La Legge di Bilancio affossa l'università pubblica
Masochismo antistatalista fino al punto di riversare risorse pubbliche nelle università private
a cura della Cub
È ormai evidente che la legge di bilancio 2026 assegnerà risorse esigue per il reclutamento di ricercatori nelle università e negli enti pubblici di ricerca. Le norme sul riscatto degli anni di laurea rischiano di penalizzare i lavoratori della conoscenza: investire somme ingenti senza possibilità di anticipare l’uscita dal lavoro si configura come una beffa, confermando la linea imposta dalla riforma Fornero.
Le assunzioni previste saranno limitate e prive di un processo di stabilizzazione comparabile a quello adottato nella Pubblica Amministrazione, rivelatosi già incompleto e insufficiente. Un anno fa, con le carenze di personale già macroscopiche, si decise il blocco del turnover dei professori universitari al 75%, con l’annuncio di estenderlo ai ricercatori nel 2026, privando così gli atenei di circa 50 milioni di euro. I nuovi contratti prevedono incrementi del 6%, mentre il costo della vita cresce tra il 17 e il 18%.
Precariato tanto diffuso quanto ignorato
Ignorare i problemi è diventata una prassi politica consolidata. La precarizzazione nella Pubblica Amministrazione e nelle università è un dato incontrovertibile, responsabile anche della fuga dei ricercatori all’estero. Le procedure di reclutamento risultano insufficienti, con un numero di esclusi largamente superiore ai beneficiari.
Solo poche centinaia di precari legati al PNRR avranno la possibilità di stabilizzazione. Cinquanta milioni in due anni, tra FFO e FOE, rappresentano una goccia nel mare. Secondo i dati ministeriali, i ricercatori coinvolti, tra PNRR e non, superano le settemila unità, mentre le assunzioni previste non supereranno le 1.600 in due anni. Senza la rimozione dei tetti di spesa per il personale, ogni risultato rimane illusorio.
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