismo aveva saputo ben cogliere al punto da fare una cosa uguale e contraria al consigliarismo come il corporativismo, per scopi opposti al comunismo ma sapendo e riconoscendo l’importanza delle masse e il peso del sociale nell’istituzionale e nella politica, come pare oggi non sappia fare il leader della Fiom che in un tale sbandamento storico e teorico, non sapendo più che fare e che dire, non trovano di meglio riproporre una “sinistra a sinistra del partito democratico” e di rompere e cancellare il 900 – come se si potesse - di cui evidentemente non capiscono nulla di ciò che è avvnuto: quindi non capiscono perché oggi perdono e con loro perdono i lavoratori e la democrazia, perché non hanno capito e non capiscono perché prima vincevano.
Quindi non sapendo cosa era e come è venuto il fascismo non  sanno cos’è l’antifascismo e quindi la Carta che è stata rilegittimata dal voto dell’elettorato operaio e popolare che come in Francia, non trovando alcuna rappresentatività nella sinistra è tornato a votare a destra e in particolare nel Nord operaio per quel sociale di destra che è la Lega che imita il rapporto sociale e di massa che avevano i partiti antifascisti e che non hanno più i vertice di potere dell’attuale “sinistra” pre-fascista che per ciò tacciono - come i vertici della “gauce” francese sconfitti dal No popolare e dal basso alla Costituzione -, di quel vibrante NO, uniformemente distribuito in tutto il paese che con la carica dell’imprevisto e la incisività del suo radicamento ha espresso la stessa potenzialità unificante del NO al “trattato di costituzione europea” ma che ne in Francia ne in Italia i vertici della “sinistra” sia politica che sindacale, anche di quella ottecentesca e “radical laicista” come Rifondazione e a quanto pare quelli della stessa Fiom non hanno saputo interpretare ne tanto meno rappresentare.
Un No operaio e popolare che superando la frammentazione individualistica latente nell’istituto referendario e  riponendo al centro della politica l’unità del cervello sociale” del Paese, è suonato come  diffida popolare a tutti gli occhiuti vertici di stato, partiti e sindacati che hanno tramato e tramano nel chiuso del “palazzo” per allineare il sistema istituzionale e quindi sociale e politico italiano, al modello istituzionale-sociale-politico degli altri Paesi occidentali  già conformi al conclamato “deficit democratico” della “costruzione” europea.
Stava alla cultura democratica e ai movimenti in lotta sui vari fronti del conflitto di classe, e quindi anche al sindacato e anche alla Fiom, assumere la diffida popolare di un anno fa come asse di una strategia non più meramente di “difesa” ma di “rilancio dei principi e dei valori della democrazia sociale sorta nel 900 nel vivo di una lotta sociale e politica che ha animato la storia della crisi del liberalismo e della Resistenza e che sono sotto attacco in modo diretto con la legislazione controriformatrice che da quando è stata istituita la c.d. legge finanziaria sta portando ai suoi sbocchi finali la distruzione degli istituti di garanzia del lavoro e del salario sociale che erano stati conquistati quando si perseguivano quegli obbiettivi e strategie di controllo sociale e politico dell’accumulazione d’impresa iscritte nel sistema di democrazia organizzata e antifascista con cui anche si chiuderebbe (come sarebbe stato se passava la “revisione costituzionale” di Berlusconi) chiudendo - come si dice – “con tutto il 900“: “tutto”.

Respinte le smanie neo-autoritarie di destra e sinistra

Viceversa, solo un anno fà,  il popolo ha detto l’opposto delle interviste di D’Alema e Rinaldini. Occorre allora dare piena evidenza ed importanza alla dimensione della partecipazione e all’esito del voto con cui il popolo, alla  seconda occasione presentatasi – dopo quella del 2001 -  ha intercettato e respinto in blocco le smanie neo-autoritarie del centrodestra e del centrosinistra (quindi anche della “sinistra a sinistra del Pd”) a favore del “premierato”, istituto che nel 1925 era stato introdotto dall’arrembante fascismo mussoliniano), cogliendo, intercettando e respingendo con il voto le insidie della combinazione tra “premierato” e “devoluzion federalista”.
Nella valutazione di questo va tenuto presente che è stato ottenuto da un Un popolo abbandonato dai partiti ormai snaturatisi da forma della rappresentanza popolare a “lobbies” interessate, da un lato, solo alle “passività” del consenso (che non è democrazia, come ricordava Gramsci a proposito anche del fascismo) delle cosiddette “primarie” ad un tempo populistiche e “codiste” e che irridono alla sovranità popolare e, dall’altro lato, a combinare  “affaire”, come casta subalterna a quella industrial-finanziaria, coi suoi tecnici e manager d’impresa, accademici e faccendieri, ecc., cioè “affaire” con l’altra vera casta dell’oligarchia che, storicamente e inevitabilmente, il “bipolarismo” maggioritario produce e di cui è piena la cronaca anche di questi giorni.
