Se questo è un operaio


- Moni Ovadia, 07.09.2016
Pomigliano. Il dramma dimenticato dei lavoratori licenziati da Marchionne dopo le proteste per le
condizioni di lavoro in fabbrica
La vicenda dei lavoratori della Fca (già Fiat) di Pomigliano-Nola che si sono suicidati o hanno
commesso gesti estremi a causa del perdurare di condizioni di lavoro insostenibili sul piano
materiale e psicologico è nota ai lettori di questo giornale, così come è conosciuto «l’happening» che
ha messo in scena la rappresentazione del suicidio dell’Ad Sergio Marchionne per «estremo
rimorso», azione di provocazione e di satira atta ad evocare i gesti disperati dei compagni di lavoro.
Questa rappresentazione ha dato il motivo all’azienda di licenziare gli operai che hanno inscenato il
suicidio in effigie di Sergio Marchionne.
I lavoratori licenziati si sono rivolti al tribunale del lavoro per per fare revocare il provvedimento che
a mio parere ha tutti i tratti della rappresaglia. Il tribunale del lavoro, sia in primo grado che nel
ricorso di competenza, ha dato ragione all’Azienda con questa fattispecie di motivazione: «un
intollerabile incitamento alla violenza ()una palese violazione dei più elementari doveri discendenti
dal rapporto di lavoro gravissimo nocumento morale all’azienda e al suo vertice societario, da ledere
irreversibilmente (sic!) il vincolo di fiducia sotteso al rapporto di lavoro».
In seguito, nel riesame del ricorso, il tribunale di Nola ha confermato il primo giudizio. In questa
motivazione si legge che le manifestazioni messe in atto: «hanno travalicato i limiti del diritto di
critica e si sono tradotte in azioni recanti un grave pregiudizio all’onore e alla reputazione della
società resistente, arrecando alla stessa, in ragione della diffusione mediatica che esse hanno
ricevuto, anche un grave nocumento all’immagine».
Ritengo che queste parole – dato che le sentenze non si discutono – meritino unanalisi spassionata
per trarne un ammaestramento non solo sullo specifico dell’accaduto ma anche di carattere generale
e persino universale. L’azienda ritiene che l’azione drammatica della messa in scena di un suicidio in
effigie rechi nocumento all’immagine, pregiudizio all’onore, alla reputazione e nuovamente
nocumento morale.
Il suicidio reale, carnale, tragico e «violento» di tre esseri umani invece non recherebbe, a quanto
pare, danno di sorta al buon nome dell’azienda. Forse i vertici ritengono essere quei suicidi
indipendenti dalle condizioni lavoro, dalla cassa integrazione, dallo stillicidio dell’erosione continua
dei diritti sociali, dal peggioramento inarrestabile delle prospettive di vita, forse si tratta di
un’epidemia suicidaria dovuta all’insostenibile pressione del benessere come in Svezia, visto che il
numero di suicidi nel reparto di Nola di quella leggendaria azienda ex vanto dell’italico genio ex
italico, pare essere di cento volte superiore alla media nazionale.
Il capo della Fca, imprenditore, pare non cogliere il senso di un suicidio reale quando è causato da
disperanti e umilianti condizioni di vita. Mi permetto di suggerirgliene uno servendomi del
linguaggio usato da un suo collega meno fortunato di lui che si è tolto la vita a seguito dei morsi
della crisi che lo ha rovinato. Ai familiari ha lasciato uno scritto lapidario per spiegare le ragioni del
suo gesto: la dignità è più importante della vita!. Dovrebbe essere semplice da capire, la vita senza
dignità cessa di essere tale per diventare sopravvivenza.
Da noi in Italia non c’è stato un dibattito serrato, profondo e diffuso sul concetto di dignità come è
accaduto invece in Germania a partire dalla redazione della Costituzione pensata e ratificata
all’indomani della micidiale esperienza nazista. Il primo articolo di quella carta recita: «Die Würde
des Menschen ist unantastbar. Sie zu achten und zu schützen ist Verpflichtung aller staatlichen
Gewalt». (La dignità umana è intangibile. Rispettarla e proteggerla è obbligo di ogni potere statale).
Ecco quale è il primo è fondante merito della giustizia sociale come del resto proclama anche il
primo articolo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
L’attacco portato allo statuto dei lavoratori è un attacco all’idea stessa di dignità del lavoratore nel
lavoro e nella vita. È da qui che è necessario ripartire chiedendoci «se questo è un operaio», che è
privato dei diritti, che vive sotto ricatto, a cui non è concesso di progettare la propria esistenza e di
costruire un futuro migliore per i propri figli, che non può neppure protestare con il legittimo
linguaggio della provocazione concesso ad ogni disegnatore satirico, a cui per non perdere il posto si
chiede di accettare la condanna alla disperazione senza alzare la testa, come l’ultimo dei servi.
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