Emergenza ambientale e climatica

Da il manifesto.....

La biodiversità nella morsa dell’emergenza climatica

Giornata della Terra.​ Dall’Onu al papa ai Fridays for future, la tutela dell’ambiente si riprende la scena

Minacciata soprattutto dal riscaldamento globale e dai cambiamenti nell’uso dei suoli, la biodiversità – al centro della Giornata mondiale per l’ambiente 2020 – non ha fatto grandi passi avanti malgrado il rallentare del mondo umano nei mesi scorsi.

AGLI INIZI DI MAGGIO​ la concentrazione media di anidride carbonica in atmosfera è arrivata a 417 ppm (parti per milione), secondo l’osservatorio Mauna Loa delle Hawaii: i valori più alti dall’inizio delle misurazioni nel 1958. «A causa della lunghissima permanenza della Co2 nell’atmosfera, non si prevede che un calo delle emissioni comporti una riduzione delle concentrazioni nell’atmosfera» ha spiegato Petteri Taalas, segretario generale della Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo); «il rallentamento industriale ed economico provocato da Covid-19 non è un sostituto a un’azione forte e coordinata (…) I governi investiranno nella ripresa: è un’opportunità per affrontare la questione climatica».

COSÌ, CON LA LORO CAMPAGNA​ «Ritorno al futuro», gli attivisti di Fridays for Future sono tornati a pungolare chi decide. In diverse città hanno inscenato manifestazioni adatte ai tempi – biciclettate nelle strade e presenze virtuali sulle piazze, dove hanno scarpe e cartelli. Ed è stato lanciato l’allegato tecnico della campagna, con le misure proposte alle istituzioni per investire nella rinascita post-coronavirus.

Fra le altre, oltre alle rivendicazioni storiche, «la riduzione delle emissioni di almeno il 7,6% l’anno, la ripubblicizzazione dell’acqua, la chiusura degli allevamenti intensivi, il trasporto pubblico diffuso, il rifinanziamento del sistema sanitario, la moratoria su trivellazioni e accordi commerciali, la riconversione delle imprese inquinanti, l’abbandono dei mercati del carbonio». Perché «una simile occasione non si ripresenterà per anni».

TUTTI SONO COINVOLTI​ perché non è una faccenda esotica la tutela della biodiversità. Come sta l’Europa? Il 20 maggio la Commissione ha adottato le strategie per la biodiversità e Farm to Fork. Insieme prevedono, fra l’altro: l’aumento al 30% delle aree naturali protette di terra e di mare; la riduzione del 50% dei pesticidi sia in termini di quantità che di tossicità; il raggiungimento del 25% di coltivazione biologica; l’introduzione di obiettivi vincolanti per ripristinare ecosistemi cruciali su larga scala come torbiere, zone umide, foreste ed ecosistemi marini. Tuttavia, il coordinamento europeo de La Via Campesina (Ecvc) chiede più attenzione al valore dell’agricoltura su piccola scala e più coerenza, ad esempio sulle questioni commerciali.

L’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) vede nella nuova strategia dell’Ue, e nell’Accordo mondiale che avrebbe dovuto essere adottato alla Cop15 (la prossima Conferenza delle parti della Convenzione Onu sulla biodiversità si terrà in Cina nel 2021, dopo essere stata posticipata), «nuove opportunità per una maggiore tutela, ripristino e lotta alle cause di estinzione delle specie». Il degrado colpisce anche l’Italia: «I trend degli ultimi decenni parlano chiaro: delle 672 specie di vertebrati italiani (di cui 576 terrestri e 96 marine), 6 sono ormai estinte e 161 sono a rischio estinzione (di cui 138 specie terrestri e 23 specie marine), pari al 28% delle specie valutate». Bene invece le aree protette.

A LIVELLO GLOBALE, CONTINUA​ l’Ispra, «il quadro peggiora. Circa un milione di specie viventi (su un totale stimato di oltre 8 milioni) rischia di sparire per sempre. La struttura, la composizione, il funzionamento degli ecosistemi di ogni angolo del pianeta, da cui la nostra e tutte le specie dipendono, si stanno deteriorando rapidamente. È rimasto «intatto» solo il 5% degli ecosistemi terrestri e marini della Terra». E intanto l’estrazione di risorse naturali, rinnovabili e non, è raddoppiata al 1980 arrivando a 60 miliardi di tonnellate l’anno.