Ciò nonostante a dispetto di quanto avvenuto nel 2001 – quando il centrosinistra chiamò a confermare la revisione con cui, con soli 4 voti di scarto, impose l’avvio del “federalismo”, in un ordinamento dal quale mancavano tutti i presupposti   socio/politici stante la tradizione civile unitaria e autonomistica fatta valere alla Costituente dai partiti di ispirazione marxista – contro il risicato 34% di allora, c’è stato un ben più significativo 54%, imponendo un quorum non previsto.  Accentuando così il significato di un voto che è valso a respingere: 1) l’incombente disegno reazionario della “casa delle libertà” che puntava a sviluppare la tendenza spianata nel 2001 dal centrosinistra vanamente proteso a contendere alla Lega Nord le velleità federaliste, per completare il disegno di delegittimazione della Costituzione del 1948 portando alle estreme conseguenze a linea della Bicamerale di D’Alema; 2) a rovesciare l’indirizzo controriformatore e di delegittimazione della Costituzione, iniziato in modo strisciante alla fine degli anni 70 sulla spinta del craxismo e poi ripresa, appunto, dalla Commissione D’Alema dalla quale Berlusconi ha tratto la proposta dell’endiade federalismo/presidenzialismo del premierato ”forte”.
Endiade respinta dall’elettorato popolare con intuizione di massa della reale posta in gioco riguardante la stabilità non già dei “governi” ma della “democrazia”, ma che D’Alema ha riproposto in toto sul Corsera dichiarando “non chiedo la dittatura però…” - confermando la posta in gioco di cui sopra – arrivando a proporre soluzioni para dittatoriali: affiancando un pacchetto di riforme costituzionali” ad “una riforma elettorale che porti ad un rafforzamento dell’esecutivo”, relegando il senato al ruolo di assemblea dei notabili con il “superamento del bicameralismo” (come propone anche RC con capi in testa gli ex DP dei “due” Russo (Spena e Franco) e il cesarismo che chiamano la “crostata” (dal patto fatto in casa Letta) ma è il presidenzialismo del premierato “forte”. 
 In tal modo attualizzando nella crisi politica di questo inizio secolo,  una rilettura del nesso (di continuità) tra autoritarismo e totalitarismo che fu la base dell’alterazione dell’organizzazione del potere che dalla crisi d’inizio secolo scorso portarono alla dittatura, e svelando: a) l’ipocrita  schermaglia che al premierato “forte” di Berlusconi opponeva un premierato c.d. “relativo” da parte dell’Unione e dei vertici Pds-Ds e Ppi-Margerita, ora sul punto di fondersi in un Pd che Bertinotti incoraggia “a fare presto e bene” perché, dice, “aiuterebbe anche noi a  cambiare progetto” (cioè, diciamo noi, alla pseudo sinistra “radical-laicista” di assumere il ruolo dei DS); b) che continua il “lavorio” di tutte le forze politiche che hanno accettato di riprendere il ruolo di “sinistra parlamentaristica” proprio del costituzionalismo liberale, ottocentesca e pre-fascista “legata agli interessi bancari e agrari…impegnata ad accrescere anziché limitare la libertà economica… di cui faceva parte l’Estrema sinistra radicale” (Candeloro, Storia dell’Italia moderna vol.VI pagg.82,83,84); c) che tali forze continuano a ripudiare la forma di governo imperniata sulla “centralità” del parlamento perché innescata sul ruolo della “democrazia organizzata” dai partiti e dalle forze sociali, e proseguono nella linea di spregiudicata “verticalizzazione” delle istituzioni e del sistema di governo già anticipata con il “bipolarismo” maggioritario in sede nazionale, e con l’elezione diretta di sindaco, presidente di provincia e presidente di Regione in sede locale.

