Il dito e la luna, le foibe e la memoria del fascismo
Tomaso Montanari. Tra strumentalizzazioni di opinioni e falsità conclamate, l'agire di un intellettuale critico come Tomaso Montanari ha scatenato una gazzarra a tratti grottesca ma rappresentativa ed inquietante del presente e del futuro dell'eredità della Resistenza nella Repubblica
Nel giugno del 1953, per la prima volta dalla fine della guerra, si formò il gruppo dei deputati del Msi in Parlamento. Fu allora che Piero Calamandrei dedicò a donne e uomini della Resistenza una sua celebre ode che li invitava a «non rammaricarsi se nell’aula ove fu giurata la Costituzione murata col vostro sangue sono tornati i fantasmi della vergogna». Per il padre costituente era bene che i fascisti fossero «esposti «perché tutto il popolo riconosca i loro volti e si ricordi».
Difficilmente avrebbe immaginato che oggi riconoscere quei fantasmi potesse rovesciare impunemente il senso di quella storia.
Così tra strumentalizzazioni di opinioni e falsità
conclamate, l’agire di un intellettuale critico come Tomaso Montanari
ha scatenato una gazzarra a tratti grottesca ma rappresentativa ed
inquietante del presente e del futuro dell’eredità della Resistenza
nella Repubblica.
Montanari ha avuto «l’ardire» di esprimere ciò che ogni storico serio sa da anni: la vicenda delle foibe è stata strumentalizzata, usando la legge del ricordo, dalla destra postfascista come «rivincita memoriale» sulla lotta partigiana tanto da giungere oggi alla presentazione di una legge (nel giugno 2021) che, di fatto, equipara Shoah e foibe; da quella narrazione sono nate falsità (la pulizia etnica come movente delle violenze contro gli italiani) e radicate omissioni (le violenze squadriste degli anni ’20 ed i crimini italiani nei Balcani durante la guerra fascista che costò nella sola Jugoslavia oltre un milione di morti); la mancata Norimberga italiana, ovvero l’impunità garantita dallo Stato ai criminali fascisti nel dopoguerra, ha avuto un enorme peso nel Paese rispetto alla transizione dalla dittatura alla democrazia ed agli sviluppi politici dei successivi decenni dell’Italia repubblicana. Ettore Messana e Ciro Verdiani furono i questori fascisti di Lubiana durante l’occupazione italiana della Jugoslavia coordinando sul territorio le repressioni contro civili e partigiani. Impuniti, nel dopoguerra vennero inviati dal ministro dell’Interno Mario Scelba a dirigere l’Ispettorato di Pubblica Sicurezza in Sicilia dove divennero i protettori del bandito Salvatore Giuliano prima e dopo la strage di Portella della Ginestra.
Giuseppe Pièche, uomo
dei servizi segreti fascisti e braccio destro Mussolini, riorganizzò la
polizia politica dei criminali croati degli ustascia, rinnovò le
schedature di massa del casellario politico centrale contro i
dissidenti; fu vice-comandante generale dell’Arma dei carabinieri.
Impunito, lo ritroveremo coinvolto nel 1970 nel Golpe Borghese mentre
suo figlio Augusto (anche lui ufficiale del Sid) sarà tra gli
organizzatori del viaggio, dell’aprile 1968, dei fascisti di Avanguardia
Nazionale e Ordine Nuovo nella Grecia dei colonnelli da cui torneranno
edotti delle tecniche eversive deflagrate nelle stragi di Piazza
Fontana, dell’Italicus o di Piazza della Loggia.
E proprio attorno alla criminalità fascista degli
anni Settanta Montanari ha sostenuto un’altra questione centrale
sollevata con coraggio da tutte le associazioni dei familiari delle
vittime delle stragi, ovvero l’inopportunità di nominare Andrea de
Pasquale alla direzione dell’Archivio Centrale dello Stato dove saranno
riversate le carte relative a Gladio ed alla loggia P2.
Una nomina che ha suscitato proteste soprattutto rispetto all’istituzione dell’archivio dedicato a Pino Rauti fondatore dell’organizzazione fascista Ordine Nuovo (gruppo responsabile della strage di Piazza Fontana) presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma. Nell’occasione Rauti è stato definito sul sito ufficiale del ministero dei Beni Culturali uno «statista» ed il fondo anziché da un saggio critico è stato presentato dalla figlia nei locali della Biblioteca allora diretta proprio da De Pasquale. Una vicenda su cui il ministro Franceschini ha voluto ostentatamente mostrare indifferenza rispondendo che le preoccupazioni espresse dai familiari delle vittime «non hanno ragion d’essere» ed ignorando che quelle persone, insieme all’Italia democratica, aspettano da oltre quarant’anni la verità sulle stragi di Stato, negata dagli apparati di forza, dalle istituzioni e dai partiti di governo come quello da cui lui stesso proviene: la Democrazia Cristiana.
È per queste ragioni che
Montanari è stato mediaticamente aggredito dalla stampa liberale e
dell’estrema destra per il tramite di giornalisti e critici tv
scopertisi estrosi interpreti della storia.
Per queste stesse ragioni il mondo democratico e antifascista lo ha convintamente difeso e continuerà a farlo.
Che la destra reagisca scomposta e sguaiata di fronte alle parole della
cultura non stupisce. Ciò che pone in allerta invece, molto più di
caricaturali «casi Durigon», è quello che Calmandrei chiamava «clima
palustre» e «vischiosa intossicazione» in cui il fascismo aveva oppresso
la società italiana e da cui ammoniva stare in guardia poiché «in quel
ventennio c’è ancora il nostro specchio: uno specchio deformante, che dà
a chi vi si guarda un aspetto mostruoso di caricatura».
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