Ghouta e Aleppo, le verità impazzite
Riceviamo e pubblichiamo aggiornamenti dalla Siria
Ghouta come Aleppo, le verità impazzite
Parla padre Mounir di Damasco. «Ghouta non è un quartiere di
vittime perseguitate dal regime. È l’esatto contrario. Sono anni che sparano
missili sulla capitale, uccidono innocenti, poveri civili»
di Leone Grotti, 22 febbraio 2018
«Lo so cosa scrivono i media da voi in Italia e in tutto
l’Occidente sulla guerra che si sta combattendo a Ghouta. Raccontano solo una
faccia della medaglia, nessuno si preoccupa del nostro dramma». Si confida così
a tempi.it padre
Mounir, 34 anni, originario di Aleppo ma residente a Damasco, dove si
occupa di un oratorio con oltre 1.200 giovani. Il salesiano fa riferimento ai
durissimi scontri di questi giorni tra l’esercito del governo di Bashar
al-Assad e le formazioni terroristiche che difendono Ghouta orientale, nella
periferia della capitale. Secondo l’Osservatorio per i diritti umani,
organizzazione vicina agli estremisti, negli ultimi giorni sarebbero morte
quasi 300 persone nel sobborgo.
«Nessuno però parla dei civili, tanti bambini, uccisi qui dai
colpi di mortaio, anzi, dai missili che vengono sparati da Ghouta», continua il
sacerdote. Molte scuole nei quartieri di Damasco più colpiti dall’artiglieria
ribelle sono state chiuse per sicurezza, al pari di molti negozi. I colpi di
mortaio, infatti, cadevano spesso vicini agli istituti e nelle ore di uscita
dei ragazzi. Da settimane anche i salesiani hanno dovuto chiudere il loro
centro: «Era troppo pericoloso. Noi abbiamo degli autobus che girano per la
città e raccolgono i ragazzi per portarli al centro, dove giochiamo, studiamo,
facciamo catechismo ma ora per prudenza li lasciamo a casa, perché per strada
potrebbero essere colpiti dai missili».
Il bombardamento di Ghouta si è intensificato nell’ultima
settimana, perché il governo prepara l’assalto finale per riprendere il
quartiere. «Tutto il giorno si sentono gli aerei dell’esercito che sorvolano la
capitale. Spero che l’attacco cominci presto e che la zona venga finalmente
liberata, come è stata liberata Aleppo», continua padre Mounir, ricordando che
«Ghouta non è un quartiere di vittime perseguitate dal regime, come
raccontate voi. È l’esatto contrario. Sono anni che sparano missili sulla
capitale, uccidono innocenti, poveri civili. Quanti sono i bambini morti qui di
cui nessuno parla? Questi non sono l’opposizione, sono terroristi, vengono da
ogni parte del mondo, e l’esercito siriano ha il diritto di difendere la
dignità dei siriani e il paese».
Il prossimo mese la Siria entrerà nel suo ottavo anno di guerra
e padre Mounir non si fida più delle trattative di pace condotte dalla comunità
internazionale: «Non stanno risolvendo niente, parlano ma non fanno nulla». Il
sacerdote è stato ordinato cinque anni fa a Torino, ma ha scelto di lasciare
l’Italia e tornare a Damasco per «servire il mio popolo in difficoltà». In
questi giorni, però, le sue attività sono limitate al minimo perché «il governo
ha consigliato a tutti di non muoversi di casa, se non per attività
strettamente necessarie, perché molte zone della capitale sono sotto tiro.
Nonostante questo cerchiamo di stare vicini ai nostri ragazzi e alle nostre
famiglie».
Pare Mounir ha vissuto in Italia, ma ora non riesce più a
leggere i giornali nostrani: «Ho visto come date le informazioni: sempre
parziali, sempre nascondendo una parte della verità, addirittura truccando le
foto», continua. «Voi di Tempi siete tra i pochi che avete il coraggio di
raccontare tutta la verità. Io lo so che il governo siriano non è costituito da
santi né da angeli, c’è la corruzione come in tanti altri paesi. Però dovete
capire che la maggioranza della popolazione siriana, che soffre come e più
degli altri, si fida di questo governo, nonostante i suoi sbagli. Voi
europei invece appoggiate i terroristi che colpiscono la gente innocente.
Questo è inaccettabile e qualcuno deve dirlo».
Il conflitto nel Ghouta e la memoria corta dell’Occidente
Nelle foto le vittime dei bombardamenti della scorsa setttimana
Spesso si afferma che in guerra la prima vittima è la verità,
resa parziale da ogni parte e resa quasi del tutto strumentale dagli attori
presenti sul campo; ma in realtà, ciò che ancor prima della verità viene tolto
di mezzo da un determinato conflitto è la stessa memoria: tutto viene
resettato, anche la stessa storia viene resa funzionale al racconto ed alla
narrativa imposta da chi vince o da chi, invece, spera di vincere. La memoria
corta è una delle piaghe che affligge l’informazione inerente il conflitto
siriano; è vero che fanno male le bombe russe, così come quelle americane ed è
altrettanto vero che a causare vittime civili spesso sono sia i kamikaze delle
sigle jihadiste così come i raid dei governativi, pur tuttavia dimenticare cosa
accaduto e come si è arrivati al fatidico numero sette nel conteggio degli anni
di guerra siriana, appare operazione scellerata e, nella migliore delle
ipotesi, frutto di disonestà intellettuale. A prescindere da ogni
considerazione politica che si possa avere su Assad e sul suo governo,
dimenticare che la Siria non è stata attraversata da una vera ‘rivoluzione’ ma
invasa da orde di jihadisti, stranieri e non, fa perdere di vista ogni giudizio
obiettivo sul conflitto.
