Contratto pubblica amministrazione:il fatidico 30 novembre

Oggi potrebbe essere la fatidica giornata del rinnovo, dopo 7 anni dei contratti nazionali per 3 milioni di dipendenti pubblici. Siamo arrivati al 30 novembre 2016 senza che un testo, anche approssimativo, sia mai stato condiviso con le rsu, con i delegati, una trattativa all’insegna della segretezza tanto è vero che le poche informazioni in nostro possesso provengono da fonti padronali o da giornali vicini a qualche sigla sindacale “rappresentativa”. La firma contrattuale sarà in ogni caso un accordo politico  e non una tradizionale intesa sindacale per due ragioni, la prima perché non inciderà da subito sulle buste paga (ma ormai, come dimostra il contratto metalmeccanici dovremo farcene una ragione visto che il futuro trasformerà gli aumenti in bonus), non porterà nuovi e maggiori diritti\tutele, la seconda è legata alla tempistica (a pochi giorni dal Referendum) a dimostrare la natura elettorale dell’accordo in funzione del sì al referendum a cui si piega la stessa Cgil (sostenitrice del No) . Il ministro Giuliano Poletti  sembra non avere dubbi, è  «convinto che le condizioni per chiudere possano esserci». Da settimane esiste un testo dell’accordo, ormai la democrazia nei luoghi di lavoro e nelle relazioni sindacale non esiste più e chi la rivendica viene descritto come  disfattista o  nostalgico del passato. A Cgil Cisl Uil preme soprattutto conservare il bonus degli 80 euro, è su questo punto che dovranno trovare un accordo con il Governo che continua a parlare di «85 euro a regime», 85 euro al termine del triennio 2016-2018. Dopo 10 anni, un dipendente della Pa potrà avere un incremento salariale  di 40 euro netti, una cifra irrisoria che non permetterà recupero, anche minimo, del potere di acquisto, una autentica elemosina. 85 euro non  aranno l’aumento «minimo» ma  «medio»,  quindi basta fare due conti per capire come questa intesa sia economicamente catastrofica. Poi ci sono tutte le altre questioni di cui abbiamo notizia, la proposta di aumentare l’orario settimanale di due ore caldeggiata dai sindacati autonomi, la proposta della Madia di accordare aumenti solo ai livelli piu’ bassi (la cosiddetta piramide rovesciata), come se i 7 anni di blocco contrattuale non pesassero anche sui redditi medi della Pa. Il Governo ha fretta di chiudere questo accordo, magari promettendo soldi per il 2018 con la Legge di stabilità che verrà approvata nel dicembre 2017. Intanto licenzieranno un testo con irrisori aumenti e meccanismi che divideranno i lavoratori condannandoli al silenzio Ma come è possibile che dei sindacati se la cavino con 40 euro di aumenti dopo 7 anni  di blocco e nel silenzio generale? Intanto, in questi anni, sono stati approvati codici comportamentali repressivi che se applicati alla lettera determinerebbero il licenziamento di migliaia di lavoratori e lavoratrici, la presenza di questi regolamenti è sufficiente per incutere paura e disseminare rassegnazione. Al resto ci ha pensato la performance, quel meccanismo di perenne divisione che viene stupidamente presentato come riconoscimento meritocratico dell’apporto individuale. Peccato che questi soldi siano di tutti\e, stiamo parlando dei fondi della produttività che avrebbero potuto rappresentare la quattordicesima per i\le dipendenti della Pa ma che il sindacato ha voluto trattare al secondo livello imbrigliando le Rsu in discussioni sterili e spesso inconcludenti. Non è facile costruire una geografia dei futuri aumenti , uscirà un documento della Funzione pubblica per indicare all’Aran alcune  linee guida. Di sicuro, il Governo non si limiterà alla beffa della elemosina denominata aumento contrattuale, vorrà mettere mano alla stessa contrattazione di secondo livello. E’ ormai risaputo l’obiettivo che accomuna Governo e sindacati: destinare pochi euro da assegnare attraverso la contrattazione decentrata,  in questo modo le Rsu si trasformeranno in strumenti utili a dividere e mortificare lavoratori e lavoratrici piegandosi ai dettami del Governo e alla diseguale distribuzione delle elemosine Potranno anche rivedere la Legge Brunetta che sancisce, proprio con la firma dei nuovi contratti,  l’obbligo di  istituire le tre fasce di merito escludendo a priori il 25% del personale da ogni voce della produttività, potranno ritoccare questa percentuale raccontando nei luoghi di lavoro di avere conseguito un successo . Di sicuro la patata bollente sarà scaricata sulle Rsu e sulla contrattazione di secondo livello. Poco importerà che gli impegni richiesti fossero ben altri, ossia la rimozione del blocco del turn over, la non applicazione della legge Brunetta e aumenti di almeno 100 euro netti, di quelle piattaforme nessuno ha piu’ memoria, all’oblio ci hanno pensato i media, la disinformazione imperante dei sindacati rappresentativi E se non siete ancora soddisfatti, arriverà anche  il welfare aziendale per rendere obbligatoria l’adesione dei fondi pensione e della sanità integrativa proprio come sta accadendo tra i meccanici . In questo caso gli 85 euro medi lordi potrebbero tradursi in  esigui incrementi destinati agli iscritti alla sanità e previdenza integrativa (che i sindacati controllano), insomma si va profilando un contratto quasi a costo zero nel silenzio assenso di 3 milioni di dipendenti pubblici

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