Il leninismo digitale cinese
Sperando sia di vostro
interesse, vi inviamo il capitolo secondo «Le comunicazioni quantistiche, i
supercomputer e i Big Data: il “leninismo
digitale” cinese» estratto dal libro «Piaccia
o no: il Dragone scavalca l’America. Il sorpasso cinese sugli Stati Uniti»,
di Daniele Burgio, Massimo
Leoni e Roberto Sidoli;
Il libro è pubblicato dalla
casa editrice Aurora, (consultabile per intero in www.robertosidoli.net, nella
sezione “Pubblicazioni”.
Buona lettura
Capitolo
Secondo
Le
comunicazioni quantistiche, i supercomputer e i Big Data:
il «leninismo digitale» cinese
In tutto il nostro pianeta non sussistono praticamente dubbi
o esitazioni, anche da parte dei convinti tecnofobi, sull’importanza centrale
ormai assunta dal complesso tecnoscientifico: e a ragione, visto che la
concreta dinamica storica dell’ultimo secolo va tutta in questa direzione di
marcia.
Del resto il valore per così dire “economico” e produttivo
della connessione tra scienza e tecnica era stata individuata
centocinquant’anni fa da Karl Marx nel primo libro del Capitale, e più
precisamente nelle primissime pagine del suo capolavoro di critica
dell’economia politica borghese.
Prima di evidenziare più volte l’importanza decisiva della
“forza produttiva del lavoro” nel processo di creazione del valore d’uso”,
della “ricchezza materiale” e della stessa “produttività sociale del lavoro”,
il genio di Karl Marx infatti aveva lucidamente precisato che “la forza
produttiva del lavoro dipende da più circostanze e, tra le altre, dal grado medio
di abilità dell’operaio, dal grado di sviluppo della scienza e da quello della
sua applicazione tecnologica, dalla combinazione sociale del processo di
produzione, dall’entità e dall’efficacia dei mezzi di produzione e da
condizioni naturali”.[1]
In tale passo venne illustrato con chiarezza “il grado di
sviluppo della scienza e da quello della sua applicazione tecnologica”, dalla
quale dipende in modo principale, per inciso, anche “l’efficacia dei mezzi di
produzione”: fin dal 1867 Marx aveva pertanto individuato, scoperto almeno in
parte, l’importanza del complesso tecnoscientifico rispetto alla “forza
produttiva del lavoro sociale” e della produttività, dato che questi ultimi
elementi risultano una variabile dipendente innanzitutto dal livello di sviluppo
della scienza/tecnologia.
Il geniale Deng Xiaoping trasse a sua volta con chiarezza,
più di un secolo dopo la pubblicazione del Capitale, le inevitabili e corrette
conseguenze tecniche delle valutazioni di Marx sostenendo giustamente nel 1988
che proprio la scienza e la tecnologia erano ormai diventate la principale
forza produttiva del nostro tempo, collegandosi strettamente al processo di
sviluppo produttivo della nostra specie.
Deng Xiaoping notò espressamente nel settembre del 1988 che
“quando ho incontrato di recente Husak” (allora segretario generale del partito
comunista cecoslovacco) “io ho ricordato che Marx era proprio nel giusto a
sostenere che scienza e tecnologia fanno parte delle forze produttive, ma ora
sembra che l’affermazione sia incompleta. La completa tesi dovrebbe essere che
scienza e tecnologia costituiscono una fondamentale forza produttiva”.[2]
La teoria creativa del primato nel socialismo della
scienza-tecnologia, elaborata da Deng Xiaoping, si è connessa e combinata con
una politica pianificata di grandi investimenti nella “Big Science” e nei
settori d’avanguardia della tecnologia, a loro volta parti integranti di una
delle “quattro modernizzazioni” progettate e messe in pratica dal partito
comunista cinese dal 1978, di cui l’attuale piano “Made in China 2015”
costituisce solo l’ultimo anello: per tali cause e ragioni, interconnesse tra
loro, la Cina ha raggiunto nell’ultimo triennio una posizione di primato nei
“magnifici dieci”, ossia nei principali settori d’avanguardia della ricerca e
della produzione tecnoscientifica del mondo contemporaneo.
Il primo di questi “magnifici” dieci è costituito dalla
produzione di supercomputer, campo strategico nel quale la Cina ha sorpassato
ormai il vecchio numero uno statunitense: persino un giornale profondamente
filoamericano come La Stampa è stata costretta, in data 15 novembre 2017, a
pubblicare un articolo intitolato in modo significativo “Nella corsa dei
supercomputer la Cina batte gli Stati Uniti”.[3]
Verso la fina del 2017 l’ultima edizione della Top500, ossia
la classifica più autorevole a livello mondiale per i supercomputer più
potenti, ha evidenziato infatti come i modelli cinesi ormai non solo siano più
rapidi ma anche più numerosi di quelli statunitensi: in pratica si è assistito
a un sorpasso multilaterale della Cina ai danni degli USA, non solo rispetto al
supercomputer più potente, fenomeno già avvenuto da alcuni anni, ma anche per
il numero di sistemi di superprotezione inseriti in classifica, ossia 202
cinesi rispetto ai “soli” 144 degli americani.
“Per la Cina è ovviamente il picco più alto mai raggiunto,
mentre per gli USA è il livello più basso da 25 anni a questa parte.
Appena sei mesi fa gli Stati Uniti guidavano con 169
supercomputer, mentre la Cina era "ferma" a 160. A seguire, molto più
staccati, Giappone (35 sistemi), Germania (20), Francia (18) e Regno Unito
(15). La Cina ha anche superato gli States per prestazioni comples-sive, con la
superpotenza asiatica che ora vanta il 35,4% dei flops totali, mentre gli Stati
Uniti si fermano al 29,6%.
La lista dei primi dieci supercomputer al mondo rimane
pressoché invariata rispetto a luglio, con un paio di eccezioni. Davanti a
tutti, per la quarta edizione consecutiva, c'è il cinese Sunway TaihuLight con
prestazioni di 93,01 petaflops misurate in High Performance Linpack (HPL). A
seguire, nettamente staccato, il Tianhe-2 (Milky Way-2) con 33,86 petaflops. Il
supercomputer svizzero Piz Daint, è terzo con 19,59 petaflops dopo
l'aggiornamento dello scorso anno alle Nvidia Tesla P100, che ne hanno più che
raddoppiato le prestazioni.
Il quarto supercomputer al mondo si chiama Gyoukou, ed è un
sistema giapponese capace di offrire una potenza di 19,14 petaflops grazie a
processori Intel Xeon e acceleratori PEZY-SC2. In totale il sistema conta su
19.860.000 core, il livello più alto mai raggiunto da un sistema della TOP500.
Chiude le prime cinque posizioni il Titan, un sistema statunitense con 17,59
petaflops di potenza, figli principalmente degli acceleratori Nvidia Tesla
K20X”.[4]
L’imperialismo statunitense farà di tutto, anche per
evidenti motivi politico-propagandistici, per riconquistare il primo posto
almeno rispetto al supercomputer più veloce al mondo, ma per il momento deve
registrare un’asimmetria ancora più vistosa rispetto alla Cina nel settore
d’avanguardia – e quasi fantascientifico, alla Star Trek di hollywoodiana
memoria – delle comunicazioni quantistiche.