SI RIPENSERÀ DAVVERO​ il rapporto con gli ecosistemi e la biodiversità, costruendo «un nuovo patto per l’umanità e il mondo», per dirla con Audrey Azoulay, direttore generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (Unesco)? È necessario e salutare. Papa Francesco ha scritto a Iván Duque Márquez, presidente della Colombia che ospita virtualmente la Giornata 2020: «Non possiamo pretendere di essere sani in un mondo malato. Le ferite causate alla nostra madre Terra sono ferite che sanguinano anche in noi». «Una svolta radicale è necessaria», ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni unite António Guterres: «Se vogliamo prenderci cura dell’umanità, dobbiamo prenderci cura della natura. Dobbiamo ripensare il modo in cui acquistiamo e consumiamo. Adottare abitudini e modelli agricoli e imprenditoriali sostenibili. Proteggere gli spazi selvaggi e la fauna selvatica che ancora esistono».

06.06.2020

Emissioni inquinanti, la grande bugia delle politiche verdi

Festeggiamo la giornata dell’ambiente mentre l’Italia continua – ormai da diversi anni – a segnare il passo nello sviluppo della produzione energetica da fonti rinnovabili, e mentre vediamo ripetere le stesse vecchie e poco sostenibili formule: scandalosi incentivi per comprare (ancora!) veicoli diesel e a benzina, ecobonus all’edilizia con obiettivi troppo bassi di efficienza energetica, piani industriali di colossi energetici controllati dallo stato come Eni rinviare al 2035 i drastici tagli alle emissioni.

Fca che annuncia di «elettrificare» i propri veicoli puntando soprattutto (con trent’anni di ritardo) sui motorizzazioni ibride. E come ciliegina su questo quadro deludente, persino il riemergere fantasmagorico del progetto del Ponte sullo Stretto, vero monumento all’insipienza delle nostre classi dirigenti (politiche ma non solo).

Partiamo da Fca che ha ricevuto le garanzie pubbliche per un prestito in cambio di impegni “verdi”. In realtà tre su quattro dei nuovi modelli previsti dall’azienda che fu italiana, sono ibridi.

Non sappiamo quando la corsa alla nuova generazione di batterie tra l’americana Tesla e le aziende cinesi vedrà un vincitore e quanto ci vorrà per vederle sul mercato, ma l’annuncio dell’azienda cinese Svolt di una batteria con autonomia di 880 km dà l’idea di quali siano gli obiettivi tecnologici.

Indipendentemente da chi ce la farà, è chiaro che un’autonomia elettrica di questa portata renderà qualunque auto ibrida – questione di qualche anno – un ferrovecchio. Per quale ragione, infatti, sarà razionale acquistare un’auto con due motorizzazioni e due alimentazioni (per le plug-in) se l’auto elettrica è molto più semplice da gestire e può essere a emissioni zero se alimentata da rinnovabili?

Peraltro, come nota una recente analisi di Bloomberg, si stima che già oggi i veicoli elettrici (che hanno una quota ancora assai marginale del parco circolante) abbiano ridotto la domanda globale di petrolio di un milione di barili al giorno. E che oltre la metà di questa riduzione è dovuta ai veicoli a 2 e 3 ruote, dalle bici elettriche ai monopattini primi esempi di una mobilità leggera per le città.

Il direttore di Repubblica Maurizio Molinari ha (giustamente) citato il tema del trasporto aereo e la necessità di carburanti di nuova generazione. Tecnicamente è possibile produrli a partire da elettricità rinnovabile: in Germania si punta anche su idrogeno da rinnovabili (base potenziale anche per carburanti di sintesi), ci sono iniziative degne di nota in Italia? C’è qualche traccia di questo nel piano Eni?

Il suo piano industriale è mirato a rimandare i tagli delle emissioni di CO2 nel tempo, basandole su tecnologie di dubbia affidabilità e a mantenere il più a lungo possibile il mercato del gas fossile. Una colossale presa in giro per chi chiede serietà e coerenza delle politiche per combattere la crisi climatica.

Il sostanziale stallo dello sviluppo della produzione da rinnovabili è invece legato essenzialmente alla burocrazia e alle autorizzazioni – che invece dovrebbero facilitare fonti come il solare e l’eolico e rendere i rifacimenti degli impianti a fine vita poco più di una formalità – oltre che a demenziali opposizioni. Il super-ecobonus per l’efficienza in edilizia – misura anti-ciclica che già in passato ha mostrato effetti occupazionali positivi – avrebbe potuto essere l’occasione per un vero salto di qualità nelle ristrutturazioni, ed esempi positivi in Italia non mancano.

Ma invece di governare il cambiamento, imponendo standard elevati di efficienza, il modo migliore per ridurre i consumi di gas nel settore civile, si chiedono azioni limitate.

La crisi è drammatica, certo, ma anche questa sembra un’occasione persa di impiegare risorse pubbliche per una vera svolta verde che aiuti sia l’ambiente che la capacità industriale e produttiva del Paese.

