Giovani e lavoro in Italia: tra precarietà, identità e percorsi formativi.

 

Giovani e lavoro in Italia: tra precarietà, identità e percorsi formativi.

di Laura Tussi



Negli ultimi anni il mercato del lavoro italiano ha mostrato segnali misti: se da un lato i dati più recenti indicano una lieve ripresa dell’occupazione complessiva e una diminuzione della disoccupazione giovanile, dall’altro permangono condizioni di precarietà strutturale, fragilità contrattuali e difficoltà diffuse per i giovani nel costruire percorsi di vita stabili. Nel 2025 il tasso di occupazione giovanile (15-24 anni) in Italia si attesta attorno al 20,4%, ben al di sotto della media europea, e la disoccupazione tra i giovani continua a restare elevata attorno al 21-22% secondo le ultime rilevazioni disponibili, segnando una condizione di forte vulnerabilità per chi entra oggi nel mercato del lavoro.

Questi numeri descrivono un contesto in cui la precarietà contrattuale, la difficoltà di accesso a impieghi stabili e la disconnessione tra formazione e mondo produttivo fanno sentire il loro peso. La pandemia, le trasformazioni tecnologiche e la crisi economica globale hanno amplificato dinamiche di incertezza, tanto che molti giovani si trovano a navigare sistemi lavorativi che richiedono competenze sempre nuove ma offrono spesso contratti temporanei, retribuzioni basse e percorsi professionali incerti.

Formazione al benessere nelle organizzazioni

La crisi e la congiuntura attuali fanno passare in secondo piano le rivendicazioni di benessere in ambito lavorativo a causa delle gravi condizioni di precarietà.
Quando si supererà questa situazione di stallo, rimarrà comunque negli individui la stagnazione di questi diritti, valori e rivendicazioni, e occorrerà riconsiderarli nuovamente.

Gli ambienti lavorativi, come le fabbriche, le scuole e tutte le organizzazioni operative, in seguito alla congiuntura negativa che investe ogni ambito sociale e comunitario, oltre che l’economia mondiale, si tramutano in contesti di forti tensioni, contraddizioni e frustrazioni, dove il soggetto non viene valorizzato e abituato a migliorarsi e perfezionarsi, ripensandosi e riconsiderandosi come elemento indispensabile per una progettualità creativa complessiva e globale, al fine di realizzare spinte innovative all’interno delle dinamiche produttive.

Attualmente i contesti aziendali e professionali, i ritmi di lavoro e i rapporti interpersonali, minati dalla competizione e dall’arrivismo, esacerbati dalla lotta per la sopravvivenza, l’insoddisfazione e il fenomeno del mobbing, favoriscono automaticamente negli individui patologie di forte stress, tensione, nevrosi, psicosi e altri disagi psichici. I livelli di disagio, sofferenza, malessere e stanchezza possono essere analizzati e affrontati con pratiche e approcci di narrazione personale, tramite l’intervento autobiografico del racconto di sé e l’analisi delle esperienze e dei vissuti esistenziali tramite percorsi analitici.

Dunque, si trova spazio nel mondo del lavoro per la parola benessere?

È possibile che la nostra identità professionale contribuisca alla crescita della nostra identità personale e alla conseguente innovazione e valorizzazione della progettualità individuale e collettiva, di ciò che realizziamo e produciamo?

In anni contrassegnati dalla precarietà contrattuale e dall’impossibilità di realizzare progetti di vita talvolta elementari, porsi simili domande potrebbe apparire contraddittorio o controcorrente. Partendo dalla consapevolezza che ancora oggi il lavoro è spesso vissuto come fonte di sofferenza e di mortificazione dell’io, a causa della precarietà stessa, occorre ricercare e trovare strategie per non rinunciare a scoprire la propria soggettività, anche attraverso le difficoltà professionali, nel lavoro che dovrebbe diventare occasione di benessere e cura profonda, come percorso di autosviluppo e prova da cui apprendere.

È possibile imparare l’arte di essere felici lavorando?