Non si tratta certo di un segreto di stato visto che persino
un quotidiano filoamericano come Repubblica è stata costretto a pubblicare nel
giugno del 2017 un articolo intitolato, in modo significativo, “In Cina la
prima telefonata quantistica”.
“Dallo spazio è dunque arrivato, sulla terra, il primo
trillo che potrà rivoluzionare le telecomunicazioni. Il satellite Micius ha
invitato con un laser coppie di fotoni a due coppie di stazioni a Terra:
Delingha (nella regione del Qinghai, al centro della Cina) e Lijiang (nella
regione dello Yunnan, a sud) e Delingha e Nanshan (nella regione dell’Urumqi, a
nord-ovest); le prime distanti 1203 chilometri, le seconde due 1120”.[5]
“Il teletrasporto quantistico con fotoni, ossia il
trasferimento a lunga distanza dell'informazione codificata da una particella
di luce, è diventato una realtà fin dagli anni novanta e da quando si è
riusciti per la prima volta a dimostrare sperimentalmente il fenomeno
dell'entanglement, uno dei più bizzarri tra quelli previsti dalle leggi della
meccanica quantistica: queste leggi prevedono infatti che gli stati quantistici
di due particelle opportunamente preparate posso-no stabilire tra di loro una
correlazione che si mantiene anche quando le due particelle sono separate tra
loro a una distanza enorme, potenzialmente infinita.
La comunicazione tra stati quantistici entangled è stata
dimostrata negli ultimi decenni per molte particelle, atomi e anche per i
fotoni, ossia i quanti di luce; oltre a fornire le basi per reti di
comunicazione quantistiche, questa tecnologia potrebbe integrarsi in modo quasi
naturale con un altro ambito di ricerche attualmente molto in voga, quello sui
computer quantistici.
L'idea è dunque usare come supporto fisico dei bit, ossia
delle unità d'informazione binaria, non più un interruttore elettrico a due
stati (“acceso” e spento”, corrispondenti a 0 e 1) ma atomi o particelle, e i
loro stati quantistici, che possono assumere un maggior numero di
configurazioni, codificando i bit d'informazione quantistica e incre-mentando
esponenzialmente la capacità di calcolo.
Anche se la ricerca sui computer quantistici e sugli
algoritmi che dovrebbero farli funzionare è ancora agli albori, già si pensa
che il loro naturale complemento possano essere le reti telematiche
quantistiche: i bit quantistici, in altre parole, potrebbero comunicare tramite
l'entanglement.
Ora, in questo campo tecnoscientifico estremamente
interessante e multilaterale, la Cina (prevalentemente) socialista ha acquisito
via via un primato indiscusso creando sia le prime reti telematiche, che
integrano al loro interno l’entanglement e il teletrasporto di dati, che le
premesse materiali per la futura costruzione di computer quantistici: e agli
inizi di ottobre del 2017 è stata realizzata la prima videochiamata quantistica
tra Cina e Austria.[6]
“Oltre allo sviluppo delle intelligenze artificiali, la
tecnologia sta progredendo sempre si più anche verso i computer quantistici.
Qualche giorno fa alcuni scienziati cinesi e austriaci hanno segnato un nuovo
punto nel percorso dell’evoluzione tecnologica legata ai computer quantistici.
Per la prima volta nella storia infatti, è stata realizzata una videochiamata
quantistica.
A realizzarla sono stati i ricercatori della Chinese Academy
of Sciences, della Austrian Academy of Sciences e della University of Vienna i
quali, sfruttando un sistema di telecomunicazioni quantistico, sono stati in
grado di trasferire le informazioni della videochiamata attraverso dei fotoni generati
a terra e fatti rimbalzare dal satellite Micius.
La particolarità di questo sistema di comunicazione non è
tanto nella capacità di veicolazione dei dati (in fin dei conti la videochat è
diffusa da diversi anni a questa parte) ma nella sicurezza che sta dietro la
veicolazione di quei dati.
Se qualcuno tenta d’intercettare i fotoni scambiati tra il
satellite e la stazione di terra e misurare la loro polarizzazione lo stato
quantistico dei fotoni verrà cambiato da questo tentativo di misura, es-ponendo
immediatamente gli hacker, sostiene Johannes Handsteiner della Austrian Academy
of Sciences.
La videochiamata quantistica e la crittografia a essa
applicata usano il cosiddetto entanglement, dove la chiave è inserita
all’interno dei fotoni e inviata davanti al messaggio crittografato sfruttando
il metodo quantum key distribution (QKD)”.[7]
Il gigante asiatico risulta inoltre all’avanguardia anche
nel settore delle nanotecnologie, il quale riguarda la conoscenza, il controllo
e la trasformazione di materia e materiali dalle dimensioni variabili da 1 a
100 nanometri, mentre microscopici nanometri consistono in un punticino di
miliardesimo di metro o, se si preferisce di un millesimo di micron.
Non stiamo parlando di fantascienza ma di materiali che da
tempo sono entrati nell’uso comune e quotidiano in certi settori. Ad esempio in
Cina fin dal 2009 sono stati creati dei calzini con nanoparticelle di argento
in grado di eliminare i cattivi odori e una serie di articoli per animali,
dalle ciotole ai guinzagli, per evitare la trasmissione di malattie batteriche
e virali del cane all’uomo”.[8]
Per quanto riguarda il rapporto di forze creatosi in questo
campo tecnoscientifico tra le diverse nazioni, nel gennaio del 2011 una ricerca
pubblicata dall’autorevole rivista Nature mostrava come fossero Stati Uniti e
Cina al primo posto per numero di pubblicazioni scientifiche relative alle
nanotecnologie.
Secondo la classifica in oggetto gli Stati Uniti allora
erano i primi al mondo con il 23 percento del totale di pubblicazioni,
tallonati dalla Cina la cui quota risultava pari al 22 percento, mentre il
terzo posto veniva condiviso da Germania e Giappone, ciascuno con l’8 percento:
questi risultati costituivano il sottoprodotto di investi-menti cospicui che,
nelle nazioni in esame, risultavano pari a otto miliardi di dollari dal 2008 al
2010.[9]
Il salto di qualità in questo settore hi-tech sta in ogni
caso avvenendo proprio in questi ultimi due anni e vede come protagonista la
Cina, con il suo nuovo super laboratorio sulle nanotecnologie denominato “Nano
X Research Facility”, che sarà inaugurato proprio nel 2018 a Suzhou rendendo il
gigante asiatico il leader della ricerca in questo segmento nell’hi-tech.
“Nella provincia del Jiangsu gli scienziati sono al lavoro
per la messa a punto di una nuova tecnologia in grado di produrre dispositivi
su una piattaforma che simula il vuoto spaziale.
