GLI OPERAI NEGLI ANNI “DOPO CRISTO” DI MISTER MARCHIONNE.


Riceviamo e pubblichiamo dalla redazione torinese di Lotta Continua
GLI OPERAI NEGLI ANNI “DOPO CRISTO” DI MISTER MARCHIONNE.
Nell’autunno del 2010, a pochi mesi dal referendum di Pomigliano e nel pieno della bufera della crisi economica, Marchionne, nel rispondere a chi lo criticava, divideva la storia in un’epoca “prima di Cristo” e in una fase “dopo Cristo”. Per la precisione usò questa metafora: “Io vivo nell’epoca dopo Cristo, tutto quello che è accaduto prima di Cristo non mi riguarda e non mi interessa”. Tradotto intendeva sbattere in faccia ai lavoratori una realtà secondo cui i diritti del passato, le rivendicazioni operaie, il conflitto fra padroni e operai vanno collocati nella ‘preistoria’ dei rapporti del lavoro. Nell’epoca “dopo Cristo” padroni e operai hanno gli stessi interessi, devono stare dalla stessa parte per affrontare la concorrenza internazionale e, soprattutto, i dipendenti devono piegare la testa e affidarsi completamente alla mission della dirigenza aziendale. Questo è stato il messaggio mandato dall’Amministratore Delegato non solo ai suoi operai, ma a tutto il mondo industriale. I grandi funzionari del Capitale hanno sempre una coscienza e una visione chiara del ruolo da assegnare ai propri sottoposti, sono capaci di esprimerla con formule efficaci e sintetiche. Andrebbero sempre ascoltati con la massima attenzione.
Marchionne assume la carica di Amministratore Delegato del Gruppo Fiat nel 2004. Viene chiamato dalla famiglia Agnelli, due anni dopo la morte di Gianni Agnelli, per mettere mano alle carenze di strategia del Gruppo, per procedere nella definizione di indispensabili alleanze internazionali, per accrescere il valore dei diversi settori del Gruppo in una probabile prospettiva di mirate dismissioni. Ricordiamo che fu accolto, in modo unanime, come il “salvatore”, il manager buono e moderno. Pensiamo solo all’accoglienza calorosa del mondo politico, dei sindacati e anche di un personaggio come Bertinotti.
Ci limitiamo ora a toccare due soli aspetti della complessa manovra realizzata dalla dirigenza Fiat: il significato politico del piano “Fabbrica Italia” e le innovazioni produttive con uno sguardo particolare al WCM e all’Ergo-Uas
Come possiamo dunque sintetizzare il senso politico dell’azione condotta dall’AD Marchionne?
In primo luogo va ricordato che in gioco, nel capitalismo industriale odierno, non abbiamo solamente il mondo della produzione in senso stretto. Al centro dell’iniziativa della dirigenza Fiat troviamo le logiche finanziarie del Gruppo: la necessità di accrescere il valore delle azioni, di rifinanziare l’azienda attraverso prestiti contratti con le grandi banche e con l’emissione di obbligazioni. Si tratta quindi di avere le carte in regola da spendere sul mercato finanziario, quindi buona credibilità, prestigio e reputazione. Il rilancio finanziario passa necessariamente attraverso la costruzione dell’immagine di un’impresa normalizzata, priva della possibilità di conflitti interni, con una forza-lavoro flessibilizzata, ubbidiente, disponibile a produrre quando il mercato lo richiede, sabati e festività comprese, compartecipe attiva del successo dell’impresa, spremuta al massimo con tecniche scientificamente consolidate. L’attrazione degli investitori si realizza svincolando il Gruppo dagli obblighi del Contratto Nazionale del settore, creando le condizioni che consentano in prospettiva di smembrare il Gruppo e collocare sul mercato i pezzi più appetibili. Il valore finanziario dell’ “accordo” sta in questi aspetti che rendono possibile attrarre gli investimenti della rendita finanziaria.