*Direttore di Greenpeace Italia

06.06.2020

Perché difendere l’ambiente è rivoluzionario


In tanti sembrano pensare che, in tempi di Covid, la difesa dell’ambiente sia un lusso che non possiamo permetterci. Un milione di specie animali e vegetali, su un totale di circa l’8,7 milioni, sono minacciate da estinzione e sono sempre più numerosi gli ecosistemi distrutti, degradati o frammentati. Il 75% dell’ambiente terrestre e il 66% di quello marino è stato “gravemente modificato” e i dati dell’Iucn evidenziano come oltre un terzo degli habitat terrestri sia attualmente in pericolo.

Il ritmo di estinzione raggiunto fa ormai parlare gli scienziati di sesta grande estinzione di massa. C’è tutto questo dietro alla scelta di dedicare la Giornata Mondiale dell’Ambiente 2020, che ricorre come tradizione il 5 giugno, al declino della biodiversità. Un processo drammatico per la natura e per il pianeta come lo abbiamo conosciuto sinora, ma anche per la specie umana. Insieme a piante e animali che scompaiano, ai milioni di anni di evoluzione spazzati via, si riducono anche i servizi eco-sistemici: dall’acqua alla regolazione del clima, dalla fornitura di alimenti e materie prime a quella di aria pulita, passando per il controllo dell’erosione del suolo. E dunque sono a rischio anche la sicurezza alimentare e la prosperità delle nostre società.

Motivi che dovrebbero bastare per invertire la rotta, tutelare la biodiversità e convincere tutti della necessità di un modello di sviluppo sostenibile. Ai quali se ne aggiunge un altro: la nostra salute. Se la rottura degli equilibri naturali e la sottrazione di habitat rendono più probabili salti di specie e zoonosi, come ha dimostrato l’emergenza coronavirus, l’arma più efficace che abbiamo per proteggerci da nuove pandemie è proprio difendere l’ambiente. La cura per affrontare le crisi del nostro tempo – dai mutamenti climatici all’emergenza covid appunto – è dunque andare avanti spediti sulla via della conversione ecologica e di un ambizioso Green Deal. Una strada che l’Europa e la Commissione guidata dalla Von der Leyen hanno ormai imboccato. Penso al Next Generation Fund che mette a disposizione della ripresa 750 miliardi finanziati anche da tasse sulle grandi multinazionali, sul web, sulle emissioni e sulla plastica.

Quindi un piano senza precedenti per una crisi inedita, alimentato – se saremo bravi a presidiarne i momenti decisionali – anche seguendo criteri di equità e giustizia ambientale. Esattamente quanto noi ecologisti proponiamo da tempo per rendere le nostre società più giuste e per orientare le produzioni e i consumi verso la sostenibilità, accompagnando imprese e cittadini nel processo di conversione ecologica: i numeri ci dicono che già oggi l’economia sostenibile è parte importante della nostra economia reale. Unioncamere stima con Anpal 1,6 milioni di posti di lavoro in economia circolare nel nostro Paese e con Fondazione Symbola 3 milioni di green jobs.

Ma il potenziale è ancora più ampio: secondo la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile è possibile dare un forte impulso all’occupazione, attivando 190 miliardi di investimenti e creando circa 800.000 nuovi posti in cinque anni, affrontando con misure adeguate i settori efficienza energetica e rinnovabili, economia circolare, rigenerazione urbana e mobilità sostenibile. Ecco perché Green Deal e Next Generation Fund sono due occasioni da non farsi sfuggire. Tanto più che nel Recovery Plan la quota maggiore di sostegno spetterà all’Italia, che insieme alla Spagna è il Paese più esposto al crollo economico legato alla pandemia.

L’Europa ha capito che se si fosse ripetuto lo schema del 2008 questa volta i Paesi del Mediterraneo avrebbero fatto saltare il tavolo. Ora utilizziamo questo flusso ingente di fondi per stimolare una ripartenza green grazie a investimenti strategici e generativi, capaci di creare buona occupazione, tagliare le emissioni e funzionare da volano per lo sviluppo sostenibile. Come la creazione di una rete diffusa di produzione energetica rinnovabile, un grande piano per la rigenerazione urbana e la mobilità sostenibile nelle nostre città, un’infrastruttura digitale per farci superare il digital divide, gli impianti necessari a realizzare in tutto il Paese un corretto ciclo di gestione dei rifiuti. La base per l’economia circolare, una vera rivoluzione di cui abbiamo davvero bisogno.