L’impianto di nanotecnologie, a quanto si è appreso dal
quotidiano China Daily, sarà completato entro il 2018 ed ha avuto un
finanziamento iniziale di 320 milioni di
yuan, ovvero circa 42 milioni e 700.000 euro. In futuro prevede di avere un
budget di un miliardo e mezzo di yuan, pari a duecento milioni di euro.
Nano X Research Facility si dedicherà agli studi sulla
materia, alla produzione di dispositivi e ai test sui materiali: gli
esperimenti che verranno compiuti nel nuovo centro serviranno a produrre
soluzioni per i problemi nella scienza dei materiali e nella tecnologia dei
dispositivi e allo sviluppo di tecnologie e dispositivi utili nei campi
dell’energia e dell’informazione.
La Cina non è nuova a questo tipo di esperienze, visto che
essa investe massicciamente nello sviluppo di nanotecnologie e dal 1999 ad oggi
ha aumentato la spesa in tal senso di circa il 20% annuo. Questo ha fatto del
Paese uno dei leader mondiali nel settore delle nanotecnologie, in diretta
concorrenza con gli Stati Uniti, il Giappone e la Germania, e le sue università
sono i centri di maggiore sviluppo di questo settore, con oltre il 40 percento
del totale dei brevetti registrati a livello nazionale”.[10]
Una situazione quasi analoga ormai si sta creando anche nel
futuristico settore dell’Intelligenza Artificiale, dove la Cina si sta ormai
avvicinando rapidamente al momento del sorpasso sugli Stati Uniti.
Analizzando in modo obiettivo e lucido la geopolitica del
progresso tecnoscientifico, la redazione del sito “255” ha notato infatti in
modo significativo che ogni anno l’Associazione per la promozione dell’Intelligenza
Artificiale, gruppo no-profit statunitense sorto nel 1979, riunisce ricercatori
e scienziati “provenienti da tutto per un assemblea che ha l’obiettivo di
rendere noti gli ultimissimi progressi nel settore. L’anno scorso l’annuncio
che l’edizione 2017 si sarebbe tenuta a fine gennaio a New Orleans ha creato un
malumore nella community scientifica cinese: le date sarebbero coincise con i
festeggiamenti del loro capodanno. L’impasse si è risolto spostando data e
luogo: impensabile per gli organizzatori tenere l’assemblea senza il supporto,
fondamentale, dei ricercatori cinesi.
Secondo il giapponese National Institute of Science and
Technology Policy, il numero di studi accademici su intelligenza artificiale e
machine learning vede la Cina posizionarsi al secondo posto proprio dopo gli
Stati Uniti che, al momento, eccellono soprattutto per la qualità delle analisi
proposte, non tanto per la quantità che vede i concorrenti asiatici primeggiare
in modo assoluto.
Sono diversi i fattori dietro il balzo della Cina nel campo
dell’intelligenza artificiale: uno su tutti il vantaggio culturale. I
ricercatori asiatici si sono sempre distinti in settori come la matematica, la
formazione scientifica e l’ingegneria, fondamentali per lo studio
dell’intelligenza artificiale. A ciò si aggiunge il fatto che il paese ad oggi
rappresenti uno dei più grandi mercati internet al mondo con oltre 800 milioni
di utenti: le aziende online si stanno sviluppando alla velocità della luce e,
a implementare i guadagni, i vantaggi competitivi e l’esperienza degli utenti
sarà proprio l’Intelligenza artificiale”.[11]
La pianificazione politico-economico di Pechino sta ormai
giocando un ruolo molto importante nel processo di sviluppo e nel sorpasso
cinese ai danni degli americani nel settore dell’Intelligenza artificia-le.
Fin dall’inizio di luglio del 2017 è stato infatti approvato
un’ambiziosa strategia a lungo termine dal Consiglio di Stato cinese, mediante
un investimento globale di risorse nel settore dell’intelligenza artificiale
pari a 22 miliardi di dollari entro il 2020, mentre nei segmenti legati ad esse
la somma raggiungeva invece quota 150 miliardi di dollari; entro il 2025 tali
valori saliranno rispettivamente a 80 e 650 miliardi di dollari.
Approvato il 21 luglio del 2017, il “Piano di sviluppo
dell'intelligenza artificiale di nuova generazione" prevede di stabilire
in Cina un sistema aperto e collaborativo di innovazione scientifica e
tecno-logica dell'intelligenza artificiale, afferrando la caratteristica di
alto grado d'integrazione tra le proprietà tecniche e sociali di quest’ultimo
persistendo nella promozione della "trinità" relativa
all'intelligenza artificiale, ovvero affrontare i problemi chiave legati al suo
sviluppo e ricerca, l'applicazione del prodotto e la formazione industriale. In
un suo discorso del 21 luglio 2017 il viceministro della scienza e tecnologia
cinese, Li Meng, ha affermato che la "pianificazione" ha delineato la
cianografia per lo sviluppo pianificato dell'intelligenza artificiale di nuova
generazione della Cina stabilendo l'obiettivo "in tre fasi".
"Entro il 2020, le tecnologie complete e le
applicazioni d'intelligenza artificiale dovranno essere in sincronia con il
livello avanzato mondiale; entro il 2025, la teoria di base dell'intelligenza
artificiale dovrà realizzare un importante passo in avanti, e gli aspetti di
tecnologia e applicazione raggiungere un livello mondiale avanzato; nel 2030,
la teoria, la tecnologia e l'applicazione dell'intelligenza artificiale
raggiungeranno complessivamente un livello mondiale avanzato, diventando un
importante centro d'innovazione dell'intelligenza artificiale nel mondo”.[12]
La supremazia cinese su scala mondiale risulta già ora
indiscutibile nel campo dell’alta velocità ferroviaria, settore nel quale
Pechino già nel 2015 aveva costruito ben 18000 chilometri linee destinate solo
ai treni con tecnologia maglev, scavalcando di gran lunga le altre nazioni.
Anche il treno attualmente più veloce su scala planetaria è
il “Fuxing”, che percorre alla velocità media di 350 chilometri orari – con
punte di 400 – la distanza che separa Pechino da Shanghai: ma sta ormai quasi per entrare in funzione un
nuovo proiettile ferroviario inaugurato da poco a Qingdao, che supererà già di
molto le già notevoli prestazioni del Fuxing.
“Viaggerà a 500
chilometri all'ora il nuovo treno inaugurato a Qingdao, in Cina. Supererà
l'attuale treno più veloce del mondo che viaggia a 'soli' 350 km/orari
A Qingdao, in Cina, a circa 800 chilometri da Shanghai, è
stato presentato il treno più veloce del mondo. Si tratta di un prototipo di
treno ad alta velocità in grado di raggiungere i 500 chilometri all’ora.
Supererà l’attuale treno più veloce del mondo, sempre cinese, che viaggia a 350
km/orari.