I contesti aziendali e professionali attuali, le continue innovazioni tecnologiche, i conseguenti cambiamenti delle mansioni, i rapporti interpersonali difficili — minati dall’istinto di competizione e prevaricazione per la sopravvivenza — spingono tutti contro tutti nella competizione per rendersi sempre più concorrenziali sul mercato del lavoro. Le nuove forme di organizzazione, la precarietà, la flessibilità e la necessità di continuo adattamento alla mutevolezza e instabilità del lavoro destabilizzano equilibri che credevamo acquisiti e favoriscono spesso l’insorgere di disagio, insofferenza, malessere e insoddisfazione nonché preoccupanti patologie psichiche.

Il soggetto si ritrova così nel proprio mondo introspettivo, che diviene il luogo privilegiato di costruzione dell’identità professionale. È possibile superare l’isolamento, la solitudine, la tensione e il dolore e sviluppare armoniosamente l’io professionale anche tramite approcci consulenziali basati sul metodo di narrazione delle storie di vita, di analisi e autoanalisi dei vissuti esperienziali, verso una cultura del benessere negli ambiti lavorativi, ponendo particolare attenzione alla costruzione dell’identità professionale e alle conseguenti pratiche psicopedagogiche consulenziali di cura e assistenza.

La dimensione individuale e l’identità personale subiscono spesso traumi e frustrazioni in ambito lavorativo, dovuti a cause, situazioni e circostanze che si evolvono e si sviluppano per problemi generati da eventi e contesti presenti nel proprio impiego. Il soggetto sviluppa capacità di adattamento e competenze di flessibilità in un ambito in cui non esiste un luogo effettivo per ripensarsi, nell’impossibilità di riflettere sui propri percorsi perché privi di riconoscimenti e di identità. Occorre invece un’attenzione alla soggettività per lo sviluppo del benessere nella cura di sé e dell’altro.

Attualmente l’individuo è chiamato a gestire un iter ipercomplesso di lavori pluralistici con ripercussioni sull’identità personale. L’io, in ambito lavorativo, vive l’incertezza, l’erranza, il paradosso, il mutamento. Freud, in un breve saggio del 1919 intitolato Il perturbante, individua processi di rimozione dove il lavoro risulta un luogo senza fissa dimora in cui l’identità personale non riesce a riconoscersi.

La metablessi del lavoro consiste nel continuo mutamento di circostanze a cui l’individuo è sottoposto nel disagio postmoderno dell’io che, secondo Luhmann, comporta una perdita di orizzonte di senso. La stress economy provoca condizioni di emergenza e spaesamento basate sulla pedagogia della mortificazione e sull’educazione al sacrificio dell’individuo.

Sembra proprio che nelle professioni sia necessario apprendere dal dolore oltre il sacrificio e la sofferenza, dove l’esperienza del dolore si qualifica come esperienza pedagogica e formativa, attraverso molteplici narrazioni dell’esperienza traumatica. La resilienza è la capacità di chi riesce a superare le avversità, le frustrazioni, i duri colpi inferti dalla vita lavorativa. Le caratteristiche della resilienza sono il guardarsi dentro tramite l’introspezione e un coinvolgente distacco nell’interazione con gli altri per amore di sé.

Gli strumenti per sviluppare la resilienza consistono nelle reti di supporto sociale che attribuiscono la capacità di dare senso alla vita con autostima, nella consapevolezza dell’autoinganno e nell’autoironia per sviluppare una cultura del benessere nelle organizzazioni.

La pedagogia eudaimonica consiste nell’arte di educare al benessere in ambito lavorativo, avvicinandosi agli stati d’animo, ai sentimenti e all’emotività di operai, impiegati, tecnici e docenti per riuscire a orientare, istruire e formare i lavoratori — uomini e donne — nella postmodernità, attraverso principi di eudaimonia politica che valorizzano stati d’animo ed emozioni per elaborare e incrementare atteggiamenti di benessere.

La modernità e la postmodernità incontrano varie tipologie di narrazioni che richiedono un fervore interpretativo e riflessivo su fondamenti, attività e obiettivi all’interno dell’organizzazione, in formazione e in fase di comunicazione e sviluppo, dove subentra, a causa delle circostanze avverse, l’aumento del dolore intrapsichico e autobiografico che tocca la nostra riflessività, l’io e l’individualità, in rapporto all’organizzazione e all’apprendimento.

