Razzi in Medio Oriente: il punto di Tiziano Tussi

“L’attacco israeliano su Gaza” – “Gaza, pronto l’attacco di terra” – “Il Papa: basta vi imploro”: questo su La repubblica.

“Offensiva israeliana su Gaza” – “Gaza, razzo fuori controllo. Morte 2 sorelline palestinesi.” – “Ancora raid a Gaza, bombe a Rafah. Colpite sedi di ANP e Hamas” – “Secondo giorno di raid aerei su Gaza. Contro Israele altri razzi dalla Striscia.”: Il Corriere della Sera.

Può bastare. Ma ops... – erano i titoli del dicembre 2008, che si riferivano all’azione denominata da Israele Piombo fuso. Quante differenze con l’oggi. Quante? Nessuna, in sostanza.

Forse bisognerebbe che qualcuno, titolato, più di uno, titolati, cominciassero a dire qualcosa di sensato. Dal 2008/2009 ad oggi sono passati più di dieci anni. Una vita. E la vita in quelle zone è continuata come se nulla fosse. Come se si potesse ad ogni ciclica crisi ritirare fuori i vecchi armamentari fraseologici per andare avanti: Israele isola democratica; i diritti del popolo palestinese; l’antisemitismo dilagante; appoggiamo Israele contro i terroristi arabi; imponiamo ad Israele il riconoscimento dello stato palestinese; due stati due popoli; Israele ha diritto ad esistere e nessuno lo può negare; e via ripetendo. Ma si vede bene come affermazioni che non trovano una via d’uscita razionale, che sono nell’immediato impraticabili, lasciano la situazione così com’è, pronta per un’altra occasione da sfruttare: per il governo di Israele, governo di destra anche estrema, per rimanere nel solco della rivendicazione di un passato tragico da spendere per un presente di difficile vita sociale; per i leader palestinesi per cercare di difendere le loro specificità nella divisione politica, oramai consolidata, tra la striscia di Gaza e gli altri territori sottoposti all’autorità dell’ANP (se queste affermazioni non facessero ridere, ma è impossibile farlo data la tragedia della popolazione che lì sopravvive); per i Paesi che attorno a questo buco nero stanno ad osservare, pieni anche loro di problemi irrisolvibili, ed a fare affari con entrambe i contendenti e che si ergono, a seconda del momento, a paladini di torti che diventano offese e viceversa (basti considerare il ruolo della Turchia, ondivaga, sullo scenario mediorientale, giocando con il tempo della politica internazionale); per l’Egitto, ma qui il discorso è così complicato che citiamo solo la presenza di questo Paese nei problemi della regione; per i Paesi arabi del Golfo, ognuno giocatore in proprio e con altri, secondo la corrente del momento; insomma ognuno deve difendere un ruolo in cui si trova a muovere quello che può sullo scenario del Medio oriente. Arriviamo alla fine, che anche solo per mettere in fila le questioni aperte dal 1948, anno della nascita di Israele, si sente una certa nausea storica che risale prepotentemente alla superficie. Nausea dovuta alla cecità auto procuratasi da tutti gli attori sulla scena. La fine del discorso, veloce è che in ogni caso chi muore sono le persone comuni, il tanto osannato popolo, sia palestinese che israeliano, nel quale sono compresi ebrei e arabi. Un razzo fuori controllo, non fermato, uccide a casso, un bombardamento su palazzi e case uccide a caso. E guarda caso chi muore è naturalmente il popolo che si vuole difendere, ma da chi? Certo ogni tanto qualche leder viene abbattuto, ma per uno che si colpisce muoiono dieci, cento uomini, donne e bambini, corrono il rischio di morire, muoiono. Aspettiamo la tregua, aspettiamo la fine dell’ennesimo scontro militare, ed aspettiamo fiduciosi che accada sicuramente ancora, la prossima volta ancora così. Magari verrà prima, sarà più ravvicinata dei dodici anni che ci separano dall’operazione Piombo fuso.

PS

Se posso, solo una sottolineatura.

Non sarebbe il caso di smetterla di parlare di due stati per due popoli. Dato che in questo caso si riconoscerebbe che uomini che vivono in uno stesso luogo non possono stare assieme perché credenti in divinità diverse. Così accettando che il credo religioso debba essere superiore ad ogni sforzo terreno di vivere assieme. Poi ognuno può andare nella chiesa, moschea, sinagoga, o pietra lavica che vuole. In questo mi piace ricordare Edward Said (1935-2003) ed il suo sforzo per fare passare l’idea che gli uomini, tutti essere umani allo stesso titolo, possono e debbono comunque stare assieme e dividersi per innumerevoli questioni, ma che sono accomunati da un identico sentire: il riconoscimento dell’umano nell’altro. Poi le preghiere in ogni caso salgono al cielo, ma qui sulla terra è l’umanità dell’altro che vedo e sento, con la quale ho a che fare.


di Tiziano Tussi

 

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