Il treno è formato da sei carrozze ipertecnologiche e dotate
di ogni comfort all’interno. L’esterno è stato realizzato con materiali
plastici, fibra di carbonio e lega di magnesio, per ridurre il peso e favorire
la velocità. Attenzione anche nei confronti del design: il treno vuole
riprodurre la forma di un’antica spada cinese.
In meno di dieci anni la Cina ha costruito la più grande
rete ferroviaria ad alta velocità del mondo. Secondo i media internazionali,
l’inaugurazione del nuovo treno più veloce del mondo fa parte di un programma
governativo che ha lo scopo di migliorare i sistemi di trasporto del Paese”.[13]
Ma non solo: dopo Los Angeles-San Francisco e la Dubai-Abu Dhabi, anche la Cina sta costruendo
una linea hyperloop con una iper-velocità paragonabile a quello degli aerei.
La China Aerospace Science and Industry Corp (CASIC), uno
dei maggiori enti appaltatori spaziali cinesi, ha infatti annunciato di aver
sviluppato la ricerca del sistema di trasporto futuristico conosciuto con il
nome di hyperloop: la dimostrazione è stata presentata nei giorni scorsi a Wuhan,
la capitale della provincia dell’Hubei e l'hyperloop CASIC sarà costituito da
una linea a levitazione magnetica su cui viaggerà una capsula all’interno di un
tunnel, raggiungendo una velocità di 1000 chilometri all’ora”.[14]
Passando dalle ferrovie hi-tech ai voli spaziali, in tale
segmento tecnoscientifico di altissimo livello, la Cina popolare ha ormai
raggiunto pienamente Russia e Stati Uniti, quest’ultima in pesante crisi per la
fine del costosissimo progetto Shuttle.
Seppur scontando il pesante fallimento della stazione
spaziale Tiangong-1, la Cina è stata in grado con le proprie forze di lanciare
in orbita nel settembre del 2017 la sua nuova struttura orbitale permanente,
denominata Tiangong-2: nel 2017 gli scienziati di Pechino sono altresì riusciti
a inviare un primo cargo automatico alla stazione spaziale replicando anche in
questo settore l’attività della “concorrente” in orbita, ossia quella Stazione
Spaziale Interna-zionale costruita dalla Russia ma attualmente utilizzata da un
pool internazionale con al suo interno anche gli Stati Uniti.
Oltre al cargo automatico del 2017, anche gli astronauti
cinesi Jing Haipeng e Chen Dong hanno raggiunto e abitato per un mese la
Tiangong-2: e laddove i cosmonauti non possono ancora arrivare, Pechino sta
programmando di inviare sulla Luna tutta una serie di sonde automatiche, capaci
di raccogliere campioni e materiali del nostro satellite come non succedeva più
dal lontano 1976.
La sonda cinese Chang’è 5, infatti, “tenterà di riportare
sul nostro pianeta circa due chilogrammi di campioni del suolo selenico, dopo
un atterraggio nella parte nord-orientale dell’Oceanus Procellarum.
Il programma della missione cinese “prevede una sonda
principale che dovrà orbitare attorno alla Luna, che in seguito rilascerà un
modulo di atterraggio. Una volta raccolti i campioni (anche per mezzo di una
trivella) dalla base del modulo di atterraggio lunare, decollerà un modulo di
risalita che effettuerà un aggancio in orbita con la sonda orbitante.
Dopodiché i campioni verranno trasferiti in una capsula che
si troverà all’interno del modulo di rientro, progettato per ritornare sulla
Terra e presente a bordo della stessa sonda orbitante. Il modulo orbitante
lascerà così l’orbita lunare per dirigersi verso la Terra.
Chang’è 5 è una sonda del peso di 82 tonnellate. E sono in
molti, tra gli analisti spaziali, a considerare questa missione come uno
sviluppo delle tecnologie che, negli anni dopo il 2025, dovranno portare i
primi astronauti cinesi sulla Luna. La sonda è formata da quattro parti: una
sonda orbitante, un modulo per il rientro sulla Terra, un modulo di partenza
dalla Luna e un modulo di atterraggio sulla superficie lunare”.[15]
Deve essere altresì rilevato come l’ormai decennale e
consolidata alleanza strategica tra Cina e Russia si stia ormai allargando
anche al campo spaziale. Alla fine di agosto del 2017 le due nazioni hanno
infatti manifestato per la prima volta la chiara e inequivocabile intenzione di
stipulare una storica intesa di lungo periodo sull’esplo-razione spaziale nel
2018-2022, inviando per la prima volta missioni sulla Luna: l’accordo
bilaterale coprirà cinque settori, tra cui esplo-razione lunare e cosmica,
sviluppo di materiali speciali, collaborazione nei sistemi satellitari,
telerilevamento terrestre e ricerca di detriti spaziali.
Tra i “magnifici dieci” della tecnoscienza contemporanea
spiccano altresì la biomedicina e la genetica, e anche in questo particolare
campo della più avanzata praxis socioproduttiva umana la Cina ormai ha
accumulato tutta una serie di risultati e conoscenze di primo livello, a
partire dall’editing genetico: un meccanismo che agisce come una “forbice” a
livello molecolare, guidata da una molecola di RNA e in grado di modificare una
sequenza genetica, la cui scoperta ha creato negli ultimi anni un segmento di
attività scientifica nella quale la Cina ha ottenuto successi tali da far
chiedere in modo provocatorio ad alcuni osservatori scientifici se “il prossimo
Superman” non sarà forse cinese.
Nell’ottobre del 2016 in Cina è stato ad esempio “eseguito
il primo trial clinico su esseri umani di una nuova terapia per il cancro del
polmone basata sulla tecnica di editing genetico CRISPR, pensata per i malati
già sottoposti senza successo ad altri trattamenti, come la chemio e la
radioterapia. La tecnica prevede l'estrazione delle cellule immunitarie
chiamate cellule T dal sangue dei pazienti, a cui viene applicata la tecnologia
CRISPR-Cas9 - in grado di modificare in modo estremamente preciso la sequenza
del genoma - per eliminare un gene dalle cellule.
Il test, supervisionato dal team del professor Lu You della
Sichuan University, il prossimo marzo potrebbe essere replicato da alcuni
studiosi dell'università di Pechino su persone affette da altre tipologie di
tumori, come quello al rene, alla vescica e alla prostata. Uno studio simile è
attualmente in fase di revisione presso l'Università della Pennsylvania e
potrebbe venire ultimato all'inizio del 2017.
“Credo che questo stia per innescare uno 'Sputnik 2.0',
ovvero un duello biomedico tra la Cina e gli Stati Uniti. Il che è importante,
perché la concorrenza di solito migliora il prodotto finale”, ha dichiarato
alla rivista scientifica Nature Carl June, uno specialista di immunoterapia
nonché consulente scientifico per lo sviluppo della tecnica negli Stati Uniti.
