Ue, euro e la dittatura dei padroni
Parlare di
uscita dall’Ue e dall’euro è ormai una priorità anche se gli
argomenti ricorrenti sono per lo piu’ ideologici e di scarso aiuto
per costruire una lettura critica della realtà. Italia, Germania,
Francia e Gb sono contributori netti , versano alle casse europee
piu’ di quanto ricevono, a dirlo non siamo noi ma i dati
disponibili per quanto fermi al 2012 , non aggiornati per scelta
politica oscurantista (la conoscenza è un’arma pericolosa per
quanti da anni propinano narrazioni a senso unico). La differenza è
di oltre 5 miliardi e 200 milioni di euro, l’Italia è il terzo
contribuente netto dell’Ue, evidente è la sproporzione tra costi e
benefici. Ma il discorso per Francia , Germania(in primis) e Gb è
ben diverso.
Rigidi
limiti fiscali, il Fiscal compact determina la fine di ogni residua
democrazia parlamentare, il pareggio di bilancio è l’imperativo
categorico a cui sottostare, politiche di austerità sottoposte a un
rigido controllo da burocrati europei che impongono le politiche ai
governi nazionali indicando i contenuti delle manovre economiche.
La Grecia
era esposta rispetto alle banche europee, la Troika ha rilevato il
debito (delle banche tedesche per lo piu’) e per “salvare” il
paese ha dettato le scelte da operare tra privatizzazioni, draconiani
tagli alla spesa sociale, svendita del patrimonio nazionale, un aiuto
europeo al sistema bancario che ha salvato quest’ultimo da una
esposizione preoccupante ma allo stesso tempo ha messo in ginocchio
l’economia di un paese.
Da anni
ormai non sono possibili politiche economiche pensate in autonomia e
solo nell’interesse di un paese, la fine della sovranità nazionale
è evidente, da qui la spinta a porre fine alle costituzioni
nazionali come quella italiana giudicata troppo sfavorevole al
mercato.
E’ fallita
la pia illusione di una Europa federale unita, è fallita quella idea
che presentava Maastricht come percorso politico comune a
salvaguardia del welfare, delle economie nazionali, la retorica
imperante dei primi anni è franata miseramente, i soldi europei sono
finalizzati a correggere i fallimenti del dio
mercato, a salvaguardare i capitali a
rischio, a contenere il deficit a discapito di investimenti
strutturali per favorire la domanda da cui dovrebbe dipendere la
ripresa di una economia stagnante.
Una
ristretta burocrazia europea valuta i programmi di aiuto per i
singoli paesi, le norme comunitarie anti concorrenza sono costruite
per favorire i grandi capitali con una lunga serie di divieti imposti
agli aiuti di stato nel rispetto dei rigidi vincoli imposti al
rapporto debito\PIL.
La
discussione in corso all’Interno dell’Ue riguarda questi vincoli
che alcuni paesi, per esempio l’Italia alle prese con crescita
zero, si vorrebbero allentare in cambio di politiche in materia di
welfare, lavoro sempre piu’ ostili alle classi lavoratrici e ai
ceti sociali meno abbienti. Uno scambio ineguale all’orizzonte tra
norme meno rigide in cambio di una forte contrazione delle spese
sociali, sanitarie e di una contrattazione sindacale appiattita sul
secondo livello.
Quando
parliamo di Europa a trazione tedesca pensiamo ai costanti interventi
dell’Ue a limitare ammortizzatori sociali, al contrario in
Germania non sono mancati aiuti di stato, aiuti anche in violazione
di quelle norme che prevederebbero in teoria il divieto a utilizzare
risorse statali per favorire alcune imprese o produzioni violando
cosi’ il principio della cosiddetta concorrenza.