Quale modello è stato rilegittimato dal referendum
Quel che quindi va sottolineato, è che la Carta costituzionale che il popolo ha rilegittimato e il modello di forma di governo elaborato dai Costituenti e che ha trovato conferma nel referendum popolare che ha respinto la sua revisione, è assolutamente unico e completamente originale nel panorama internazionale perché difforme dai modelli di tutte le forme di govenro adottate nell’Europa continentale, sia prima che dopo il 1945 e la sconfitta del nazi-fascismo. E ciò perché è l’unico che ha dato una versione istituzionale della strategia sociale dell’antifascismo anticapitalistico,. Fuori cioè dagli schemi della c.d. “liberal-democrazia” su cui si reggono variamente imitato particolarmente dai sistemi politico-istituzionali di Germania, Spagna, Portogallo, Grecia e Francia dove il “rassemblement” presidenzialista della “gauche” francese non ha voluto assumere e rappresentare il NO popolare e operaio alla c.d. “Costituzione UE” - che “dal basso” ha sconfitto i vertici europeisti della social-gollista della diade destra/sinistra - e le lotte operaie contro il Contratto di primo impiego (Cpe) scaturite da quel NO. Si che ponendosi sullo stesso terreno europeista e di destra di Sarkosy – che parla e agisce come un parafascista dell’epoca in cui il fascismo scompaginava e usava liberali e cattolici popolari – è stata sconfitta come mai prima. Cosi come tutta la sinistra italiana non ha voluto e non vuole assumere il No popolare dello scorso giugno e come la stessa Rifondazione, come in Francia Lotte Ouvriere, si pone sul terreno di un europeismo restauratore di forme istituzionali dei sistemi “liberal-democratici” che, in realtà, non sono democrazia ma liberalismo.
In quanto sono regimi dove non c’è il pluralismo proporzionalistico come tale anche sociale e non solo politico, e al posto dei partiti ci sono i gruppi di potere delle corporazioni di interessi privati d’impresa industriale e finanziaria. Con forme di rappresentanza  non già anche sociali e di classe ma solo di “ceto politico” appartenente ad una sola classe, e al partito “unico” di governo che si divide in destra/sinistra che occupa l’arena parlamentare escludendo i lavoratori e i ceti popolari e chi collide col sistema capitalistico e includendo chi al di la dei nomi che porta e di ciò che dice accetta di partecipare al governo avendo preventivamente tutti optato – e quotidianamente lo ribadiscono – per i valori del mercato, in sintonia con i potentati economico-finanziari.  Questo in omaggio a quella che è l’anglofona teoria del sistema maggioritario della società omogenea,  secondo cui e come avveniva anche da noi nell’800, la società deve essere rappresentata istituzionalmente come omogenea, appunto, e non esprimere e rappresentare il pluralismo sociale e di classe che l’attraversa.

Revisionismo costituzionale e revisionismo storiografico e teorico
Tutto questo è tanto più importante da ricordare, a fronte della gravità delle recenti affermazione del leader della Fiom che “spostandosi” o “allineandosi” al “revisionismo storiografico”, che è volto a delegittimare e addirittura a criminalizzare l’idea stessa delle rivoluzione non solo socialista ma sinanco quella “democratica e antifascista” da cui appunto origina il modello di cui sopra, dimostra che non è più rinviabile l’apertura di un dibattito teorico che coniughi la critica a tale revisionismo storiografico alla critica del revisionismo teorico che già avevamo detto che si annida nel primo, e di cui il segretario della Fiom ci ha dato conferma. Infatti, dimostrando di non conoscere il significato storico e teorico della parola “sinistra” espressione pre-fascista e puramente “parlamentaristica” ed evidentemente non sapendo che il fascismo e venuto dopo la crisi del “giolittismo” e appunto del “sinistrismo”, si avventura - forse su suggerimento della voce fuori campo di chi è a lui strettamente vicino -, in antistoriche affermazione come per dire “chiudiamo col 900” per pensare – dice - cosa è la “sinistra” e una “nuova sinistra”- sic -  che assumerebbe così il netto disancoramento dalle tendenze teorico-politiche specie di quelle antifasciste - che hanno caratterizzato le lotte di classe, sociali e di massa specie dalla Resistenza al 1975 - , già operato da Occhetto in poi da tutta la “sinistra”. Con ciò di fatto, mostrandosi disposto come fino ad ora ha fatto tutta la “sinistra parlamentarista”, a delegittimare e a sbaraccare anche la democrazia sociale e antifascista e quindi ad avvallare il disegno reazionario che invece l’elettorato popolare e operaio il 25-26 giugno, nonostante l’inanità dell’opposizione sindacale e politica della “sinistra parlamentaristica”, ha respinto dicendo un No forte e chiaro al progetto di “revisione costituzionale” destinato a sconvolgere il sistema sociale e non solo politico che con la Resistenza e il “patto” tra i grandi partiti di massa era stato avviato a un processo di democratizzazione, subito contrastato con ogni mezzo – occulto e palese – dalle forze del capitalismo internazionale e nazionale interessate ad equiparare l’ostracismo al comunismo con la lotta al nazi-fascismo condotta sul piano ideologico e militare dalle “democrazie” sia “liberale” che “socialdemocratica”.