Ma in realtà «quando si parla di editing genetico, la Cina è al primo posto»,
ha dichiarato al magazine Science Tetsuya Ishii, bioeticista alla Hokkaido
University di Sapporo. Quello di ottobre è infatti soltanto l'ultimo di una
serie di record inanellati dal gigante asiatico nel campo dell'editing genetico
col sistema CRISPR, già utilizzato oltre la Muraglia per la prima cura di
embrioni umani e le prime scimmie OGM. “Uno degli elementi più importanti dello
sviluppo CRISPR in Cina è la vastità del suo impiego”, commentava mesi fa ai
microfoni della Cnn Christina Larson, corrispondente per la rivista Science,
“viene sviluppato in diversi modi e in molti laboratori differenti”. [16]
Anche altri centri di ricerca fuori dai confini cinesi hanno
ammesso, verso la fine del 2016, che in ogni caso “è innegabile che la Cina si
collochi prima, ancora una volta, nei traguardi delle nuove tecniche del genome
editing. Lo aveva già fatto nell’aprile del 2015 con la prima pubblicazione,
rifiutata da Nature e da Science, sull’applicazione di Crispr-Cas9 su cellule
di embrioni umani. Un fatto non casuale. La Cina sembra infatti avere tutta
l’intenzione di vincere questa sfida con gli Stati Uniti. In generale, gli
investimenti cinesi in ricerca e sviluppo negli ultimi anni sono cresciuti in
maniera esponenziale. Secondo i dati del rapporto 2016 Science and Engineering
Indicators, nel 2013 la Cina ha speso in ricerca e sviluppo 336,5 miliardi di
dollari (pari al 20% della spesa totale a livello mondiale nel settore),
posizionandosi solo alle spalle degli Usa che hanno speso 456,1 miliardi (il
27% del totale).
«Questo è un trend che porterà la Cina nel 2019 a essere il
primo Paese al mondo in questo settore, come le previsioni Ocse ci dicono. E
già da tempo la Cina è il primo paese come numero di brevetti: 820 mila nel
2013», dice a pagina99 Alberto Forchielli, autore del libro Il potere è noioso
(Baldini&Castoldi, 2016), profondo cono-citore del mondo del business
asiatico e partner fondatore della società di private equity Mandarin Capital
Partners”.[17]
Dal processo sopracitato di accumulazione di conoscenze
tecno-scientifiche sono via via emersi tutta una serie di concreti contributi
del gigante asiatico in campo genetico tra i quali si possono ricordare la
produzione di cromosomi sintetici (del lievito, per il momento), la clonazione
di un cane con modifiche genetiche delle cellule somatiche e alla per così dire
“coltivazione” e crescita artificiale di parti del corpo, come nel caso di un
orecchio fatto crescere sul braccio di un paziente cinese. [18]
Passando invece al settore in grande sviluppo
dell’automazione e della produzione di robot, persino gli osservatori
occidentali sono stati costretti a riconoscere con stupore nel corso del 2017
che anche se in ritardo sul piano qualitativo
“la Cina è già il più grande produttore mondiale di robot industriali.
Il Paese ha una quota di circa il 27% del mercato globale. E al tempo stesso è
anche il più grande acquirente di robot al mondo. Si calcola che le aziende
cinesi abbiano spesso circa 3 miliardi di dollari per acquistare dispositivi
robotici nell’ultimo periodo. Tutti questi dati derivano da una ricerca della
Federazione Internazionale di Robotica (IFR). Nonostante la rapida crescita, in
Cina l’industria della robotica deve ancora arrivare a livelli di eccellenza
assoluta. La maggior parte dei robot industriali che la Cina produce, infatti,
non sono molto complessi e non sono paragonabili con quelli realizzati in
Giappone o in Svizzera. In questa ottica le aziende cinesi stanno iniziando a
comprare società estere. Lo scorso anno la cinese Midea ha acquistato per 5
miliardi di dollari il gruppo tedesco Kuka, uno dei leader della robotica
mondiale”.[19]
Agli inizi di marzo del 2017 il ministero dell’industria
cinese non solo aveva annunciato che nell’anno precedente la produzione di
robot era aumentata del 34,3% e più di
un terzo rispetto al 2016, con un numero di robot prodotti pari a 72400 unità e
a più di un quarto del totale mondiale, ma aveva altresì sottolineato che il tredicesimo
piano quinquennale, dal 2016 fino al 2020, aveva previsto di raggiungere la
produzione annua di centomila robot coinvolti nella produzione industriale,
mentre il volume di vendite negli automi impiegati invece nel settore dei
servizi sarebbe salito fino a toccare i 4,6 miliardi di dollari all’anno.[20]
Il processo di automatizzazione risulta ad esempio molto
avanzato alla Huawei, la più grande azienda cinese nella produzione di
smartphone.
Infatti i principali modelli di Hauwei, in questo momento il
Mate 9 e il Mate 9 Porsche Design, vengono prodotti in una fabbrica dove l’uomo
ha solo un ruolo di controllo e di gestione, nello specifico il caricamento dei
componenti in esaurimento all’interno delle enormi macchine robot.
L’assemblaggio e il montaggio degli smartphone top di gamma è totalmente
automatico e viene fatto con una precisione che l’uomo non può avere, dal
serraggio delle viti alla deposizione degli adesivi. “Utilizzare i robot ad
oggi costa di più, non solo per la manutenzione: programmare un robot per fare
uno smartphone è decisamente più difficile che insegnarlo ad un uomo, ma il
risultato ci dà ragione”. Non è escluso che, in futuro, tutta la produzione
possa essere automatizzata con benefici a tutti i livelli e in ogni caso cade
un mito occidentale, quello delle batterie di operai cinesi chini su un tavolo
a montare smartphone con turni di lavoro massacranti: paradossalmente Huawei
utilizza l’assemblaggio umano molto meno di quanto facciano le multinazionali
americane e europee.
In questo contesto diventò molto più facile comprendere la
creazione in terra cinese della “dea robot” Jia Ja, una struttura androide con
le sembianze di una bellissima donna capace di intrattenere una conversazione
semplice; oppure del robot capace nel 2016 di scrivere, in un solo secondo, un
articolo di trecento caratteri per un giornale; dell’automa che a partire dal
2017 è in grado di effettuare l’esame di ammissione all’università dei giovani
cinesi, il difficilissimo Gaokao, oppure l’apparizione dei mille robot che
hanno ballato simultaneamente a Guangzhou nella provincia del Guandong,
nell’estate scorsa.
Anche il penultimo settore dei “magnifici dieci”, ossia la
realtà virtuale, negli ultimi tre anni parla sempre più cinese.
Un sito specializzato nel segmento scientifico e produttivo
in oggetto ha evidenziato che la Cina dovrebbe vedere “crescere il mercato
della realtà virtuale da 1,5 miliardi di yuan (circa 230 milioni di dollari)
del 2014 a 55 miliardi di yuan (8,4 miliardi di dollari) entro il 2020 e per questo
i tre maggiori colossi del web cinese, Baidu, Alibaba e Tencent, forti di una
base clienti complessiva di oltre 688 milioni di utenti solo in patria, stanno
investendo molto in startup, almeno 200 delle quali sono attive proprio nel
settore della realtà virtuale.