In questi
anni abbiamo avuto paesi che hanno attirato capitali stranieri in
cambio di una irrilevante tassazione (Irlanda per esempio), altro
ragionamento va fatto per la riduzione del costo del lavoro; la
Germania è intervenuta a piu’ riprese per compensare la riduzione
del potere di acquisto dei salari con misure di sostegno al reddito
per mantenere alta la domanda, interventi invece negati invece ad
altri paesi.
Ancora più
evidenti sono gli aiuti di stato al sistema bancario, non a caso gli
istituti finanziari tedeschi sono tra i piu’ forti e attivi del
mondo e innumerevoli sono state le deroghe ai divieti di aiuto dello
stato per la tenuta del “sistema”. Aiuti interessati indirizzati
a salvaguardare le banche assicurando ben poche tutele ai piccoli
correntisti anche se norme europee esistenti prevedono, in teoria, il
deciso e prioritario interevento degli azionisti per salvare gli
istituti di credito e le banche.
Sono
migliaia i piccoli risparmiatori truffati che rivendicano giustizia,
una giustizia che tarda ad arrivare mentre i responsabili di questa
situazione possono dormire sonni tranquilli.
Veniamo
invece ai finanziamenti europei a favore dei progetti, lungo sarebbe
il discorso citando trattati e fonti del diritto comunitario. Quello
che ci interessa è verificare il ritorno in Italia di investimenti
comunitari. Se pensiamo a appalti e progetti che coinvolgono enti ed
imprese italiane i vantaggi sono ben pochi se paragonati a Francia,
GB, Germania; il valore medio del finanziamento ottenuto da una
azienda o ente italiano è la metà di quello ottenuto dai patners
dei paesi prima menzionati. Da qui nasce l’idea di costruire grandi
aziende nazionali, da qui nascono i processi di fusione e la riforma
in materia di partecipate, costruire aziende in grado di competere a
livello europeo, non importa se cosi’ distruggeremo posti di lavoro
e investimenti pubblici.
I
finanziamenti comunitari non sono finalizzati a sostenere le economie
nazionali ma a controllare la spesa dei singoli stati; la tenuta del
sistema a trazione tedesca necessita proprio delle attuali regole
europee e ogni singolo paese dovrà seguire i dettami della troika,
anzi chi si sottrae alle regole dettate viene sottoposto a controlli
rigidi e a ricatti continui. In questo scenario si riscrivono le
costituzioni nazionali e la insistenza di Renzi e dei poteri forti
per la cancellazione delle parti avanzate della costituzione italiana
è sempre piu’ palese.
Ovviamente
la moneta unica è indispensabile perché adottare l’euro impedisce
ai paesi piu’ deboli, tra i quali il nostro, di usare la
svalutazione monetaria come strumento di stabilizzazione
dell’economia, di ripresa della domanda ..
Negli ultimi
lustri i finanziamenti comunitari non sono serviti ad aiutare i paesi
ma ad affossarli, quelle nazioni che ne hanno maggiormente
beneficiato hanno fatto a gara per ridurre le tutele, il welfare, la
sanità, hanno privatizzato e svenduto il patrimonio nazionale, le
decisioni che contano sono state demandate al capitale
internazionale, sono nazioni ormai senza sovranità. Si è così
alimentata la sperequazione economica e le aree periferiche dell’Ue
sono quelle a maggior rischio recessione e instabilità sociale.
La tenuta
del sistema Eu è il principale ostacolo alla tutela dei salari e
delle pensioni, prenderne atto significa non subire le politiche di
pareggio del bilancio, di riduzione del welfare, di smantellamento
del contratto nazionale a favore di previdenza e sanità integrative
I programmi
europei non determinano il rilancio dell’economia, il nostro paese
ha piu’ costi che benefici, la spesa pubblica viene ridimensionata
e soprattutto indirizzata a sostegno delle imprese
Da qui
bisogna ripartire per un ragionamento complessivo su come costruire
il conflitto tra capitale e lavoro e per dare vita a percorsi e
strumenti di resistenza attiva
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