Veniamo quindi a un aspetto politico del piano Marchionne. L’accordo imposto dal gruppo dirigente Fiat fa saltare il modello delle relazioni industriali basato sulla doppia contrattazione, nazionale e aziendale. Un modello, se vogliamo, già intaccato dalle varie possibilità di deroghe, ma ancora in vigore. Con il nuovo accordo l’ottica viene completamente ribaltata; il Contratto aziendale diventa la norma. In questo modo il Gruppo ha la libertà di superare quei vincoli, quelle garanzie, già impoverite, previste dal Contratto nazionale. Da quel momento in tutte le aziende Fiat sarà in vigore il contratto aziendale.
Un terzo aspetto riguarda l’estensione della flessibilità all’interno delle fabbriche del Gruppo. Per diversi aspetti l’incertezza tipica della condizione precaria entra in un grande gruppo industriale, in una realtà che si pensava tutelata e protetta. Anche su questo aspetto Marchionne si pone come avanguardia dell’attacco alla condizione operaia. Anche grazie alla crisi (che Marchionne sa abilmente sfruttare) la distinzione fra la condizione del lavoro precario e la percezione di aver perso delle garanzie e dell’incertezza, diventa meno netta. Il confine ben definito all’interno del mercato del lavoro fra un nucleo forte e garantito e la moltitudine dei lavori precari si sgretola sempre di più.
A proposito dell’accettazione del piano Marchionne da parte dei sindacati firmatari si è parlato di “accordo”, su questo temine del tutto impreciso così si è pronunciato un operaio Fiat: “Per poter parlare di accordo devono confrontarsi due parti: lavoratori e impresa. Qui non è stato così, non è stato contrattato nulla. I sindacati firmatari si sono inginocchiati agli ordini della Fiat. Di fronte al “prendere o lasciare” di Marchionne, i sindacati si sono inchinati. Tutto qui.”
Il senso profondo di quel “dopo Cristo” di Marchionne non si può dire sia stato colto da parte dei grandi sindacati, dei resti della sinistra riformista e nemmeno da parte delle piccole realtà antagoniste. L’uscita di Marchionne sintetizzava con uno slogan un programma politico che andava molto oltre i confini della sua azienda. In quel passaggio storico, fra il 2010 e il 2011, si collocava al centro della scena politica ed economica e con un’azione di forza, a passo di carica avviava un’azione che travolgeva il sistema delle relazioni industriali (cioè i rapporti di forza tra le classi) da tempo addormentate nella complicità reciproca delle logiche e degli apparti della cogestione e della concertazione.
Il “signore degli Agnelli” si è imposto col favore e con l’ampia collaborazione di governo, partiti, sindacati e sistema dell’informazione:
·      Innanzitutto ha goduto del fiancheggiamento dell’azione governativa che si è mossa nella direzione di smontare via via il quadro normativo per come era stato stabilito dallo Statuto dei lavoratori del 1970.
·      La maggior parte dei sindacati ha accettato il piano “Fabbrica Italia”. Troppo forte è stata per loro l’ansia di trasformarsi completamente in enti di collaborazione in vario modo retribuiti di soldi pubblici oltre che dalle quote del tesseramento (oramai insufficienti per mantenersi come ceto e struttura burocratica).
·      Il sistema dell’informazione quasi completamente schierato a sostegno di Marchionne indicato come un campione della modernità, dell’efficienza produttiva, come l’ultima risorsa per non perdere posizioni del “sistema paese” nella divisione internazionale del lavoro.
L’iniziativa della Fiat, come spesso è successo in passato, si è posta come una operazione di egemonia su tutto il mondo delle imprese industriali. Tutto lo schieramento padronale ha fatto propria la manovra di Marchionne vista come ciò che serve all’impresa, una necessità indiscutibile perché “è così che oggi va il mondo”. “Rifiutare il cambiamento significa rifiutare il futuro”, “Se non siamo disposti ad adeguarci a un mondo che cambia, ci ritroveremo costretti a gestire solo i cocci del nostro passato industriale”, “Non siamo più negli anni 60-70…non è possibile gettare le basi del domani se si continua a pensare che ci sia una lotta fra padroni e operai”. Da queste dichiarazioni di parte padronale sono passati più di sette anni e tutti possono valutare il senso dei cambiamenti intervenuti nel mondo del lavoro.