Più che puntare come Sony, Facebook o HTC, sullo sviluppo di
dispositivi, i gruppi cinesi sembrano volersi specializzare nella creazione di
contenuti e piattaforme per condividerli. Il segmento al momento più
promettente appare quello dei video online, visto che circa 504 milioni di
cinesi si collega regolarmente a siti di streaming, ma i video immersivi e le
applicazioni per videogiochi (in Cina lo scorso anno vi sono stati 391 milioni
di giocatori online) sembrano poter essere il primo settore di realtà virtuale
a giungere a piena maturità.
Nel frattempo dei circa 6,3 milioni di visori per realtà
virtuale che si stima verranno messi sul mercato quest’anno, almeno il 40% avrà
come destinazione la Cina, secondo quanto ha riportato l’agenzia Bloomberg,
notando come ancora non sia emerso con chiarezza un leader nel settore dei
contenuti di realtà virtuale così che provider locali, editori di videogiochi e
service provider stanno tutti tentando di indirizzare lo sviluppo della realtà
virtuale oltre la sola produzione di dispositivi hardware”.[21]
Non si tratta solo di videogiochi e della (importante, anzi
vitale) attività ludica, ma siamo in presenza di un segmento di praxis
collettiva che ha anche delle significative ricadute scientifiche, in combinazione
con l’uso di supercomputer.
Infatti alla fine di luglio del 2017 un collettivo di
scienziati cinesi è riuscita a produrre la più grande simulazione di un
universo virtuale mai creato fino ad oggi, utilizzando prestazioni del
supercomputer Sunway Taihulight e battendo il precedente primato detenuto
dall’università di Zurigo. “Nei fatti, si è trattata di una simulazione cinque
volte più grande di quella europea, anche se questa ha funzionato solamente per
'un'ora, contro le ottanta ore della controparte svizzera.
A cosa servono queste simulazioni? L'idea è riuscire a
studiare i meccanismi che hanno portato l'Universo dal Big Bang alle condizioni
attuali, far luce su materia oscura e componenti più misteriose, ed infine
capire come possa procedere l'espansione dell'Universo. Ora l'obbiettivo del
team cinese è riuscire a simulare quanto avvenuto dalla nascita dell'universo
fino ai giorni nostri, coprendo il totale di 13,8 miliardi di anni ipotizzati”.[22]
Per quanto riguarda infine l’ultimo, ma non certo per importanza
– dei “magnifici dieci”, il presidente cinese 8e segretario generale del
partito comunista cinese) ha voluto sottolineare con forza l’importanza
dell’economia digitale della “Via della Seta di Internet” anche il 3 dicembre
2017, in occasione della conferenza mondiale su internet tenutasi nella città
cinese di Wuzhen.
Molte notizie, di regola poco conosciute in terra
occidentale, emergono in ogni caso dalla sezione cinese di internet. Ad esempio
in Italia ben pochi sono attualmente a conoscenza che non solo la Cina nel 2017 ha sperimentato la prima
rete quantistica commerciale al mondo, ma ha raggiunto altresì di recente un
primato – misconosciuto o passato quasi completamente sotto silenzio – anche
nel variegato mondo dei servici digitali.
Proprio la struttura centralizzata di governo della rete in
Cina ha infatti favorito il processo di creazione e diffusione di servizi digitali molto
avanzati, che “hanno raggiunto livelli di penetrazione senza eguali nei mercati
occidentali.
Il mercato dei pagamenti elettronici operati con device
mobili – smartphone in primo luogo – è esploso, ad esempio, passando dal valore
di 31.7 milioni di dollari nel 2012 a 1.83 trilioni di dollari nel 2016.
Secondo iResearch, citata di recente anche dal Financial Times, il valore dei
pagamenti elettronici mobili in Cina ha raggiunto i 5,5 trilioni di dollari nel
2017, 50 volte maggiore del valore totale del mercato USA, che si ferma a 112
bilioni di dollari.
Al contempo, gli “e-wallets”, o portafogli elettronici,
rappresentano il 58% del totale delle transazioni e pagamenti online effettuati
Cina. Si tratta della più alta percentuale a livello globale e indica che i
pagamenti elettronici su device mobile sono parte integrante dell’esperienza di
acquisto del consumatore locale. Negli Stati Uniti, la penetrazione non supera
il 15%, in Gran Bretagna si ferma al 23%.
All’interno della Grande Muraglia, la Cina sta creando una
società completamente digitale. Non solo le comunicazioni, siano queste tra
privati, aziende o con le autorità pubbliche, ma anche i servizi, vengono
erogati e fruiti in un ecosistema internet integrato ed autonomo. La natura
centralizzata dell’internet cinese peraltro, agevola la costituzione e
l’affermazione di piattaforme digitali multifunzionali come l’onnipresente
WeChat.
Lanciata dal colosso produttore di giochi online, Tencent,
solo cinque anni fa, WeChat, nata come app di comunicazione è diventata un vero
e proprio hub di servizi digitali. L’ubiquità della rete si traduce
nell’ubiquità del cittadino-consumatore.
Avendo ormai acquisito più di 800 milioni di utenti, cioè
quattordici volte la popolazione italiana, la struttura di WebChat gestisce
larga parte delle “transazioni di affari, contatti sociali, acquisto di
assicurazioni o shopping. Tutto si fa – e passa – attraverso WeChat. L’app di
Tencent è oggi il punto di accesso privilegiato a internet al di qua della
Muraglia e dello Scudo d’oro. In ogni istante della giornata, dall’alba al
tramonto, il cittadino-utente cinese esiste nel cyber-universo delimitato da
WeChat, usufruisce dei servizi disponibili senza interruzione e soddisfa i
propri bisogni.
L’aspetto forse più significativo, quello che maggiormente
sollecita l’immaginazione degli evangelisti dell’economia digitale, Facebook in
testa, è la promessa di un’economia senza contante che WeChat sembra in
procinto di realizzare.
Le numerose funzioni di questo hub di servizi comprendono la
possibilità di inviare “donazioni” digitali ad amici e parenti o, come già
fanno alcune aziende, di pagare gli stipendi ai propri collaboratori. Il
cittadino-consumatore può quindi navigare attraverso necessità e funzioni
quotidiane senza mai dover mettere mano al portafogli o alla carta di credito.
Pagare un caffè da Starbucks, prenotare un ristorante o una visita medica è
soltanto una questione di qualche click”.[23]
Nell’aprile del 2016 Pietro Greco ha elaborato una sintesi
sulla materia in discussione evidenziando i progressi giganteschi della Cina
nella ricerca scientifica di base e nella quota rispetto alle produzioni mondiale
di beni hi-tech.
Greco aveva innanzitutto precisato che il 17 dicembre del
2015 “la Cina ha lanciato nello spazio il satellite Wukong (il Re delle
Scimmie, dal nome del guerriero protagonista di un’antica fiaba). Il suo nome,
per così dire, scientifico è Dark Matter Particle Explorer (DAMPE) e la sua
missione è dare la caccia a quella materia oscura di cui non conosciamo la
natura ma che (pare) costituisce l’85% di tutta la materia cosmica.
