FRANCO SERANTINI 1972-2021

FRANCO SERANTINI 1972-2021
NON DIMENTICHIAMO!! VOGLIAMO GIUSTIZIA E VERITÀ


Il prossimo anno cade il 50° anniversario della morte di Franco Serantini e a tutt’oggi non esiste una verità
giuridica sul caso o meglio esiste la sentenza del giudice istruttore Angelo Nicastro del 1975 nella quale si afferma di
«non procedere in ordine al delitto di omicidio preterintenzionale in persona di Serantini Franco per esserne ignoti
gli autori».
Ma cosa era accaduto il 5 maggio 1972?
Nella città di Pisa, posta in stato d’assedio per prevenire scontri tra opposte fazioni politiche e permettere lo
svolgimento di un comizio al rappresentante del MSI, un cittadino, che stava manifestando liberamente le proprie idee,
venne percosso selvaggiamente da un gruppo di poliziotti del reparto Celere di Roma: fermato e trattenuto per due
giorni morì abbandonato da tutti nell’infermeria del carcere del Don Bosco.
A quasi cinquant’anni dal fatto non solo non è stata fatta giustizia per Franco Serantini ma non si è neanche
riconosciuta pubblicamente la gravità di quel fatto. La memoria di Franco e la verità storica di ciò che successo il 5
maggio 1972 sembra essere patrimonio solo dei suoi compagni anarchici e di quella parte della società civile attenta
alla tutela delle libertà fondamentali e dei diritti civili, che da subito capirono chi erano i responsabili della sua morte.
Se andiamo un minimo ad analizzare gli eventi troveremo un’incredibile sequenza di reati commessi da uomini
dello Stato che, come scrisse a suo tempo il giornalista Corrado Stajano, erano sicuri della propria impunità dovuta alla
divisa e al ruolo che ricoprivano: si va dal reato di omicidio commesso in più persone, ad omissione di atti d’ufficio e di
soccorso. Oggi non si può che ribadire l’inaccettabilità di una morte in una struttura dello Stato e, soprattutto,
l’omertà dei suoi apparati, l’inazione colpevole della magistratura e la pigrizia, talvolta vile, dell’informazione.
Ci domandiamo se verrà mai individuata la responsabilità per i fatti accaduti quel 7 di maggio, se qualcuno di
coloro che furono coinvolti in quella vicenda non si sentirà mai in dovere di fare ammenda e riconoscere le proprie
colpe, e se qualche autorità non riterrà che anche per questo caso non sia necessario fare giustizia , come per altri
avvenuti in quegli anni ed oggetto in questi giorni di grande enfasi sia nel mondo politico che sulla stampa nazionale.
In questo senso sarebbe un segnale di rispetto nei confronti della società tutta rendere pubblici i documenti
prodotti all’epoca dalle diverse autorità presenti ai fatti, dai Carabinieri alla Polizia, dalla direzione del Carcere alla
Prefettura, magari anche contribuendo ad aprire le porte di qualche armadio e rendendo pubblici gli archivi per
dissipare finalmente la nebbia che ha coperto l’azione di persone che ebbero una funzione da protagonista in quella
vicenda.
In primis, ad esempio, andrebbe chiarito il ruolo del questore di Pisa, al secolo Mariano Perris, che ebbe una parte
non secondaria, insieme al Prefetto, Ciro Conte, al comandante dei carabinieri Ennio Cocci e altre autorità incaricate
del servizio d’ordine, nel predisporre l’organizzazione dei reparti di polizia e carabinieri, che il 5 maggio 1972 vennero
impiegati per reprimere la manifestazione indetta da Lotta continua, e nelle successive indagini sugli incidenti.
Perris, classe 1913, originario di Cosenza, non era un «signor nessuno»: la sua carriera era iniziata, come per molti
altri funzionari di polizia, alla fine degli anni Trenta. Durante la Seconda guerra mondiale operò con «senso del dovere
e diligenza» nella città di Lubiana nella Slovenia occupata distinguendosi come comandante del suo reparto nella
caccia ai partigiani e ai loro familiari. Alla fine della guerra con un doppio gioco si consegnò agli Alleati, collaborando
con i loro servizi segreti ed evitando in questo modo non solo l’epurazione ma anche l’incriminazione per alcuni gravi
episodi compiuti tra il 1942 e il 1944. Nel secondo dopoguerra ha continuando a servire lo Stato, questa volta però
democratico, non abbandonando mai la sua formazione e le sue convinzioni, operando nella squadra politica di Torino
e poi come questore ad Aosta, Massa Carrara e Pisa per poi concludere la carriera a Milano. Sul suo operato e sulle
sue responsabilità per quanto successo a Pisa vi è il più completo silenzio e l’impossibilità di accedere alla
documentazione.
In questi giorni in cui si decantano «pacificazione» e «giustizia», sarebbe sicuramente auspicabile un gesto di
responsabilità e senso civico.
Rendere giustizia a Franco Serantini, anche se dopo cinquant'anni, mettendo a disposizione dei cittadini e degli
storici tutti i documenti è ancora possibile, perché non farlo?
Circolo culturale Biblioteca F. Serantini
Associazione amici della Biblioteca F. Serantini
Ghezzano (PI), 5 maggio 2021

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