I soli a capire la realtà del piano “Fabbrica Italia”, il bluff dei 20 miliardi di investimenti previsti in Italia in cambio della completa sottomissione, sono stati quella massa di operai che nelle officine di Mirafiori hanno votato in maggioranza “NO” al referendum, accomunati in questo dal 41% di voti negativi di Pomigliano. Voti contrari nonostante il terribile ricatto di perdere il lavoro e di delocalizzazione delle attività produttive. Nelle discussioni e nelle interviste che abbiamo fatto nel 2011 non sono stati pochi gli operai a sottrarsi al clima di ottimismo generale allora dominante che sognava la ripresa dell’industria automobilistica in Italia. “Diventeremo dei lavoratori stagionali chiamati in fabbrica quando il mercato tira, mandati a casa quando la domanda cala”. Questo ci disse un operaio di Mirafiori in quei mesi, una delle poche previsioni, fatta con quella visione operaia istintiva, che ha trovato conferma in questi sette anni e che si conferma ancora oggi con la cassa integrazione di questi giorni a Grugliasco come a Mirafiori, cioè in quello che pomposamente viene chiamato il “polo del lusso”.
In quei giorni Marchionne si fa portatore di una nuova visione dei rapporti fra operai e padroni e la diffonde fra i suoi dipendenti. In una lettera a loro indirizzata scrive: “Non chiedo ai lavoratori di fare sacrifici, ma di condividere il progetto dell’azienda (…). La lotta di classe è finita, ma se è finita la lotta fra operai e padroni, non è finita la lotta fra le imprese, anzi nella globalizzazione si fa sempre più agguerrita. La si può vincere solo se tutti all’interno dell’azienda remano dalla stessa parte”.
Con queste pillole di filosofia marchionnista veniamo alla seconda parte, dedicata alle tecniche e alle filosofie produttive del neo-capitalismo, che trattiamo in modo abbreviato senza entrare nei particolari tecnici.
Rispetto alla fabbrica del periodo fordista le nuove forme di organizzazione del lavoro sono una combinazione di innovazioni e di tradizione. Come fare in modo che “tutti remino dalla stessa parte?” Il WCM (World Class Manufacturing), già introdotto da Marchionne al momento del suo arrivo in Fiat, si presenta come una svolta prima di tutto culturale che viene richiesta ai lavoratori con un programma di formazione e di motivazione del personale. Si propone come innovazione rispetto il tradizionale lavoro in linea (il taylorismo). All’operaio viene chiesto di trasformarsi in un soggetto attivo, la parola chiave è “partecipazione”, coinvolgimento e condivisione piena degli obiettivi dell’azienda. Gli operai, i soggetti che più conoscono il processo produttivo concreto, sono chiamati a individuare le anomalie della produzione, i difetti della produzione e del prodotto e a proporre rettifiche e miglioramenti che vengono incentivati, in verità con compensi irrilevanti.
Si tratta di un adattamento all’Occidente di metodi giapponesi introdotti nelle fabbriche Toyota e sintetizzati negli obiettivi di zero sprechi di tempo, zero guasti, zero incidenti, zero conflitti, zero difetti, zero scorte nei magazzini…il tutto finalizzato ad un processo di miglioramento continuo (la “qualità totale”).
La filosofia che deve essere fatta propria da tutti i soggetti di fabbrica (gerarchia e operai) è quella della costituzione di una armonica “comunità di fabbrica”, unita e orientata verso il conseguimento del successo dell’azienda. A differenza del vecchio esecutore della catena di montaggio, l’operaio del WCM è riconosciuto come il soggetto che detiene il sapere effettivo del funzionamento del sistema produttivo. L’impresa del WCM deve essere in grado di recuperare l’esperienza operaia e metterla al servizio della crescita dell’efficienza produttiva. L’operaio dei nuovi metodi produttivi non vende solo fatica fisica, deve vendere la sua esperienza e il coinvolgimento, deve vendere “il cuore e la mente” in cambio di miserie salariali.
Un asse portante della filosofia del WCM è l’azzeramento politico dei lavoratori, deve essere annullata la naturale contrapposizione fra interessi dei lavoratori e interessi dell’azienda. L’unica soggettività richiesta ai lavoratori è quella che concorre ad accrescere il valore prodotto, mentre viene archiviato il pensiero critico capace di considerarsi come soggetti espropriati. Anche i sindacati sono chiamati a concorrere a realizzare l’armonia della comunità di fabbrica, un ruolo accettato e sottoscritto negli “accordi” firmati in questi 7 anni dopo Cristo.