Wukong non è che il pioniere di una serie di satelliti che l’Accademia
Cinese delle Scienze intende lanciare per portare a termine quel Progetto
Prioritario Strategico di Scienza dello Spazio varato, con il beneplacito del
governo, nel 2011. Un programma importante che manifesta l’intenzione della
Cina: diventare protagonista della ricerca scientifica nel cosmo. Potremmo
citare altri casi, per dimostrare che la Cina vuole diventare (sta diventando)
un gigante in grado di competere con USA ed Europa anche nel campo della
scienza di base. Per esempio il progetto JUNO, che prevede la creazione entro
il 2020 in un nuovo e gigantesco laboratorio sotterraneo per la ricerca dei
neutrini nel sud della Cina, nella provincia di Guangdong, a 43 Km dalla città
di Kaiping.
Ma nulla meglio dei numeri ci fornisce una chiara indicazione
di quello che sta succedendo in Cina e, di conseguenza, nella geografia globale
della ricerca. Per esempio i numeri resi pubblici dall’americana National
Science Foundation (NSF) con il recente rapporto Science and Engineering
Indicators 2016. Proviamo a riassumerli. Con 340 miliardi di dollari (calcolati
a parità di potere di acquisto della moneta), la Cina ha raggiunto gli
investimenti in ricerca scientifica e sviluppo tecnologico (R&S)
dell’intera Europa e ora è seconda solo agli Stati Uniti. Anche in termini
relativi, col 2,1% rispetto al PIL (Prodotto interno Lordo), la Cina ha
raggiunto e superato l’Europa e non è molto lontana dagli Stati Uniti (2,7%).
Ma è il ritmo di crescita a destare impressione. Come
documenta la NSF, gli investimenti cinesi in R&S nel periodo 2003-2013 sono
cresciuti al ritmo del 19,5% annuo. Più del doppio del ritmo di crescita del
PIL. La velocità di crescita dell’intensità degli investimenti è rimasta
sostanzialmente costante sia nel periodo della grande crisi economica mondiale
(che ha solo sfiorato la Cina) sia negli ultimi anni, nel corso dei quali la
crescita del PIL ha rallentato passando da oltre il 10% a poco meno del 7%
annuo. Il che indica, come vedremo, una chiara intenzione: diventare leader al
mondo nell’economia della conoscenza. Il medesimo obiettivo (per ora fallito)
che l’Unione Europea si era dato nell’anno 2000.
In ambito industriale (produzione di beni ad alto valore di
conoscenza aggiunto) la Cina è già sulla buona strada. Le sue industrie hi-tech
sono responsabili, ormai, del 29% del PIL cinese. E generano il 27% della
produzione mondiale di beni hi-tech, preceduti ancora di poco solo dalle
industrie USA, che rappresentano il 29% della manifattura hi-tech del pianeta.
Che non si tratti di una situazione contingente, lo
dimostrano i numeri relativi a un settore collegato alla produzione ad alta
intensità di conoscenza: la formazione. Tra il 2000 e il 2012 il numero di
laureati in scienza o ingegneria in Cina è aumentato del 300%. E addirittura
del 1000% nelle materia non scientifiche o tecniche. Segno che si tratta di
un’espansione che riguarda tutto l’universo culturale. Così oggi nel paese del
Dragone il 49% di tutti i laureati (laurea di primo livello) è specializzato in
materia scientifiche o in ingegneria (contro il 33% dei laureati negli Stati
Uniti). Ciò fa sì che oggi la Cina, con meno del 20% della popolazione
mondiale, vanti il 23% dei 6 milioni di giovani al mondo laureati in materia
scientifiche o tecniche, contro il 12% degli Europei e il 9% degli Stati
Uniti”.
Detto in altri termini, quasi un quarto dei nuovo laureati
al mondo in ingegneria e nelle diverse sezioni delle scienze naturali è cinese,
contro il misero 9% ottenuto viceversa dagli USA nel settore della forza-lavoro
iperqualificata: e il ricercatore Pino Greco ha lucida-mente colto nel segno
evidenziando che proprio “su questi giovani la Cina intende costruire il suo
futuro di paese leader al mondo nell’economia della conoscenza. Il 13° Piano
quinquennale approvato di recente dal Congresso del Partito Comunista ha
definito l’obiettivo per il 2020: aumentare l’intensità degli investimenti in
R&S fino al 2,5%. E ha anche individuato le principali piste di ricerca da
percorrere: la già citata esplorazione dello spazio profondo; la comunicazione
e la computazione quantistiche; il cervello; la sicurezza nazionale nel
cyberspazio; l’uso efficiente e pulito del carbone; la robotica industriale,
medica e militare; le applicazioni delle scienze genetiche; le applicazioni nel
settore dei big data; l’esplorazione sottomarina più profonda; la creazione di
una stazione antartica e di un osservatorio artico”.[24]
La lucida analisi di Greco contiene – in modo assolutamente
incolpevole – un solo limite e un unico difetto: dall’aprile del 2016 sono
ormai passati quasi due anni e persino tale breve periodo ha fatto invecchiare
precocemente alcune tesi di Greco, visto:
-
lo sviluppo esponenziale dei supercomputer in terra cinese
ivi compresa la vicina costruzione a Pechino di un prototipo di computer
exascale, in grado di compiere un nuovo salto di qualità rispetto ai sistemi di
calcolo attuali;
-
l’introduzione della comunicazione quantistica da parte
della Cina proprio nel corso degli ultimi due
anni;
-
il ritmo incalzante di incremento e l’ulteriore sviluppo
della massa di investimenti cinesi nella ricerca scientifica – ivi compresa
quella di base – e tecnologica, oltre che nel numero di scienziati e
ricercatori. Si stanno ormai verificando sul campo e in anticipo le previsioni
di uno studio dell’insospettabile OCSE (“Outlook 2014” su scienze, tecnologia e
industria) pubblicato nell’autunno del 2014, secondo le quali la Cina sarebbe
diventata prima nel mondo in ricerca e sviluppo entro il 2019.[25]
Missione in gran parte compiuta, da parte di Pechino: e si è
già notato in precedenza che persino nel suo principale tallone di Achille, la
produzione di microchip, la Cina Popolare sta compiendo rapidamente passi da
gigante.
Proprio all’inizio del 2017 il gruppo cinese Tsinghua
Unigroup, presieduto da Zhao Weigou, ha deciso di investire l’enorme somma di
30 miliardi di dollari in una gigantesca fabbrica di semiconduttori a Nanchino,
in una struttura in grado di produrre ogni mese circa 100.000 chip di silicio
quando sarà a pieno regime produttivo, mentre nel marzo del 2016 la stessa
azienda cinese ha avviato la costruzione di un’altra enorme fabbrica a Wuhan,
dal costo di 24 miliardi di dollari.[26]
Anche in questo settore la “rete” tecnoscientifica lanciata
dalla Cina sta portando a galla ottimi risultati: ad esempio il 6 novembre del
2017 la società cinese Cambricon, sostenuta direttamente dalla prestigiosa
Accademia delle Scienze di Pechino, ha lanciato pubblicamente una nuova
generazione di chip per l’intelligenza artificiale, venti volte più veloce dei
microchip attuali e con un minore dispendio energetico.
