Lo smart working? Serve soprattutto agli ordini professionali

Smart working nella PA ? Sicuramente è una scoperta recente, tre anni dopo l'approvazione di una legge disattesa che impegnava gli enti pubblici a favorire il lavoro agile. Abbiamo scritto molto sulla natura di questa tipologia lavorativa, resta il fatto che sia ancora inviso a quanti negano la urgenza di modernizzare la Pa, di digitalizzarla, di favorire l'accesso dei cittadini ai servizi senza essere costretti a interminabili trafile burocratiche

Ma poi sarà vero quanto abbiamo appena scritto? Di sicuro ci sono logiche invise anche al capitalismo moderno, quello del capitalismo della sorveglianza che favorisce l'uso delle tecnologie per affermare in sistema di controllo e in subordine si ricorda della modenizzazione della Pa.

Lo smart working non è una conquista ma necessità di modernizzazione del capitalismo e della Pa a partire dallo snellimento di tante pratiche, lo richiedono le associazioni datoriali e professionali, gli Enti tardano ad adeguare i loro assetti organizzativi e gestionali, per questo imperversano le polemiche.

Smart non significa liberazione dei salariati e accesso ai servizi, potrebbe esserlo per alcune categorie privilegiate come gli ordini professionali, ai cittadini basterebbe avere dei servizi migliori in tempi rapidi.

Di questo pochi parlano perchè si preferisce cadere nella tentazione brunettiana del dipendente pubblico fannullone che con lo smart eviterebbe di lavorare.

Il lavoro agile impone la diffusione  capillare della digitalizzazione di tante pratiche in un mondo nel quale i dipendenti pubblici impiegano ore e ore solo per presentare cartellini mensili in cartaceo, ma lo ripetiamo ancora una volta: lo smart serve agli ordini professionali e agli Enti pubblici per togliere il sindacato di mezzo con rapporti individuali con la forza lavoro a cui potere imporre lavori a progetto che poi amplificheranno a dismisura la performance e il sistema di controllo.

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