La nuova organizzazione del lavoro in Fiat, ora FCA, prevede la combinazione del WCM con una tecnica di sfruttamento dei tempi del lavoro operaio che sa molto di vecchio; si tratta della metrica Ergo-Uas.
La tecnica dell’Ergo-Uas si compone di due tipi di valutazione del lavoro operaio. La parte Ergo valuta i rischi per la salute dei lavoratori causati dagli sforzi biomeccanici. La parte Uas giudica il tempo fisiologico che un operaio impiega a eseguire una operazione. L’obiettivo principale è quello di ridurre tutti quei gesti, quei movimenti che sono improduttivi per sostituirli con azioni che producono valore. Ogni movimento deve avere una finalità produttiva. L’azienda predispone un (supposto) miglioramento ergonomico del tipo di operazione lavorativa, in cambio ottiene una saturazione (massimo utilizzo dell’energia lavorativa) e un aumento dei ritmi lavorativi. Ora lasciando da parte aspetti tecnici anche abbastanza complessi, per i lavoratori il risultato è quello descritto da questa operaia di Melfi: “Le operazioni sono tutte cronometrate e le postazioni saturate. In teoria dovremmo star ferme ad assemblare comodamente tutto ciò che ci arriva, ma in realtà si cammina, anzi si insegue la linea e ci si “imbarca”, ossia ci si allontana sempre più dai confini disegnati sul pavimento. Basta un qualunque imprevisto, una vite sfilettata o un semplice starnuto, per rendere spasmodica la risalita, cioè il recupero sul ritardo”.
Riassumendo l’Ergo-Uas è una metrica del lavoro che è finalizzata a stabilire i tempi necessari per eseguire le operazioni previste nelle diverse postazioni. Si tratta di un aggiornamento delle metriche adottate nel tempo in Fiat, un metodo tabellare di misurazione dei tempi che ha pretese scientifiche. Per finire un paio di osservazioni sulla “scientificità” della costruzione delle tabelle.
Come vengono costruite le tabelle del metodo Ergo-Uas? Il materiale per la compilazione delle tabelle è fornito dal lavoro di un certo numero di operai ripresi dalle telecamere, sotto l’occhio vigile dei capi e dei controllori che misurano il loro rendimento. Con questo sistema si stabilisce che una certa operazione può essere eseguita in un certo numero di secondi. Questo viene considerato il tempo “fisiologico”, oggettivo con cui i lavoratori devono eseguire le operazioni a loro affidate.
Ancora sulla scientificità del metodo. Su quale campione sono stati rilevati i dati? L’azienda non ha reso noto questi e altri dati. Negli stabilimenti FCA italiani, abbiamo fasce d’età molto diverse, a Mirafiori l’età media è molto elevata, abbiamo uomini e donne, abbiamo durate diverse della giornata lavorativa (la famosa flessibilità), troviamo un’alta percentuale di lavoratori con “ridotte capacità lavorative” (RCL) usurati da anni di sfruttamento in Fiat, ci sono turni diurni e turni notturni. Tutte diversità di condizioni che vengono uniformate dentro i dati tabellari. L’aumento dell’età pensionabile porrà poi ulteriori problemi. Oltre a spingere al massimo la cadenza della linea e a ridurre i “tempi morti” (in realtà tempi in cui l’operaio può respirare), la riduzione del lavoro ad operazioni elementari consente all’impresa di rendere la manodopera facilmente sostituibile e di risparmiare sugli inquadramenti professionali.
Presentare questa metrica come “scientifica” significa attribuirle un valore di oggettività indiscutibile, su cui non c’è spazio di discussione. In questa trappola sono caduti, nella loro logica subalterna, i sindacati che non hanno mai messo in campo rivendicazioni sui ritmi di lavoro. D’altra parte l’incapacità e la non volontà di contestare la filosofia di Marchionne è solo l’ultimo capitolo della decadenza sindacale negli stabilimenti FCA italiani e in particolare nel “polo del lusso” torinese.
Piero e Luciano (operaio di Mirafiori) della Redazione torinese di Lotta Continua.

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