E allora le foibe?

 E allora le foibe?

di Tiziano Tussi  (da www.resistenze.org)



E allora le foibe? Una sorta di refrain che ripete Caterina Guzzanti in uno spettacolo di anni fa. Il titolo del libro di Eric Gobetti lo riprende sulla copertina. Un libro pubblicato nel 2021 ma sempre attuale, siamo alla decima ristampa, anche perché Gobetti è stato bollato come pericoloso negazionista dalla destra politica.

Il problema delle foibe ha diviso il panorama politico italiano, da quando è stata istituito il giorno del ricordo, nel 2004. La società politica italiana si è divisa in due fazioni o gruppi. Chi ha definitivamente timbrato questo giorno, che ricorda un fenomeno di lungo periodo per l'area orientale del nostro Paese, come un vulnus genocidario verso gli italiani da parte dei comunisti di Tito, alla fine della Seconda guerra mondiale ed un altro gruppo che ha cercato nel tempo di rimettere in piedi, storicamente, quello che in quelle regioni orientali è accaduto, prendendo in considerazione il periodo del controllo territoriale da parte del regime fascista sino al 1945.

Naturalmente i secondi sono stati visti come traditori dell'italianità ed assertori della barbarie comunista. Ciò che nel libro Gobetti spiega molto bene è invece che nelle fasi finali della Seconda guerra mondiale molti regolamenti di conti sono avvenuti per tutta Europa. Il libro sulle foibe in fondo non è un libro sulle foibe in quanto tema centrale del racconto storico ma rientra in un quadro molto più ampio, trattato specialmente negli ultimi capitoli, che si dispiega nel tentativo di proporre un'analisi motivata del convulso fenomeno di guerra e perciò anche delle foibe.

Per la Jugoslavia erano al lavoro diversi fenomeni sociali e politici: la fine della guerra; il tentativo di costruzione di uno stato comunista jugoslavo da parte di chi aveva sorretto tutta la lotta di popolo contro i nazi fascisti in Jugoslavia, con un leader come Tito; l'indecisione delle truppe alleate ed il tergiversare da parte di tutti gli attori in gioco sulla disposizione del confine italiano verso quello jugoslavo che data la sua  faticosa connotazione addirittura alla fine della Prima guerra mondiale, con l'aggiunta dell'azione di D'Annunzio a Fiume. Il racconto di Gobetti è ben guidato anche dalle cartine del luogo che nel libro fungono un poco da guida geografica a quello che è avvenuto nell'arco di tempo interessato.

Spiace dirlo, ma nel panorama della scomparsa di milioni persone durante il conflitto mondiale, ma anche prima, la sorte di un così ristretto numero di morti in quelle zone stona con la montagna di cadaveri di altre situazioni. Gobetti fa riferimento, ad esempio, a quello che è accaduto ai tedeschi che si sono dovuti trasferire da zone dell'est e del sud-est europeo dopo la fine degli scontri armati. Comunità che erano da tempo antico consolidate nei territori al di fuori dei confini della Germania che vi debbono ritornare forzatamente proprio per la sconfitta del Terzo Reich che li ha lasciati senza un retroterra di riferimento, soli, in territori stranieri.

Gobetti riporta per questa massa di umani, una cifra tra i dieci ed i dodici milioni. I movimenti di popolazione che attraversano i confini italiani ad oriente, a secondo della dislocazione della linea di confine, assommano a poche decine di migliaia. Certo non per questo da nullificare, ma almeno da inserire in un quadro veramente composito di spostamenti che si verificano ogni volta un grande trauma di guerra finisce e termina e non esiste più una costruzione statale che era stata configurata come un impero, anche se temporalmente limitato, quale quello della Germania nazista.

Ad ogni caduta di imperi si sono versificati spostamenti e in nessun altro paese esiste una sorta di ufficializzazione di tali avvenimenti. Pensiamo al caso sconvolgente degli armeni, che pare non finire mai. Ma anche ora con le guerre in Siria ed in Iraq, come con la contrapposizione tra le nazionalità turca e curda. Perciò tali tragici fenomeni, assumono cifre ben più ampie che lo spostamento dei dalmati-istriani.

Torno a dire: con questo non si vuole negare nulla ma confrontare e relativizzare. Non voglio assolutamente dire che, quando una tragedia si crea occorre paragonarla per forza con altre più grandi per poterla inserire nel novero dei problemi tragici di un'epoca. Ma purtroppo la quantità nei fenomeni umani ha la sua rilevanza. Ed anche le morti nelle foibe, o forse meglio, delle foibe, assurgono a centinaia ed al massimo poche migliaia di persone, e lasciamo perdere che tipo di morti, il loro peso preso uno per uno, non vorrei dilungarmi, ma evidentemente un fenomeno marginale nello sconquasso della Seconda guerra mondiale, non dovrebbe diventare elemento di scontro politico in Italia, ad ogni inizio d'anno.

A febbraio, poco dopo la Giornata della Memoria, si assiste ad una specie di rivincita della Giornata del Ricordo. Come se i morti, pochi a confronto europeo, di questo secondo momento avessero da svolger un ruolo di rivincita rispetto a quelli, molti più della prima. Gobetti mette in fila tali argomentazioni e ricorre anche ad altre situazioni dimenticate durante tutto questo tempo che ci separa dalla fine della Seconda guerra mondiale. Una per tutte, la questione degli Internati militari italiani (IMI). Per parlare di questo fatto tragico c'è stato bisogno che l'ANPI, allora guidata, da Tino Casali, circa 15/20 anni fa, riprendesse quelle storie e che vi fosse perciò maggior attenzione rispetto ai lavori di presa diretta, testimonianze, studi storici, soprattutto stranieri, che hanno riportato sulla scena nazionale questa pagina dimenticata.

Insomma, le questioni da trattare sono molteplici e non rende buon uso alla ricostruzione storica mettere ogni anno un cappello partitico sul problema foibe ed annessi. Per di più cercando di attualizzare in chiave politica, di contrapposizione quelle poveri vittime e quei spostamenti di popolazioni attraverso  un confine che si dovrebbe unire e pacificarsi totalmente anche dal punto di vista di una visione che possa rendere i poli italiano e slavo, croato e sloveno, uniti, per ricordare e studiare quanto avvenne attraverso il confine orientale per noi, occidentale per loro, alla fine della Seconda guerra mondiale.

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