Ciò perché al coperto dell’abbandono della teoria nell’unità della  storia e quindi del marxismo (come teoria critica e organica della teoria economica e del potere borghese) che Rinaldini  vuol coprire proponendo la “rottura” con il 900 che siamo noi e con l’unità della storia da cui non si può cancellare niente perché il tempo storico è una continuità che non permette di distinguere e separare niente ed è anche la pregiudiziale di una teoria, ci si omologa ad una concezione della Costituzione del tutto deformata dalle forze padronali e dalla cultura d’impresa e liberale, volte a cancellare le differenze di classe che in vario modo condizionano le dinamiche sociali e politico-istituzionali nei diversi ordinamenti di un Europa che continua a presentare nella vita collettiva conflitti frenati dalle rispettive forme di governo, ma che per abbandono e mancanza di una teoria critica e organica del potere borghese e per l’accettazione del revisionismo storiografico e teorico, le forze politico-sindacali della sinistra italiana non sanno più identificare e distinguere le differenze che corrono tra il nostro ordinamento e la radicale semplificazione antidemocratica perché antisociale  dei governi di gabinetto come governo del premier, in quanto però capo del partito vincitore delle elezioni con il sistema maggioritario/uninominale che consente la conquista della maggioranza assoluta di seggi anche quando abbia avuto il sostegno della minoranza dell’elettorato, a danno dlela maggioranza e quindi della socialità popolare, come accadde con la Legge Acerbo del 1923, il capolavoro che più della marcia su Roma consentì poi l’instaurazione del premierato e del regime “del capo di governo” quale era appunto detto il fascismo.

Svilimento della democratizzazione e socializzazione ad opera dei vertici della “sinistra” politica e sindacale e i pericoli di para-fascismo
Tutto ciò come del resto la democrazia e la differenza tra democrazia liberale e sociale e tra democrazia formale o sostanziale, non riguarda solo le forze politiche e tanto meno i giuristi ma le forze sindacali e sociali, perché è proprio in una voluta separatezza della politica dal sociale eguale e contraria a quella che è stata l’intima connessione tra il popolo sovrano e l’assemblea costituente, mantenuta in tutto l’arco di tempo che va dal 1944 al 1948, che è iniziato un indirizzo contriformatore che ha inciso e incide sul catastrofico scollamento fra lavoratori e politica che lo stesso leader della Fiom registra con sconcerto senza saper coglierne le scaturigini e senza criticare il “revirement teorico” della sinistra e del sindacata non più di classe, che porta ad una situazione di sostanziale equivalenza tra gli effetti del suffragio “censitorio” e poi maggioritario che escludeva dai diritti politici il proletariato ottocentesco così come oggi si arriva alla progressiva autoesclusione dal voto – con l’astensionismo – da parte di un elettorato popolare che rifiuta di dare fiducia ad un sistema voluto dalla sinistra e anche dalla CGIL  che lo esclude dall’arena politico-istituzionale, in cui i processi di democratizzazione e socializzzione risultano sviliti da parte dei vertici delle formazioni politiche e sindacali della c.d sinistra interessati solo a stare al governo e a considerare amico il governo, interpreti di un nuovo trasformismo a cui si acconciano  occupando posti di privilegio nel “palazzo”, incuranti  dei prezzi posti a carico dei gruppi sociali che solo  verbosamente tali vertici dichiarano di volerli rappresentare.
            La normalizzazione della vita sociale che si attua con la verticalizzazione della dialettica sociale e politica e la simbiosi tra vertici politico-istituzionali di governo e vertici del sistema d’impresa, comporta che si apra allora una discussione di massa sulla democrazia, rifiutando meccanismi più o meno “plebiscitari” come le primarie e le  forme volte ad accattivare – anche nel sindacato - un consenso passivo nell’interesse di ambizioni di comando dall’alto e  contrapponendovi gli istituti di “partecipazione” idonei a spostare l’asse dei poteri di partiti, sindacati e istituzioni, verso la base.
Ricordando sempre che Il NO dello scorso giugno, è stata una diffida a tutti i vertici politico-sindacali che tacciono o parlano ma comunque – anche facendo “una sinistra a sinistra del Pd – colpiscono i lsistema sociale e politico sorto dalla Resistenza e tramano per una restaurazione “europeista” e conformare la nostra democrazia al liberalismo e ai sistemi liberal-autoritari Nord atlantici e del continente europeo: che ricopiati in forme meno mistificate nei Paesi dell’Est hanno conformato dei regimi esplicitamente detti di tipo para fascistico sul piano dei rapporti politici e di  produzione, con forme di tratta e di lavoro persino schiavistico, nel cuore dell’Europa, non nel Sud Est asiatico o in Asia o nel “primo” e vero “unico” mondo c.d. “terzo mondo”.

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