La valutazione dell’apprendimento in contesti lavorativi consiste in una produttività educativa basata su positivismo sperimentale, pragmatismo e complessità dei processi educativi, influenzata da un approccio fondato sul costruttivismo. L’apprendimento sistemico e contestuale caratterizza tutto il corso della vita umana ed è un evento epistemologico e narrativo.

La pedagogia trasformazionale di Mezirow riguarda la riflessione sui processi di elaborazione di schemi di significato. Il principio di prestazione e di efficienza è incarnato dal potere imperante in un management spesso patologico, che presenta un paradosso colossale tra principio di piacere e prestazione estrema.

Il lavoro dovrebbe costituire un’occasione di realizzazione autobiografica in base a valori e principi etici e molteplicità, dove la valutazione non può prescindere da progettualità, etica, incontro con la complessità e con il molteplice. L’eterovalutazione comprende una questione relazionale che include il rapporto interpersonale fra l’io valutato e l’io valutatore.

La valutazione eterorelazionale avviene in comunità di apprendimento tramite un principio epistemologico ermeneutico e riflessivo. La valutazione riconoscente è un racconto che non vogliamo a noi stessi ma con cui, in seguito, raccontiamo gli altri agli altri.

Nelle organizzazioni lavorative si vive costantemente in apprendimento. Kolb individua diverse tipologie di apprendimento, nell’area delle conoscenze, dei comportamenti, degli atteggiamenti e dei valori, in cui l’apprendimento è un processo dinamico di realizzazione del sé nel movimento circolare dell’esperienza. Secondo Mezirow, l’apprendimento adulto è una pratica trasformazionale, influenzata da Freire e dal costruttivismo, riflettendo schemi e modelli di significazione della realtà.

Le comunità discorsive sono basate su modalità dialogiche e dialettiche umane con cui è possibile familiarizzare in una dimensione costruttivista, narrativa e affettiva del vivere organizzativo. La funzione pedagogica della narrazione di storie di vita nell’ambito delle organizzazioni consente di liberare il proprio potenziale creativo e la sensazione di angoscia esistenziale.

La personale individualità, narrando se stessa sotto il dominio della pratica e della prestazione creativa, si confronta con la trasformazione di sé. Infatti, quando apprendiamo, superiamo dei limiti.

Per esempio, nel Don Giovanni di Kierkegaard il lato demoniaco nell’apprendimento si manifesta come una dimensione di piacere che culmina nell’espansione della sensibilità dell’io. Il lifelong learning consiste nell’apprendimento continuo lungo tutto l’arco dell’esistenza.

In passato, le organizzazioni promettevano sicurezza, stabilità e ricerca di identità. Attualmente vivere dinamiche apprenditive all’interno dei contesti organizzativi significa mettersi in discussione quotidianamente. Le organizzazioni sono comunità discorsive in cui è necessario imparare da soli e con gli altri, secondo un nuovo sistema di riconoscimento delle donne e degli uomini che vivono la dimensione organizzativa, quale dinamica del soggettuale, in una complessità che si completa nella condizione postmoderna, tra la ricerca di sicurezza e la perdita di identità.

Il ciclo della vita diviene stocastico e probabilistico con possibilità di vivere più organizzazioni e apicalità esistenziali. Il modello di apprendimento di Knowles è basato sulla responsabilità del discente, in cui la dinamica apprenditiva coinvolge l’esperienza passata e futura dei processi esperienziali dell’individuo. L’apprendimento si compie tramite un processo autobiografico, dove l’introspezione soggettiva diviene apertura relazionale e rivalutazione del dialogo e dell’ascolto secondo una comprensione eterobiografica, attraverso l’amore per se stessi e con gli altri, quale valore di percorsi di riflessività finalizzati a portare le organizzazioni a diventare più attente e sensibili all’enigma del soggetto, dell’individualità e della progettualità creativa

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