Dai bonus ai tagli del Lavoro (e dei lavoratori). La nuova strategia padronale

Contrariamente alla vulgata liberista il costo del lavoro continua a scendere e ormai da anni. sicuramente dall'anno 2015 quando tagliarono pesantemente le tasse a quasi esclusivo favore dei datori.

Il potere di acquisto dei salari è quasi fermo da diversi anni, le pensioni sono messe anche peggio, dopo nove anni di blocco della contrattazione per 3,2 milioni di dipendenti della Pa sono arrivati 80 euro di aumenti con un contratto che anche sul fronte dei diritti e del potere contrattuale inaugura una fase regressiva.

Dal 1° luglio 2020 si parte con altri tagli al costo del lavoro tra trattamento integrativo o detrazione fiscale in base alle fasce di reddito, le misure dovrebbero riguardare circa 15\6 milioni di dipendenti pubblici e privati e stando a cio' che abbiamo letto ne beneficeranno i redditi dino a 40 mila euro annui in aggiunta a chi già percepiva i famosi 80 euro del governo Renzi.

Minori tasse sul lavoro, è questo che vogliono far credere, determinano automaticamente buste paga piu' pesanti, ma è veramente cosi'?

Intanto i contributi a fini previdenziali sono sempre piu' leggeri con il sistema contributivo, il costo orario del pubblico e del privato è praticamente fermo da anni, questi sono fatti incontrovertibili.

A tutto cio' si aggiunga che mai è stato raffrontato il vantaggio delle imprese per la riduzione della presione fiscale con i benefici indirizzati verso le buste paga, negli anni passati li analizzammo per capire che la intera operazione era finalizzata a ridurre il costo del lavoro e a indebolire il poter di acquisto e di contrattazione.

La richiesta di aumenti contrattuali seri e stabili in busta paga, l'aumento dei contributi previdenziali restano soluzioni di gran lunga preferibili ai bonus, sicuramente provvedimenti stabili e duraturi senza dimenticare poi che le minori entrate statali dovranno essere compensate con qualche taglio di spesa.

Secondo una recente elaborazione del centro studi di Assolombarda sui dati 2019 dell’Ocse (gli ultimi disponibili), l’Italia, piano piano, e con tutte le cautele del caso, riducendo il costo del lavoro, sta tornando un po’ più “competitiva”.

Il costo del lavoro, sempre per la vulgata liberista,  sarebbe in Italia il doppio di quello tedesco, a scanso di equivoci va detto, dati alla mano, che la verità è ben altra e il costo del lavoro , come anche in Francia, è decisamente  piu' alta. E poi questi paesi non hanno l'evasione fiscale italiana e puniscono i trasferimenti delle sedi aziendali nei paradisi fiscali, cosa che non viene fatta in Italia, anzi gli imprenditori che in Italia non pagano le tasse vanno in Tv a discettare sulla ripresa..

Allora quanto diminuiranno  gli oneri a carico delle imprese e quanto cresceranno le buste paga? E' questa la domanda alla quale rispondere perchè ci sono paesi che hanno costi piu' elevati del nostro ma le loro economia registrano risultati decisamente migliori.

Non sarà allora che con la scusa della ripresa si continui con i favoritismi alle aziende lasciando qualche briciola sul piatto per i nostri salari? Non sarebbe la prima volta e non sarà sicuramente l'ultima.

E il prossimo obiettivo dei padroni è ancora  piu' ambizioso, mirano direttamente al taglio della forza lavoro e dei suoi costi, non si accontentano dei favori accordati dalla fiscalità generale e torneranno a rivendicare l'abbattimento dei costi in nome della ripresa. E dentro quei costi, giusto per rinfrescarci la memoria, ci sono posti di lavoro, contributi previdenziali, costo orario, potere di acquisto dei salari.
Siamo ancora convinti che favorire le imprese sia utile per la ripresa dell'economia o piuttosto pr scavare la fossa alla forza lavoro? Le prossime settimane comprenderemo meglio la posta in gioco.

Commenti