Tutti giù per terra. A proposito della crisi

Italia ultima in Europa quanto a produttività del lavoro, agli ultimi posti per innovazione e laureati in rapporto alla popolazione Sono questi i dati incontrovertibili che hanno determinato la crisi del sistema Italia. Alla voce produttività relativa all'anno 2015 registriamo un segno negativo, meno 0,3%, mentre cresce in media dell’1,6% nei 28 paesi dell’Unione europea. Rinviamo per maggiori ragguagli al rapporto Istat (http://www.istat.it/it/archivio/192024) di cui citiamo parte del report di sintesi Nel 2015 il valore aggiunto dell’intera economia ha registrato una crescita dello 0,9% rispetto al 2014. La produttività del lavoro, calcolata come valore aggiunto per ora lavorata, è diminuita dello 0,3%, quella del capitale, misurata dal rapporto tra valore aggiunto e input di capitale, è aumentata dell'1,9%. Nello stesso anno, la produttività totale dei fattori, che misura la crescita del valore aggiunto attribuibile al progresso tecnico e ai miglioramenti nella conoscenza e nell'efficienza dei processi produttivi, è aumentata dello 0,4%. Complessivamente, nel periodo 1995-2015, la produttività del lavoro è aumentata ad un tasso medio annuo dello 0,3%, sintesi di una crescita media dello 0,5% del valore aggiunto e dello 0,2% delle ore lavorate. La produttività totale dei fattori è diminuita ad un tasso medio annuo dello 0,1%. Tra il 1995 e il 2015 la crescita della produttività del lavoro in Italia è risultata decisamente inferiore alla media Ue (+1,6%). Tassi di crescita in linea con la media europea sono stati registrati per Germania (+1,5%), Francia (+1,6%) e Regno Unito (+1,5%). Per la Spagna, il tasso di crescita è stato più basso (+0,6%) della media europea ma più alto di quello dell'Italia che, allargando lo sguardo al periodo 1995-2015 segnala come la produttività del lavoro - definita come valore aggiunto per ora lavorata - è cresciuta con una media annua dello 0,3%, derivante da incrementi medi del valore aggiunto e delle ore lavorate rispettivamente pari allo 0,5% e allo 0,2%. Utilizzando il database di Eurostat, l’Istat mette in luce che nello stesso periodo l’Unione europea ha avuto un incremento molto più sostenuto (+1,6%), così come l’area Euro (+1,3%). E tassi di crescita in linea con la media europea hanno riguardato Germania (+1,5%), Francia (+1,6%) e Regno Unito (+1,5%), mentre la Spagna pur con un tasso di crescita più basso (+0,6%) della media europea è comunque andata meglio dell’Italia. Proviamo a riflettere a voce alta. Da due anni la produttività in Italia è in calo, calano le ore di lavoro ma soprattutto il valore aggiunto, dal punto di vista dei salari, del prodotto e della distribuzione di ricchezza\redditi la situazione del nostro paese è particolarmente grave, anzi siamo i soli ad avere perso produttività del lavoro quando altri paesi in crisi evidenziavano segnali di ripresa. La crisi è legata alla stagnazione della ricerca, agli scarsi risultati del progresso tecnico\tecnologico che investe il terziario, i servizi di informazione e comunicazione, la ripresa in ambito industriale e nei trasporti assume connotati alquanto modesti e macchia di leopardo Se poi guardiamo le dinamiche salariali, in Usa e Germania i redditi da lavoro crescono mentre in Italia perdiamo solo colpi. La nostra repubblica, recita l'art 1 della Costituzione, è fondata sul lavoro, in futuro (assai prossimo) la ribattezzeremo Repubblica fondata sui voucher. Per saperne di più della dinamica salariale d'Oltre Oceano rinviamo a un approfondimento de Il sole 24 ore...http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-11-04/corrono-salari-americani-a-ottobre-crescita-piu-alta-2009-145504.shtml?uuid=ADSaDSpB L’Italia resta quindi un paese incapace di affrontare le nuove sfide tecnologiche, con una forza lavoro femminile ridicola, un numero di laureati insufficiente(strano che a nessuno venga in mente di criticare gli esiti delle riforme universitarie degli ultimi anni), con una ancora alta vocazione manifatturiera, e con l'augurio di Confindustria che la prossima manovra economica porti gli investimenti richiesti al premier Renzi Un paese, il nostro, con profondi disuguaglianze e un sistema produttivo pieno di falle. Ma , strano a dirsi, le ricette per gli industriali sono sempre uguali ,le stesse che da anni producono scelte dimostratesi fallimentari: aprire crediti finanziari alle imprese, ridurre il costo del lavoro (mai che ci si chieda gli effetti della deregulation in materia di diritto del lavoro...), crediti e defiscalizzazioni. L'idea vecchia ma sempre in auge è legare il costo del lavoro (per questo i contratti nazionali vengono giudicati desueti dai padroni) alla produttività, i salari siano quindi variabile dipendente dai profitti, anzi i profitti crescano liberamente che a tenere bassi i salari ci penseranno le Leggi del Governo Delocalizzazioni e monocommittenza hanno combinato solo guai, ricordiamo che il 65,4% delle imprese italiane è specializzato in un unico prodotto e appena lo 0,8 ne produce 10 tipi diversi. Basterebbe aumentare la complessità e la varietà dei prodotti per rendere piu' competitivo il sistema produttivo , ma per raggiungere questo obiettivo bisognerebbe tornare ad investire, l'esatto contrario di quanto fa il Governo e in aperto contrasto con le politiche di austerità Ma il rilancio del sistema Italia passa dalla distruzione del contratto nazionale e in particolare la imposizione del secondo livello di contrattazione da cui passeranno i pochi (e non per tutti) incrementi salariali. Contratti aziendali, aumenti per pochi sono la ricetta del Governo e di Confindustria, una ricetta che con alcune variabili si ripresenterà anche per i 3 milioni di dipendenti pubblici. E per abbattere i costi a carico dello stato arriverà il welfare aziendale e parte degli aumenti saranno indirizzati a tale scopo, ovviamente mentre si procederà allo smantellamento del welfare da noi conosciuto fino ad oggi, welfare incompleto e imperfetto ma senza dubbio migliore di quello che ci vanno propinando per i prossimi anni In questo scenario la collaborazione del sindacato con il Governo giocherà un ruolo determinante per ingabbiare i lavoratori e le lavoratrici indebolendone il potere di acquisto e di contrattazione

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