A dispetto di ritardi, errori e insuccessi a volte molto
gravi, come nel caso dell’ormai pericolante stazione spaziale Tiangong-1, la
Cina prevalentemente socialista si è conquistata sul campo nel corso del 2017
il primato su scala mondiale anche in campo tecnoscientifico: non è del resto
un caso che il gigante asiatico risultasse dal 2012 al primo posto su scala
planetaria nelle richieste di brevetti, segno evidente di vitalità creativa
nella ricerca e nell’innovazione avente per oggetto del “lavoro universale” e
quella conoscenza collettiva giustamente esaltata da Marx anche nel terzo libro
del Capitale.
Non è inoltre casuale che un’autorevole rivista come Le
Scienze, non certo sospettabile di simpatie filocinesi, nel dicembre del 2017
abbia pubblicato un articolo intitolato in modo significativo “Il momento della
Cina”, nel quale si ammetteva la possibilità per il gigante asiatico di “porsi
all’avanguardia” mondiale nel settore della scienza e della tecnologia.
Cina, poliziotti a caccia di criminali con
occhiali a riconoscimento facciale
Smart glasses, polizia cinese ferma i criminali
con occhiali a riconoscimento facciale Polizia cinese con smart glasses
di Paolo Travisi
Appena un millesimo di secondo per capire se una
persona è schedata come criminale o ritenuta sospetta. La polizia cinese compie
un enorme passo in avanti nella prevenzione e sicurezza. Il merito, ancora una
volta, è della tecnologia. Il governo di Pechino infatti, ha dotato gli agenti
di polizia ferroviaria in servizio nella cittadina di Zhengzhou, di occhiali
hi-tech con microcamera incorporata, collegata via bluetooth a tablet
contenenti un database di 10.000 ricercati. Si tratta di un servizio
sperimentale avviato nel periodo che coincide con il Capodanno Lunare, giorni
di grandi spostamenti in Cina.
Ma non c'è folla che consenta di camuffarsi,
assicurano dalla LLVision Technology, l'azienda che ha realizzato questi smart
glasses. Infatti ogni dispositivo, grazie al sofisticato occhio digitale della
telecamera, è in grado di riconoscere i lineamenti facciali di sospettati,
anche in luoghi molto affollati (come stazioni ed aeroporti), confrontarli con
le foto segnaletiche presenti sui tablet, consentendo ai poliziotti un
intervento in tempi rapidissimi.
E' già successo in due casi, come riporta il
quotidiano cinese People's Daily, nell'ala est della stazione ferroviaria di
Zhengzhou, dove sono stati riconosciuti ed arrestati sette presunti malviventi
in fuga e fermate 26 persone che viaggiavano con documenti falsi. Ogni nuova
tecnologia però, non manca di sollevare perplessità sulle sue applicazioni. In
merito alla questione, il Wall Street Journal ha riportato le dichiarazioni di
un ricercatore di Amnesty International, preoccupato dal controllo onnipresente
sulla popolazione, da parte delle forze dell'ordine cinesi. Gli occhiali
infatti, consentirebbero di rintracciare anche dissidenti politici e minoranze
etniche schedati dal governo di Pechino come ricercati. E gli occhi degli
agenti in strada moltiplicherebbero l'effetto “grande fratello”. A questo si
aggiunge il programma governativo, che nel prossimo triennio, installerà 400
milioni di telecamere in tutta la Cina e - secondo l'articolo del WSJ – sta
creando un database di tutti i cittadini.
Martedì 13 Febbraio 2018 -
[1] Karl Marx, “Il Capitale”, libro primo, capitolo primo,
primo paragrafo
[2] Deng Xiaoping,
“Selected Works”, terzo volume, settembre 1988, “Science and tecnology
constitute a primary productive force”.
[3] C. Lavalle, “Nella corsa dei supercomputer la Cina
batte gli Stati Uniti”, 15 novembre 2017, in La Stampa
[4] M. De Agostini, “Supercomputer, la Cina stacca gli
Stati Uniti”, 14 novembre 2017, in www.tomshw.it
[5] E. Dusi, “In Cina la prima telefonata quantistica”, 15
giugno 2017, in la Repubblica
[6] “Teletrasporto quantistico, la prima volta sulla
rete”, in www.lescienze.it, 19 settembre 2016
[7] L. Spada, “Realizzata la prima videochiamata
quantistica tra Cina e Austria”, 3 ottobre 2017, in www.tuttotech.it
[8] “Nanotecnologie: nuovi orizzonti o nuovi pericoli?”,
17 marzo 2009, in www.agronotizie.imagelinenetwork.com
[9] “Nanotecnologie. USA e Cina primi al mondo per
pubblicazioni: alta quantità ma bassa qualità delle scoperte”, 12 gennaio 2011,
in www.venetonanotech.it
[10] “Nanotecnologie: la Cina leader nella ricerca”, 29 marzo 2017, in www.passaggimag.it
[11] “Geopolitica del progresso: l’avanzata cinese è a
colpi di Intelligenza Artificiale”,9 giugno 2017, in www.255.it
[12] “Cina: pubblicato il primo Piano sull’intelligenza
artificiale”, 21 luglio 2017, in www.italiancri.cn.
[13] “Cina, inaugurato il treno più veloce del mondo”,
in www.siviaggia.it
[14] “La Cina del futuro con hyperloop”, settembre 2017, in
www.chinanewsitaly.com
[15] “Dalla Cina alla Luna (e ritorno)”, 1 febbraio 2017,
in La Stampa
[16] “Superman sarà cinese?”, dicembre 2016, in
www.cinasia-baochai.blogspot
[17] “Pechino vuole creare il Google dell’editing
genetico”, 2 dicembre 2016, in www.pagina99.it
[18] “Dalla gravità artificiale alle “coltivazioni” di
parti del corpo: ecco perché i BRICS sono più avanti di noi”, 14 novembre 2016,
in www.opinnionepubblica.it
[19] “Cina pronta alla rivoluzione: saranno i robot a
gestire le industrie”, marzo 2017, in tecnologia.libero.it
[20] “Cina. Aumentata la produzione di robot industriali”,
15 marzo 2017, in www.agcnews.it
[21] “La realtà virtuale parla sempre più cinese”, 31
maggio 2016, in www.mondivirtuali.it
[22] “Scienziati
cinesi ricreano l’universo virtuale più grande di sempre”, 31 luglio 2017, in
www.hdblog.it
[23] “Cina verso dominio di internet. Pechino sperimenta la
prima rete quantistica commerciale”, 13 luglio 2017, in www.formiche.net
[24] P. Greco, “La Cina si avvicina: i grandi passi in
avanti del nuovo gigante della ricerca”, 18 aprile 2016, in
www.scienzainrete.it
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