05.06.2020

*Ecologista, deputata Leu


Brasile, industria della carne e deforestazione

Giornata della Terra.​ Industria della carne e deforestazione. Accoppiata letale per l'ambiente e per i diritti. Il Brasile nel mirino del Dossier di Greenpeace

Nel 1906 il pensatore socialista statunitense Upton Sinclair scrisse​ The Jungle: La giungla. Un libro-inchiesta rivoluzionario che denunciava l’inferno dei lavoratori (spesso stranieri) e degli animali in quelle malsane macchine di smontaggio che erano i macelli e le fabbriche della carne a Chicago. Umanità triturata insieme alle bestie, a spese poi della salute dei consumatori. Il titolo evocava la «legge della giungla»: una metafora della spietatezza.

Negli ultimi decenni, la filiera globale della carne ha sviluppato un nesso diretto con la giungla vera: la foresta tropicale. Sul tema, in occasione della giornata mondiale dell’ambiente 2020, Greenpeace ha diffuso il suo secondo rapporto: Foreste al macello II, focalizzato sul parco statale Ricardo Franco, nello Stato del Mato Grosso, Brasile. Un’area preziosa dove s’incontrano foresta amazzonica, Cerrado (la savana più ricca di biodiversità del pianeta) e Pantanal (la più grande zona umida del globo). Il parco ospita specie animali e vegetali uniche, fra cui numerosi mammiferi quasi estinti come il formichiere gigante.

Mai adeguatamente protetto, il Ricardo Franco vede ormai il 71% della sua estensione occupato da 137 aziende agricole. Greenpeace ha focalizzato l’inchiesta sulla Paredao, di proprietà di due politici, scoprendo che la catena di approvvigionamento che porta la carne brasiliana sul mercato europeo ha del truffaldino.

Ecco la sequenza tipo. La foresta viene distrutta e trasformata in pascoli da aziende agricole. Queste fanno un’autodichiarazione e iscrivono l’area deforestata e occupata nel Registro ambientale rurale per regolarizzarne la proprietà. Dopo un certo periodo di tempo gli animali al pascolo vengono venduti a un’altra azienda i cui terreni non sono legati alla deforestazione e che a sua volta vende i capi a un macello o ad aziende di lavorazione, le quali – mentre nel frattempo il legame con la deforestazione sparisce – rivendono sul mercato nazionale o internazionale. Infine il prodotto arriva anche nei supermercati, ristoranti e fast-food di tutta Europa.

«Senza un controllo accurato di tutti i fornitori si rischia di acquistare carne contaminata: dalla deforestazione», spiega il rapporto, che chiede alla Commissione europea di presentare rapidamente una normativa la quale imponga che carne, soia, olio di palma e cacao venduti nel nostro continente soddisfino criteri di vera sostenibilità. Comunque, puntualizza Martina Borghi della campagna foreste di Greenpeace, «bisogna produrre e consumare meno carne».

Per l’Istituto brasiliano di ricerche spaziali​ (Inpe), nel 2019 la deforestazione in Amazzonia è aumentata del 30% rispetto al 2018. Fra gennaio e aprile 2020 è ancora peggio, con un aumento del 62%.

L’indagine pubblicata nel primo rapporto, Foreste al macello del 2019, riguardava invece il Gran Chaco (fra Argentina, Bolivia e Paraguay), la foresta tropicale più ampia del continente dopo l’Amazzonia. Oltre 1,1 milioni di chilometri quadrati, quattro milioni di abitanti, l’8% dei quali popoli indigeni, il Gran Chaco presenta uno dei tassi di deforestazione più elevati a causa soprattutto degli allevamenti e dell’espansione delle piantagioni di soia geneticamente modificata.

È lo stesso ministero dell’ambiente argentino a dare i dati: fra il 1990 e il 2014 sono andati distrutti 7.226.000 ettari di foreste. Azzerati alberi, animali, biodiversità e il grande servizio di cattura naturale dell’anidride carbonica. L’Argentina è grande consumatore, produttore ed esportatore di carne bovina, anche verso l’Italia.

I siti di categoria​ vantano la resistenza delle esportazioni di carne malgrado la crisi da Covid-19. Pigsite.com riferiva alla fine di maggio (ne dà conto l’utile bollettino internazionale Vegeworld) che, secondo l’Associazione brasiliana delle proteine animali, il settore carne suina «passerà indenne la pandemia». Solo alcune unità di trasformazione hanno registrato periodi di chiusura per casi di lavoratori positivi al Sars-CoV-2. Intanto lo studio From pasture to plate, realizzato dall’istituto Escolhas di San Paolo, lamenta gli ingentissimi sussidi pubblici (22 miliardi di dollari in dieci anni) alla filiera bovina deforestatrice.

06.06.2020


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