Cosa è accaduto nel Ghouta Est tra il 2012 ed il 2013
Proprio come
accaduto nella zona est di Aleppo, non
appena il legittimo governo siriano si prepara a strappare un determinato
territorio alle sigle jihadiste, si scopre che il paese arabo ha un numero di
ospedali per abitanti tra i più alti al mondo ed una quantità di edifici
scolastici da fare invidia anche ai paesi più industrializzati; nel Ghouta
l’operazione volta a strappare dalle mani takfire gli ultimi brandelli di una
Damasco che da cinque anni vive con lo spettro di razzi e missili lanciati
verso il centro, è iniziata da pochi giorni ma già nel mondo dell’informazione
occidentale circolano gli stesso video visti e rivisti per Aleppo e per Homs,
dove i raid russi e siriani vengono dipinti come brutali mezzi in grado di
distruggere ogni volta strutture ospedaliere ed obiettivi sensibili.
Ben lungi dall’esultare per l’arrivo sulle teste di tanti civili di bombe
e colpi d’artiglieria, è utile però ricordare il motivo per il quale questa
crisi non è possibile risolverla per vie diplomatiche: nel Ghouta Est risiedono
alcune delle più pericolose sigle jihadiste che hanno messo piede in Siria,
tali gruppi nell’estate del 2012 hanno cinto d’assedio la capitale siriana prima
di rintanarsi in questa regione posta nella periferia orientale damascena. Gli
abitanti del Ghouta Est sanno bene cosa vuol dire aver iniziato a convivere con
la presenza di uomini barbuti inneggianti alla jihad; molti civili hanno visto
portare via le proprie mogli, i propri figli ed i propri affetti da terroristi
che non hanno avuto scrupoli nel rinchiudere centinaia di innocenti in gabbia
per piazzarli sui tetti dei palazzi, in modo da utilizzarli come scudi umani
contro i raid governativi. Specialmente tra il 2012 ed il 2013, quando si è ben
capito come l’offensiva jihadista non era destinata a centrare l’obiettivo a
Damasco, la scure della follia islamista si è abbattuta nei quartieri della
capitale e del Ghouta est da loro controllati; ma non solo: nel novembre
2015 hanno fatto il giro del mondo le immagini di un corteo,
composto da almeno cento gabbie con all’interno almeno sette od otto persone,
sfilare lungo una città del Ghouta in un’atmosfera di gogna che ha poi
preceduto l’allocazione di tali gabbie sopra i tetti dei palazzi più
alti.
Non c’erano nemici o militari dentro quelle sbarre improvvisate,
bensì solo civili colpevoli di essere alawiti come il presidente Assad;
un’azione criminale di inaudita crudeltà, compiuta tra gli sguardi attoniti dei
mariti che vedevano le proprie mogli rinchiuse come animali e portate chissà
dove, senza forse la possibilità di rivederle. Il Ghouta Est è dal 2012
occupato, è questo il verbo giusto da utilizzare, da gente senza scrupoli ed i
cui atti criminali sono inqualificabili oltre che ingiustificabili; gruppi di
terroristi armati e sostenuti, politicamente e non solo, da quei paesi che
hanno da subito appoggiato la presunta rivolta siriana anti Assad in nome
proprio della democrazia e del rispetto dei diritti umani. Un’accozzaglia di
integralisti e terroristi che dal 2012 tiene sotto scacco Damasco, non solo
intesa come sede del governo siriano, ma come città dove vivono almeno due
milioni di persone la cui quotidianità è provata dal pericolo di uscire da casa
e beccarsi un colpo di mortaio sparato dal Ghouta.Come viene vissuta a Damasco
la nuova operazione
Intanto, mentre si fa riferimento da più parti alle conseguenze
dei raid siriani e russi nelle città del Ghouta, nel cuore della capitale
siriana la popolazione vive nel terrore delle ritorsioni islamiste per
l’operazione avviata dall’esercito fedele ad Assad; nella giornata di lunedì,
un razzo ha colpito un taxi in una delle vie più trafficate di Damasco,
uccidendo un civile. Questo è soltanto l’ultimo episodio che vede la città più
popolosa della Siria essere oggetto di attacchi a colpi di mortaio e razzi da
parte delle sigle che controllano il Ghouta, i quali non hanno mancato di
provocare nell’ultimo mese ancora morti e feriti; la percezione di una
sicurezza sempre più precaria rischia di impadronirsi degli animi dei
damasceni, anche se la popolazione continua a vivere la sua quotidianità nella
speranza che l’assalto alle posizioni delle sigle jihadiste a pochi chilometri
dal centro possa finalmente allontanare per sempre la guerra dalla città.
Soffrono sia i damasceni che gli abitanti del Ghouta Est, del
resto gli innocenti sono tali in quanto parti non direttamente in causa del
conflitto ed è per questo che da entrambe le parti essi vivono il comune
destino di essere vittime di un qualcosa più grande di loro; pur tuttavia,
dimenticarsi cosa accaduto in questa regione già cinque anni fa, omettendo le
crudeltà commesse da chi ha occupato questa zona, è un’operazione che rischia
di prolungare l’agonia di milioni di civili, siano essi di Damasco, del Ghouta
o di altre zone di questo martoriato paese.
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