Smart working e settore privato

 Il lavoro agile non è una conquista o almeno non lo sarà per come viene pensato e regolamentato in questi giorni e per i tempi futuri.  Di sicuro la pandemia non è stata di insegnamento, gli Enti pubblici tornano a considerare il lavoro in presenza come quello da privilegiare, nessun investimento tecnologico e soprattutto il pregiudizio verso la modalità agile che poi si realizza con decurtazioni salariali a chi opera fuori dai posti di lavoro tra istituti contrattuali non erogati e la mancata corresponsione del buono pasto. 

Di sicuro il ritorno al vecchio telelavoro sarebbe oggi un passo in avanti impegnando il datore a corrispondere parte delle spese sostenute e obbligandolo a  garantire postazioni ergonomiche e strumenti di lavoro. Ma non è stato casuale che già nel 2017 avessero messo in cantina il telelavoro sostituendolo con lo smart working . E il telelavoro? Resta sulla carta ma ormai è quasi scomparso.

Ci sembra poi una autentica sconfitta il contratto individuale che dovrà siglare il singolo lavoratore accettando di fatto le assai probabili perdite economiche, le richieste di esaurire il lavoro arretrato, le prestazioni richiesta anche oltre l'orario di lavoro, così accade nel pubblico e se non avverrà nel privato dobbiamo attenderci qualche sorpresa negativa con i prossimi contratti nazionali. 

Chi oggi esulta davanti alle linee guida sullo smart e sul recepimento delle stesse nei futuri contratti di lavoro non ha mosso foglia quando c'era da difendere la dignità lavorativa e salariale della forza lavoro in modalità agile tanto che il ritorno in presenza nella Pa è avvenuto senza alcuna protesta, anzi le dichiarazioni del Ministro Brunetta sono state accolte dai sindacati in religioso silenzio, forse perchè sono gli stessi a tacere sul fatto che un vaccinato puo' contrarre il virus e il Foglio verde non è garanzia di immunità (tanto che, con il crescere dei contagi, si parla di sospendere la validità del foglio verde a chi si ammali)

Il protocollo siglato per il lavoro agile nel settore privato non affronta i problemi reali legati a questa modalità agile, la crescente alienazione di chi lavora a casa, il sorgere di nuove patologie, la perdita economica (di fatto avvenuta nel Pubblico), non aggiunge nulla di nuovo a quanto già previsto dalle normative.

 E allora per quale motivo siglare un accordo, o protocollo che sia, senza accrescere tutele e garanzie per la forza lavoro? Semplicemente per rinviare la normalizzazione dello smart ai prossimi contratti nazionali che alla occorrenza potranno seguire le orme della gestione operata nel Pubblico tra tagli salariali e aumenti dei carichi di lavoro.

Ci sembra poca cosa prevedere che le part sociali debbano regolare le forme di disconnessione o gli obiettivi, la gestione degli strumenti prevedendo parità di trattamento e di formazione, quanto avvenuto negli ultimi due anni dovrebbe essere fonte di insegnamento a dubitare sulla efficacia di protocolli e sui contratti individuali che mettono il singolo lavoratore in una condizione di oggettiva debolezza dentro un quadro normativo che prevede solo tutele formali ma ben poca sostanza tanto che il ricorso allo smart potrà avvenire solo a piacimento del datore che magari alternerà presenza e modalità agile in base alle esigenze produttive. 


Commenti